PUTIN NON È NÉ IL PROBLEMA NÉ LA SOLUZIONE MA IL SINTOMO
di La Croce Quotidiano (Mirko De Carli)
In questo giorni, dopo aver ascoltato il discorso di Putin durante l’ufficializzazione dell’annessione delle quattro regioni ucraine alla Federazione Russa, in molti puntano l’attenzione sulla regolarità o meno dei referendum e sulla validità delle consultazioni. Difficile esprimersi con certezza senza correre il rischio di aderire a una delle tifoserie in campo. Un paio di questioni sono però certe: la predominanza del sentimento filorusso presente in queste terre e lo svolgimento delle operazioni di voto sotto un vigoroso regime militare a tinte russe. Oltre a questo affermare di più risulterebbe essere esercizio viziato più dal proprio sentire personale che dall’oggettività dei fatti riscontrati. La storia, come sempre, saprà narrarci la verità dei fatti.
Quello che più mi ha colpito sono le ragioni con cui Putin ha dichiarato l’esplicita volontà di annettere questi territori che fino a prima erano sottoposti alla guida del governo ucraino: liberare queste genti dal dominio della cultura avaloriale e consumista dell’occidente. Ha parlato espressamente di gender, di dominio del danaro sulla dignità della persona e della inaccettabile scelta di recidere le radici giudico-cristiane per abbracciare l’ideologia arcobaleno.
In molti hanno così esultato alle parole del Presidente russo commettendo l’errore più grossolano che si potesse mettere in atto: fare propria la narrazione di uno Stato straniero. Siamo italiani, siamo europei e siamo occidentali: queste radici, mai sopite nei nostri cuori ma “addromentate” dalle campagne assordanti del pensiero unico relativista per cui non esiste la verità ma ognuno possiede la sua verità, dovrebbero sobbalzare ferite dal sentire il suono roboante delle parole di Putin.
Quel messaggio che arriva da lontano, da Mosca, non va abbracciato ma capito per mettere in atto una giusta ed adeguata reazione: lo zar dei nuovi anni venti evidenzia marcatamente i reali punti deboli delle nostre democrazie e, se non saremo capaci di comprenderlo, usciremo sconfitti da questo conflitto ormai pienamente in corso. Nel puntare il dito contro di noi involontariamente ci indica la strada: riscoprire la nostra identità, abbandonare vecchi retaggi del passato come la cieca obbedienza atlantica (costruendo una vera politica estera europea) e abbandonare le ideologie consumiste per riabbracciare le nostra fondamenta che poggiano sull’economia sociale di mercato saldamente ancorata ad un sano umanesimo giudaico-cristiano.
Occorre reagire a Putin non con la retorica falsa delle armi a Kiev e della ridicola narrazione a senso unico “dell’aggressore e dell’aggredito” ma con la consapevolezza che l’Europa potrà evitare un conflitto permanente solo se tornerà ad essere faro di civiltà capace di stoppare ogni azione velleitaria straniera con la forza dei propri valori, della propria cultura e della propria fede (prima ancora che con le armi). Solo una civiltà occidentale “rinata” potrà non essere percepita dalla restante parte di mondo come un aggressore portatore di disvalori ma un valido rivale con cui è possibile negoziare anche partendo da strategie politiche diverse.
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