Dalla siccità alle gelate –Una situazione emersa anche in un recente monitoraggio di Coldiretti in Puglia: caldo anomalo e prolungata assenza di precipitazioni hanno mandato la natura in tilt “con i ciliegi già in fiore (la Puglia è la regione che ne produce di più, ndr), carote variegate, piselli, cavoli rossi e le prime fave pronte per la raccolta, mesi prima dell’appuntamento del primo maggio”. Il rischio è che “il probabile ritorno del freddo e del gelo distrugga poi i raccolti”. Lo ricorda bene Alberto De Togni, presidente di Confagricoltura Verona e imprenditore agricolo di seminativi. Perché negli ultimi anni è accaduto più volte, “in particolare nel 2020 e nel 2021, quando le gelate primaverili hanno prodotto danni molto ingenti a ciliegie, albicocche, olive, mele e pere”. Lo conferma il presidente di Agritalia: “La ricerca potrebbe certamente aiutarci nell’adattamento ai cambiamenti climatici, ma in Italia si investe poco e, quindi, si va a rilento. Vale per quello che si può fare in laboratorio, vale per la preparazione del territorio, anche alle piogge”. Qualche giorno fa, l’Uragano Nikola ha prodotto violenti temporali e raffiche di vento, il resto lo hanno fatto abbandono del territorio e cattiva gestione delle infrastrutture. Vigneti e serre sono stati distrutti dall’acqua tracimata dalla diga di Ragoleto, in provincia di Ragusa. “E questa è acqua che non si recupera. Gli invasi non fanno in tempo a raccoglierla e rimane solo il danno” aggiunge, ricordando che ci sono colture particolarmente delicate, proprio come le ciliegie. “Non solo c’è il pericolo delle gelate nel caso siano maturate troppo anticipatamente, ma poi soffrono tantissimo le precipitazioni. Basta che a maggio piova un po’ sul prodotto maturo e il frutto rischia di spaccarsi, il cosiddetto cracking”.
Le regole del mercato – Ma se pure non si assistesse a violenti nubifragi che mandano in fumo i raccolti e a gelate che distruggono i campi, la crescita precoce di alcune produzioni crea un problema per il mercato. “Di base, i catasti delle produzioni non sono aggiornati, quindi gli agricoltori piantano o mettono a dimora colture senza avere gli strumenti per valutare eventuali sovrapposizioni – spiega Laporta – e non sempre la Grande distribuzione organizzata può acquistare tutto quel prodotto”. Anche in questo caso, un esempio è senz’altro quello delle ciliegie. “Perché al problema della grande quantità di prodotto da vendere, lo abbiamo visto recentemente anche con l’uva, si aggiunge quello della qualità. Le fioriture precoci, e molto spesso abbondanti, sono legate spesso a calibri più piccoli o di minor qualità – aggiunge – mentre oggi il mercato richiede sempre più il prodotto di una certa grandezza. Qualche anno fa, c’è stata una crisi di mercato proprio perché le ciliegie erano più piccole”. Anche l’aumento dei prezzi delle verdure è strettamente legato al cambiamento climatico: “Molti parlano di speculazione – spiega Laporta – ma in realtà alla base ci sono due fattori che si incrociano. Con il freddo si consumano più verdure cotte ma se, contemporaneamente, le gelate non fanno crescere in maniera adeguata o distruggono il prodotto, l’aumento della domanda ne farà salire il prezzo”. Il problema contrario si creerà, invece, per tutte le produzioni che stanno bruciando i tempi e per le quali non c’è ancora la richiesta del mercato. È il rischio che stanno correndo le piantine aromatiche di Albenga, in Liguria, come lavanda, rosmarino, timo, salvia e margherita, che potrebbero essere pronte troppo presto rispetto alla primavera.
Se il mais non conviene più – Resta, poi, il problema della siccità. Qualcuno è già ricorso a misure preventive. Quest’anno gli agricoltori padovani semineranno meno mais, nella provincia che detiene il primato regionale con quasi 31mila ettari su circa 143mila. Si abbandona il granoturco che necessita di molta acqua e l’estate scorsa ha pagato un prezzo altissimo a causa delle temperature torride (con perdite che, per chi non aveva impianti di irrigazione, sono arrivate al 90 per cento) e molte aziende scelgono di orientarsi verso frumento, soia e girasoli. “L’anno scorso – spiega a ilfattoquotidiano.it Giuliano Bonfante, presidente del settore seminativi di Confagricoltura Padova e agricoltore a Ospedaletto Euganeo – alcune aziende non hanno raccolto il granoturco, perché non valeva la pena raccogliere piante senza la spiga. Piuttosto, si sceglie di impiegare il trinciato di mais negli impianti di biogas. Di certo, le aziende che non hanno la possibilità di irrigare perché non servite da consorzi di bonifica o prive di attrezzatura – aggiunge – quest’anno non potranno coltivare mais e quelle che hanno la possibilità di irrigare faranno i propri conti, valutando se sia o meno il caso”. Ma sono diverse, in Italia, le aree dove ci sono stati dei forti cambiamenti nelle produzioni.
Come cambiano le colture – “Noi ce ne accorgiamo oggi, ma è da tanto tempo che le piante e i parassiti delle piante hanno interagito con i cambiamenti climatici – spiega a ilfattoquotidiano.it Giovanni Minuto, direttore del Cersaa, il centro sperimentale agricolo di Albenga – e se negli anni Ottanta all’università ci dicevano che la mosca della frutta non arrivava in Valle d’Aosta perché non resisteva al clima gelido dell’inverno, oggi arriva ed è ovunque. Occorre adeguarsi”. Contro la mosca della frutta sulle piante di ulivo, ad esempio, si utilizza il caolino. “Una polvere di roccia che si distribuisce su tutta la pianta – spiega – per rendere più difficile l’attacco del parassita e ottenere un effetto ombreggiante che riduce l’esposizione della pianta alla luminosità molto intensa, problema accentuato dall’assenza di copertura delle nuvole. In Toscana si possono facilmente osservare questi alberi non più verdi, ma bianchi ed è una soluzione altamente sostenibile”. Tra gli effetti meno visibili del cambiamento climatico c’è proprio la diffusione di microorganismi, funghi, batteri, insetti, che erano tipici delle aree più calde dell’Europa e oggi arrivano anche nei Paesi più a Nord, come Danimarca e Norvegia e che oggi in Italia sono una presenza costante e non solo nelle stagioni più calde. E poi ci sono le conseguenze maggiormente visibili sui campi di tutta Italia. “Da alcuni anni, in Liguria non si riescono più a coltivare in maniera redditizia le albicocche di Valleggia (Savona) che, dopo la caduta delle foglie – spiega Minuto – hanno bisogno di un abbassamento termico importante, per poter fiorire e fruttificare e, in primavera, di un innalzamento progressivo delle temperature”. Da diversi anni, invece, in autunno le temperature sono molto al di sopra della media storica e poi in primavera torna il freddo. “In queste condizioni – aggiunge il direttore del Cersaa – l’albicocco fiorisce, ma fruttifica con difficoltà”. Un altro esempio: tra il 2019 e il 2021 l’ulivo ha subìto diversi fenomeni di cascola a causa della combinazione di due fattori. “Da un lato drastici abbassamenti termici nel periodo della fioritura – spiega – dall’altro un decorso estivo estremamente siccitoso”. Così la pianta lascia cadere a terra le olive: “Un fenomeno osservato anche in altre aree, a volte collegato anche alla diffusione di insetti, come accaduto in Lombardia, sul Lago di Garda, con la cimice asiatica. Per questo è necessario imparare a studiare le nostre culture, osservare i nuovi rischi e trovare le giuste soluzioni da combinare”.
La geoingegneria no?
Mi stupisco di voi…