Geopolitica Federazione Mali-Burkina Faso: Una cartina tornasole del nuovo corso politico seguito da Bamako e Ouagadougou
di Report Difesa (Antonella Roberta La Fortezza)
BAMAKO (nostro servizio particolare). Nel corso della sua visita di amicizia e di lavoro a Bamako, svoltasi nei giorni scorsi, il primo ministro del Burkina Faso, Apollinaire Joachimson Kyélem de Tambèla, ha accennato all’eventualità che i due Paese saheliani, Mali e Burkina Faso, possano andare a costituire una Federazione.
Un simile progetto troverebbe le proprie radici, prima di tutto, nella comune esigenza, maliana e burkinabé, di gestire la difficile situazione securitaria così come si presenta attualmente in entrambi i Paesi saheliani.
Negli ultimi anni, infatti, è considerevolmente cresciuta la minaccia terroristica, in particolare nella cosiddetta area dei tre confini (Mali, Burkina Faso e Niger) nella quale si è assistito a una crescente presenza e operatività dei gruppi terroristici legati sia alla galassia qaedista sia riconducibili allo Stato Islamico.
Ma la Federazione avrebbe, secondo Kyélem de Tambèla, anche vantaggi economici per entrambi i Paesi i quali, unendo le loro produzioni, potrebbero diventare protagonisti nel mercato del cotone, del bestiame e soprattutto dell’oro.
Sebbene storicamente i rapporti tra Mali e Burkina Faso non siano stati sempre amichevoli (si ricordi, ad esempio, il confronto armato diretto per la disputa territoriale relativa alla striscia di Agacher tra nel dicembre del 1985) i più recenti avvenimenti politici intercorsi in entrambi i Paesi, insieme, come detto, alla necessità per entrambe le élite al potere di confrontarsi con la sfida del terrorismo jihadista, sembrano aver avvicinato ideologicamente e de facto le élite di Bamako e di Ouagadougou.
A novembre 2022, ad esempio, il Capitano Ibrahim Traoré, a capo della giunta militare che ha preso il potere in Burkina Faso con un golpe nell’ottobre 2022, ha effettuato la sua prima visita all’estero proprio nel vicino Mali, guidato a sua volta dal Tenente Colonnello Assimi Goïta, ritornato al potere anch’egli in seguito a un colpo di Stato manu miliari a maggio del 2021.
Sebbene non manchino le similitudini e i punti di convergenza politica tra i due Paesi, è improbabile che Bamako e Ouagadougou possano realmente intraprendere un progetto di Federazione.
Entrambe le giunte, già sottoposte, soprattutto nel caso di Bamako, alla pressione esercitata dall’opposizione della componente civile interna, difficilmente saranno disposte a cedere anche soltanto parte dei propri poteri a una sovrastruttura federale.
La creazione di una Federazione presuppone, infatti, concessioni, più o meno ampie, di sovranità e ciò, oltre a non essere in linea con gli interessi di potere delle élite militari, contraddice anche il discorso sovranista che a Bamako così come a Ouagadougou costituisce il cuore della strategia politica post-golpe.
Nonostante il forte simbolismo panafricanista, utile per giustificare il discorso “anticoloniale” nei confronti della Francia, entrambe le giunte mirano a rafforzare i propri spazi di azione tramite un approccio fortemente nazionalista che mal si coniuga, conseguentemente, con una visione federale.
Più verosimilmente, l’idea lanciata dal primo ministro burkinabé potrebbe mirare a rafforzare, soprattutto in funzione anti ECOWAS (Economic Community of West African States) la posizione politica di quei Paesi che, esattamente come Mali e Burkina Faso, sono ora guidati da giunte militari golpiste.
Il riferimento a un ipotetico progetto di Federazione, quindi, potrebbe sottolineare, da un lato, una crescente e rafforzata intesa regionale tra Mali e Burkina Faso, pur senza arrivare alla cessione di parti della sovranità nazionale, e dall’altro sembrerebbe essere il primo segnale, per altri Stati dell’area, così come per attori terzi, della formazione di un blocco di Paesi africani non più in linea con un’impostazione politica filo-occidentale.
Più in generale le dichiarazioni di Kyélem de Tambèla sembrano confermare l’ipotesi, già sul tavolo da diversi mesi, che il Burkina Faso possa progressivamente seguire la stessa strada già intrapresa dal Mali con riferimento alle sue linee prioritarie di politica estera.
In questo senso sono da interpretarsi le parole di forte apprezzamento, utilizzate dal primo ministro burkinabé, nei riguardi della “vera rivoluzione” compiuta dal Mali dal 2020, rivoluzione che avrebbe ispirato anche il Burkina Faso.
Come dichiarato dallo stesso capo del Governo, infatti, una delle ragioni della sua recente visita nel vicino Mali è stata proprio quella di tentare di riportare lo sguardo verso soluzioni più prossime ai problemi della regione, dopo che per molto tempo i Paesi dell’area hanno confidato in soluzioni proposte da attori lontani.
In questo senso, il riferimento sembrerebbe condurre direttamente alla Francia, protagonista delle vicende militari saheliane soprattutto dal 2012 e che almeno dal 2020 ha visto ridurre progressivamente la propria presenza nell’area in ragione soprattutto del nuovo corso politico intrapreso da Bamako.
L’approccio seguito più recentemente dalle autorità di Ouagadougou sembra andare a ricoprire proprio le orme maliane.
A gennaio scorso, anche le autorità burkinabé hanno richiesto la partenza dei circa 450 soldati francesi delle Forze Speciali dell’Operazione “Sabre”, con base a Ouagadougou.
Questa impostazione politica, insieme con la proposta di Federazione, sembra dunque disegnare uno scenario in cui il Burkina Faso è in una fase, sempre più marcata, di allontanamento da Parigi e di apertura verso altri attori internazionali.
Fin dalla sua nomina, Kyélem de Tambèla ha, infatti, evidenziato l’esigenza per il suo Paese di riconquistare la piena sovranità ceduta nel corso del recente passato ad attori terzi che hanno limitato le capacità di azione di Ouagadougou e, in alcuni casi, non si sono dimostrati leali.
Questo, nella sua strategia non significa direttamente una rottura con i francesi, quanto piuttosto la possibilità che il Burkina Faso proceda, sulla base del proprio interesse nazionale, a una diversificazione dei propri partner, non limitandosi più esclusivamente a tutelare il proprio rapporto con Parigi.
Tale approccio, del resto, sembra recuperare la linea anti-imperialista, panafricanista e terzomondista seguita dall’ispiratore di Kyélem de Tambèla, l’ex Presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, il quale durante gli anni della sua presidenza ha portato avanti proprio una politica di diversificazione dei partner stranieri.
Nel contesto geopolitico attuale, ridurre la centralità delle relazioni con Parigi e diversificare i rapporti, potrebbe fare rima, come accaduto per Bamako, con un aumento della presenza della Russia anche in Burkina Faso.
Sebbene la autorità di Ouagadougou continuino a negare la presenza del gruppo russo Wagner, secondo diverse fonti gli uomini della compagnia di Yevgeny Prigozhin sarebbero già presenti su territorio burkinabé con missioni di esplorazione e valutazione del contesto locale.
All’inizio di dicembre 2022 lo stesso Kyélem de Tambèla si sarebbe recato in Russia con un volo militare maliano.
Secondo le informazioni diffuse da alcuni media africani, egli avrebbe, nell’occasione, avviato negoziati per l’acquisizione di attrezzature militari dalla Russia e avrebbe contestualmente incontrato funzionari dalla Wagner.
Inoltre, come si legge in un rapporto del Consiglio dei Ministri burkinabé pubblicato l’8 dicembre 2022, le autorità di Ouagadougou hanno concesso un permesso per la gestione e lo sfruttamento della miniera d’oro di Yimiougou alla società russa Nordgold, miniera che va ad aggiungersi alla gestione di altri tre giacimenti nel Nord del Paese da parte della medesima società.
Il permesso di sfruttamento del sito di Yimiougou, con un’area di 31,44 chilometri quadrati, consentirà una produzione totale stimata in 2,53 tonnellate di oro, con un contributo diretto al bilancio dello Stato burkinabé stimato in 5,3 miliardi di franchi CFA e 648 milioni di franchi CFA a beneficio del fondo minerario di sviluppo locale.
Anche sulla base di questi accordi minerari con società russe, il Presidente ghanese, Nana Akufo-Addo, ha già sollevato l’ipotesi che le autorità del Burkina Faso possano pagare i mercenari russi della Wagner proprio tramite la concessione dei diritti sulle miniere d’oro del Paese, esattamente come accaduto nel vicino Mali.
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