Romeo: «Gli Usa rinuncino alle loro pretese di egemonia e riaprano il dialogo»
di DIARIO DEL WEB (Fabrizio Corgnati)
Giuseppe Romeo, giornalista ed esperto di relazioni internazionali, analizza al DiariodelWeb.it gli equilibri geopolitici del mondo dopo la guerra in Ucraina
Gli osservatori, i mezzi di informazione e anche i semplici cittadini si chiedono ogni giorno come andrà a finire la guerra in Ucraina. Ma c’è un’altra domanda ancor più interessante che aleggia sul futuro della geopolitica: che mondo uscirà da questa crisi bellica? Con quali equilibri e con quali rapporti di forza? Di sicuro sarà molto diverso da quello che si era andato consolidando negli ultimi decenni. Per provare a tracciare una previsione, il DiariodelWeb.it ha interpellato Giuseppe Romeo, giornalista ed esperto di relazioni internazionali.
Giuseppe Romeo, si sente spesso ripetere la previsione che «il mondo che uscirà da questa guerra non sarà più lo stesso che abbiamo conosciuto fino a ieri». Ma lei come se lo immagina, questo mondo del domani?
Dovrei essere un Nostradamus del nuovo secolo per avere una certezza. Anche se in verità ne ho visti molti susseguirsi a vario titolo nel talk show… Però posso segnalare un paio di aspetti importanti. Il primo è che l’Europa ha perso una grande occasione storica.
Che cosa intende?
Le crisi, per quanto drammatiche, si possono trasformare spesso in grosse opportunità, se si dimostrano capacità di lungimiranza e di governo delle stesse. Nello specifico, l’Unione europea poteva, doveva farsi promotrice di una soluzione, ponendosi come primo soggetto negoziale. Non facendolo, al netto delle dichiarazioni di circostanza dei vari leader, ha perso di credibilità politica, di capacità di leadership geopolitica e di centralità economica nei mercati mondiali. In fondo raccoglie anche quanto aveva già seminato, tra delocalizzazioni varie e deregulation.
L’Europa ha sbagliato strategia, consegnandosi mani e piedi agli Stati Uniti?
Ha sbagliato a non dire la sua. A non interporsi nel gioco tra gli Usa e la Russia, che poi è il compito che le consegnava la storia e la ragione della sua stessa esistenza come esperienza politica sovranazionale. Il mondo non è più eurocentrico da parecchi decenni, non solo in termini economici ma anche di valori, e archiviare qualunque capacità di iniziativa per il futuro prossimo ci apre al rischio del collasso. Su questo la Ue dovrebbe riflettere.
Il secondo aspetto a cui faceva riferimento?
È la presa di coscienza di quello che già nel 2018 un politologo di origini indiane ma che insegna negli Stati Uniti, Pradyumna P. Karan, chiamò «mondo non occidentale». La crisi russo-ucraina e l’atteggiamento dei Brics, della Sco e di altri, dimostra lo spostamento del baricentro geopolitico verso l’estremo Oriente, il medio Oriente, l’Africa. Ciò crea una massa critica non solo in termini demografici e di consumatori, ma anche di risorse disponibili e accessibili, di relazioni economico-commerciali così ampie da realizzare un mercato che non necessariamente ha bisogno dell’Europa.
Un tempo lo definivamo terzo mondo.
Oggi quel mondo è decisamente il primo per risorse economiche e materiali, per capacità di iniziativa geopolitica, per gestione dei prodotti commerciali e finanziari. Non a caso la Russia, vistasi rifiutata come parte dell’esperienza storica dell’Occidente europeo, guarda ad Oriente e all’Africa ormai da tempo e non solo ne vuole far parte, ma vorrebbe ambire ad assumere anche un ruolo-guida, Pechino permettendo.
E questo gli Stati Uniti lo sanno benissimo…
Tanto è vero che hanno provato la spallata a Putin, attraverso l’Ucraina, provocando o comunque non facendo nulla per allontanare questa crisi. Anzi, sperando di poter chiudere una partita lontana credendo in una possibile sostituzione al Cremlino, che al momento non si è verificata. La Russia avrebbe anche potuto intervenire in un secondo momento, ma se nel frattempo Kiev avesse aderito alla Nato ciò avrebbe significato un ingresso automatico nel conflitto degli altri alleati. Di fatto Putin ha giocato d’anticipo, così come hanno sempre fatto gli stessi americani con la cosiddetta guerra preventiva: una formula completamente al di fuori dal diritto internazionale e sulla quale pure è giustificata la seconda guerra del Golfo contro l’Iraq.
Però la spallata a Putin non è riuscita. Quindi è stato un fallimento strategico?
Gli Usa ci provano, perché questa è la loro strategia imperiale: governano le periferie attraverso il caos. Si, non ci stanno riuscendo. Ma di fronte ad un’eventuale escalation del conflitto potrebbero rivedere, purtroppo per l’Unione europea, le proprie posizioni. Non credo che correrebbero il rischio di una guerra diretta con la Russia, accettando che New York e le altre città-simbolo siano dei target per i sistemi missilistici russi. Tuttavia, direi che se non stanno conseguendo l’obiettivo principale, l’abbattimento della leadership di Putin, per lo meno si accontenteranno di aver centrato quello secondario.
Ovvero?
La progressiva destrutturazione del modello economico dell’Unione europea e l’indebolimento dell’euro, ormai scambiato con il dollaro statunitense nel rapporto quasi di 1:1. Non è un obiettivo marginale. Anzi, è altrettanto fondamentale per arginare, dopo averci provato con la Russia, l’altro competitor possibile che si possa interporre in un eventuale confronto con la Cina: l’Europa, appunto. E, questo, soprattutto, convinti di aver impedito un possibile legame economico e politico dell’Unione europea con la Russia; cioè la creazione di un grande spazio geopoliticamente e geoecoomicamente interdipendente, che condannerebbe gli Usa all’isolamento. Immagini cosa significherebbe per Washington un mercato che si estenderebbe da Lisbona a Vladivostok: un incubo per gli Stati Uniti, molto meno per la Cina.
L’Europa avrà perso la propria centralità, ma in un mondo come quello che ha descritto gli Stati Uniti possono davvero pensare di ristabilire la propria egemonia?
Gli Stati Uniti hanno una sola possibilità: quella di riaprire il dialogo e trovare i punti d’incontro con tutti gli altri competitor mondiali ristabilendo un modello di relazioni multilaterali. Tentare la carta di una Nato globale, dopo il recente e discutibile vertice di Madrid non rappresenta una buona idea. Significa sovradimensionare le capacità economiche e materiali, e quindi anche militari, sostenendo una nuova politica di potenza e creando nuove e rischiose barriere nel mondo. L’unica alternativa è trovare una soluzione di compromesso.
Come immagina questa soluzione?
Che metta al centro un nuovo multilateralismo e che garantisca la stabilità dei rapporti economici e commerciali rifondando, se necessario, le stesse istituzioni che ormai sembrano ubbidire più ad interessi di cartello che non agli interessi della comunità internazionale. Che non pregiudichi nessuno ma restituisca, ad esempio, centralità alle Nazioni Unite, la grande assente nella crisi russo-ucraina insieme all’Osce, magari con una formula rinegoziata.
Questo vuol dire abbandonare la strategia del conflitto e aprire quella della diplomazia.
Gli Stati Uniti devono farsi una ragione che non esiste un millenarismo americano, nonostante i neoconservatori ne abbiano fatto una religione. Peraltro già negli anni ’70, ritirandosi dalla guerra del Vietnam, gli Stati Uniti aprirono relazioni con alcune realtà dell’allora Terzo mondo e, soprattutto, con una nazione con cui non avrebbero mai dialogato prima: la Cina popolare. Anche oggi potrebbero recuperare molta credibilità non ponendosi a capo di una politica egemonica, di esportazione di modelli interpretativi di cui poi si dimostrano essi stessi dei pessimi promotori. Ma facendosi carico della ricostruzione oggi di un modello più cooperativo e non compulsivamente competitivo.
Anche con la Russia.
Si potrebbe ritornare a quel maggio 1997, agli accordi di Parigi in cui molti credettero che si sarebbe aperto un nuovo mondo partendo proprio dai rapporti tra Nato e Russia, da quella nuova Europa che non sarebbe stata al di là delle intenzioni da vetrina. Un momento della storia in cui in molti credettero che non si sarebbero alzati nuovi muri o che fosse nuovamente possibile che in nome di un’alleanza l’Europa democratica potesse barattare un giorno il destino di un popolo, quello curdo, sacrificato a Madrid agli interessi di una miope politica di potenza, rendendo insignificante ogni pretesa di essere esempio di civiltà nel mondo.
Fonte: https://www.diariodelweb.it/opinioni/articolo/?nid=20220704-549446
Commenti recenti