Ricorre oggi l’anniversario del tragico ritrovamento del corpo del presidente della DC in via Caetani. Un ritratto e i fatti che portarono al suo rapimento e al tragico epilogo, su cui ci sono ancora tanti misteri
Sono trascorsi 45 anni da quel 9 maggio 1978, quando il corpo di Aldo Moro, rannicchiato sotto a una coperta e crivellato di colpi, fu trovato nel bagagliaio di una Renault 5 di colore rosso in via Caetani, una strada del ghetto ebraico, a Roma.
Una scelta non casuale, poiché il luogo in cui venne parcheggiata la Renault dista circa 150 metri da via delle Botteghe Oscure, sede centrale del Partito Comunista, e circa 200 metri da Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana.
Un tragico epilogo di uno degli episodi più bui della storia della Repubblica Italia, iniziato 55 giorni prima, il 16 marzo. Alle 9.02 del mattino, Aldo Moro sta andando alla Camera dei Deputati per votare la fiducia al nuovo governo con a capo Giulio Andreotti.
La sua auto viene bloccata da un commando delle Brigate Rosse composto da 19 persone. In pochi minuti, i brigatisti uccidono i due carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci, che erano in auto con Moro, e i tre poliziotti, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, che viaggiavano su una seconda auto di scorta.
Aldo Moro viene invece sequestrato e tenuto nascosto per quasi due mesi in una stanza nascosta dietro a una libreria di un appartamento di via Montalcini, al civico 8, a Roma, come si scoprirà in seguito.
I suoi carcerieri furono Mario Moretti, Prospero Gallinari, Germano Maccari e Anna Laura Braghetti.
Durante i 55 giorni di prigionia, l’Italia si sollevò, mentre la politica era divisa tra chi sosteneva una linea dura e chi invece pendeva a favore di intavolare una trattativa con i brigatisti per liberare Moro.
Dopo avere cercato invano di arrivare a uno scambio di prigionieri, le Brigate Rosse lo sottoposero a un processo “politico” da parte di un sedicente “tribunale del popolo” che esse stesse avevano costituito. Il 9 maggio 1978 Aldo Moro venne ucciso.
Ma chi era Aldo Moro e perché venne preso di mira dalle Brigate Rosse?
La brillante carriera politica
Aldo Moro nasce e a Maglie, in Salento, il 23 settembre 1915, secondo di cinque figli.
A soli 22 anni si laurea in Giurisprudenza all’università di Bari nel 1938. Già da studente, su indicazione di Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, a cui scrisse un’accorata lettera durante la sua prigionia, entra nella Federazione degli Universitari Cattolici e ben presto ne diventa il presidente.
In pieno regime fascista, nel 1942 prende parte alle prime riunioni clandestine che portarono alla fondazione della Democrazia Cristiana, il 19 marzo 1943. Con lui ci sono Mario Scelba e Alcide De Gasperi.
Aldo Moro ha solo 30 anni quando, nell’immediato Dopoguerra, è membro dell’Assemblea Costituente che ha il compito di redigere la Costituzione della Repubblica Italiana. È il 1946.
Da allora, siede in Parlamento per sette legislature, è per cinque volte Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri, Ministro dell’Istruzione e Ministro della Giustizia, oltre che Segretario e Presidente della Democrazia Cristiana.
Il “Compromesso”
Il destino di Aldo Moro si mette in moto nel 1960, quando il Governo di Fernando Tambroni ottiene la fiducia.
Tambroni è un ex fascista entrato nella Dc e il suo Esecutivo viene eletto con l’appoggio dei membri del Movimento Sociale Italiano (MSI).
Il nuovo esecutivo scatena le proteste dei partiti e dei movimenti di Sinistra.
Il 30 giugno di quell’anno la Camera del Lavoro di Genova indice una manifestazione per protestare contro il Congresso dell’MSI nel capoluogo ligure.
I quelli che passarono alla storia come “I fatti di Genova del 30 giugno” i manifestanti si scontrano apertamente con la polizia.
Fu solo la miccia che diede luogo a protesta analoghe in altre città d’Italia.
A Reggio Emilia la Polizia uccise cinque manifestanti della classe operaia.
A luglio cade il Governo Tambroni. In quel frangente, Moro capisce che è giunto il momento per aprire ai Socialisti.
Durante il Congresso di Napoli, nel 1962, passa la linea di Moro e l’anno successivo nasce un nuovo Governo guidato proprio da lui, ma con la presenza di Socialisti del PSI e di Socialdemocratici (PSDI).
Vicepresidente del Consiglio è Pietro Nenni. La collaborazione tra DC e socialisti si conferma anche con i tre successivi governi guidati da Aldo Moro.
Durante il Congresso Regionale della DC tenutosi a Bari il 15 giugno 1969, Aldo Moro apre la collaborazione anche con i comunisti del PCI, il secondo partito italiano per consensi, ma non tutti sono d’accordo. Il neosegretario del Partito Comunista, Enrico Berlinguer, è favorevole alla collaborazione con la DC e trova un alleato proprio in Aldo Moro.
Al contrario, la corrente sostenuta da Giulio Andreotti all’interno della DC è nettamente contraria.
Tuttavia, quelli sono gli anni più caldi della politica italiana e internazionale. Nel 1973 in Cile il generale Augusto Pinochet rovescia il governo di Salvador Allende con un Colpo di Stato.
In Italia sono gli anni della Strage di Piazza Fontana a Milano (1969), di Piazza della Loggia a Brescia (1974) e dell’Italicus a Bologna (1974), oltre a diverse agitazioni di piazza.
Così, il 20 marzo 1978 viene siglato un “compromesso”, che porta alla costituzione di un governo sostenuto dal PCI e con a capo Giulio Andreotti, sebbene Aldo Moro fosse stato sequestrato solo quattro giorni prima, probabilmente proprio perché “simbolo” di un accordo che non piaceva alla sinistra più estrema.
Dopo un anno dalla morte del suo artefice, infatti, il quarto Governo Andreotti, che aveva visto la collaborazione tra democristiani e comunisti, cadde.
Il “Caso Moro” e i misteri irrisolti
Sono molti i nodi irrisolti in quello che è passato alla storia come il “Caso Moro”.
Emblematica la frase che lo stesso Moro lasciò tra gli scritti della prigionia, la maggior parte dei quali è andata perduta: “Il mio sangue ricadrà su di loro”.
Ma “loro” chi? Il riferimento è ai compagni di partito, tanto è vero che la vedova, Eleonora Chiavarelli, non volle i funerali di Stato e non perdonò mai Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, allora Ministro dell’Interno, e Benigno Zaccagnini, segretario della DC.
L’agguato e i Servizi Segreti
Le indagini appurarono che, il 16 marzo, giorno del sequestro Moro, in via Fani passò un agente dei Servizi Segreti, che in seguito dichiarò di stare recandosi a casa di un amico.
Tuttavia, la precisione dei colpi che uccisero la scorta di Aldo Moro, senza ferire lo statista, ha fatto pensare che si trattasse di esperti con una formazione militare.
Dalle indagini, poi, emerse che 49 dei 91 colpi provenissero da uno stesso tipo di arma. Un testimone, poi, dichiarò di avere sentito qualcuno dare ordini in una lingua diversa dall’italiano, mentre altri videro fuggire due uomini a bordo di una moto Honda.
Infine, quella mattina nella zona in cui avvenne il sequestro, le linee telefoniche andarono in tilt: fu un sovraccarico o un atto voluto?
La trattativa
Durante i 55 giorni che separano il sequestro di Aldo Moro dal ritrovamento del suo cadavere furono mobilitati 13 mila agenti di polizia, furono effettuati 72 mila blocchi stradali e 40 mila perquisizioni.
Ciò nonostante, non venne eseguito alcun arresto né si riuscì a scovare il suo nascondiglio.
In quello stesso periodo di tempo si infiammò il dibattito sull’opportunità di intavolare una trattativa con i terroristi.
Durante la sua prigionia, Aldo Moro scrisse diversi appelli rivolti ai suoi compagni di partito, ai quali rinfacciava il rifiuto di trattare per la sua liberazione.
Il 30 marzo, i rapitori pubblicarono una lettera indirizzata a Francesco Cossiga, Ministro dell’Interno.
Solo i socialisti si dichiararono favorevoli a mediare con le Brigate Rosse.
Il “processo” e il depistaggio
Con l’allungarsi dei tempi senza che si arrivasse a una trattativa, i brigatisti cominciarono una lotta psicologica. Il 25 marzo emisero un comunicato nel quale annunciava di voler “accertare le dirette responsabilità di Aldo Moro” concludendo di volerlo giudicare “con i criteri della giustizia proletaria”.
Quello che sembrava una farneticazione, in realtà, gettò l’allarme tra le agenzie di sicurezza e le istituzioni in quanto Moro, che era aveva ricoperto la carica di Ministro degli Esteri ed era stato capo del Governo per due volte, era a conoscenza di segreti di Stato, ma anche di informazioni su governi di altri Paesi e sui Servizi Segreti.
Il 18 aprile, in un altro comunicato, le BR annunciavano “l’avvenuta esecuzione” di Aldo Moro, sottolineando la modalità come “mediante suicidio”.
Inoltre, davano indicazioni per ritrovamento del corpo, che indicavano in Largo Duchessa a Cartore, in provincia di Rieti.
Seguirono due giorni di ricerche infruttuose, a cui seguì un secondo comunicato in cui le stesse Brigate Rosse negavano di essere autrici del primo.
A dimostrazione di quanto sostenuto, allegarono una foto di Moro con una copia del quotidiano “La Repubblica” del giorno successivo.
Ci furono dei dissidi interni alle BR o cambiarono idea riguardo al destino di Moro?
Arriviamo quindi al tragico epilogo: il 9 maggio 1978, l’assistente di Aldo Moro, Franco Tritto, riceve una telefonata in cui gli viene annunciato che il corpo senza vita di Moro si trova in via Caetani.
Qui venne effettivamente ritrovato nella Renault rossa alle 2 del pomeriggio.
Chi ha ucciso Aldo Moro?
Fino al 1993 si pensava che a uccidere materialmente Aldo Moro fosse stato Prospero Gallinari, ma in quell’anno Mario Moretti confessò di essere stato lui.
I 14 brigatisti arrestati ammisero tutti le proprie colpe, ma due di essi non furono mai catturati.
E proprio uno di essi potrebbe essere stato un infiltrato dei Servizi Segreti.
Oggi, a 45 anni dalla morte di Aldo Moro, sono ancora tanti i misteri da risolvere.
FONTE: https://www.quotidianoweb.it/attualita/aldo-moro-il-9-maggio-di-45-anni-fa-la-morte-dello-statista/
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