Nagorno Karabakh, c’è ancora molto da fare
di OSSERVATORIO CAUCASO E BALCANI (Marilisa Lorusso)
La fine del Nagorno Karabakh armeno, dopo gli sconvolgimenti che hanno interessato la regione nel 2023, non ha messo fine alle questioni aperte, sia per la regione contesa che nei rapporti travagliati tra Armenia e Azerbaijan. Una panoramica su situazione attuale e sfide future
Per il Nagorno Karabakh si entra nel nuovo anno con il fardello di un 2023 sconvolgente. Da un lato c’è il territorio di quella che è stata la repubblica secessionista armena dell’Artsakh, che si va ripopolando di cittadini azeri con il cosiddetto “grande ritorno”. Nel frattempo, si continuano a trovare armi .
La riappropriazione del territorio da parte del governo di Baku passa per la messa in sicurezza, per il ripopolamento e, purtroppo, anche attraverso la rimozione della memoria dei precedenti residenti. Sono circolate immagini della distruzione e della profanazione delle tombe del memoriale dei soldati armeni caduti durante le guerre del Karabakh.
A febbraio in quella che ora è chiamata la zona economica del Karabakh si voterà. In Azerbaijan si tengono infatti, a sorpresa, le elezioni presidenziali anticipate il prossimo 7 febbraio. Sette i candidati, esito scontato a favore dell’attuale capo di stato Ilham Aliyev. Saranno ridottissime le missioni di monitoraggio, l’Unione Europea non parteciperà ad elezioni assolutamente non competitive che appaiono più un rituale che un atto di esercizio di diritti politici e democrazia.
In Karabakh ci saranno ventisei seggi e 22.000 votanti, composti da 3.700 residenti e 18.000 lavoratori dislocati nell’area, impiegati nel settore edilizio e delle infrastrutture e coinvolti nel “grande ritorno” .
I karabakhi armeni
Dall’altro lato del confine restano gli ex abitanti del Karabakh, i 101.000 armeni circa che si trovano ora in Armenia. Lo stato di protezione temporanea è stato loro garantito da Yerevan come rifugiati, ed è rinnovabile su base annua. Sono state semplificate le procedure per ottenere la cittadinanza e il governo armeno ha recentemente attivato un training per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro degli sfollati.
Secondo l’Armenia sono ancora 55 gli armeni detenuti come prigionieri di guerra, ma per Baku sarebbero invece 23. Sempre stando ai dati armeni , 223 persone, di cui 25 civili, sono state uccise a seguito nell’offensiva del 19-20 settembre 2023. Altre 244 persone sono rimaste ferite, tra cui 76 civili.
Risultano ancora disperse 20 persone, tra cui 5 civili. Sarebbero stati documentati oltre 20 casi di profanazione di corpi. La grande fuga dal Karabakh ha avuto un suo ulteriore drammatico conteggio: oltre 70 morti nei pochi e drammatici giorni che hanno portato allo svuotamento della regione, oltre alle circa 270 vittime dell’esplosione di un deposito di carburante.
Il governo e le strutture statuali della repubblica di Artsakh, che avrebbero dovuto disciogliersi al primo gennaio 2024, sono rimaste in essere. Il presidente de facto Samvel Shahramanyan ha annullato il decreto sullo scioglimento e rimane non chiaro come e cosa verrà fatto dagli organi di questo stato de facto scomparso, il cui parlamento si sarebbe riunito in sessione segreta a fine anno.
Le osservazioni sui Diritti Umani
Il Consiglio d’Europa (Coe), organizzazione di cui sia l’Azerbaijan che l’Armenia fanno parte, ha pubblicato le “Osservazioni sulla situazione dei diritti umani della popolazione colpita dal conflitto fra Armenia e Azerbaijan per il Nagorno Karabakh ”, frutto del viaggio della Commissaria per i Diritti Umani Dunja Mijatović, effettuato dal 16 al 23 ottobre 2023. La visita ha toccato Armenia, Karabakh e Azerbaijan e aveva lo scopo di identificare una roadmap per indicare le priorità nel percorso di riconciliazione.
Il rapporto offre uno spaccato della situazione nella regione nell’autunno 2023, con il Karabakh già svuotato dalla popolazione armena. Si articola in una ricostruzione delle cause della fuga, riassunte come la combinazione “di paura radicata per la propria vita e il proprio futuro durante le escalation armate e il controllo dell’Azerbaijan derivante da precedenti atrocità irrisolte e atti intimidatori in corso, il senso di abbandono da parte di tutti gli attori interessati, comprese le autorità de facto e le forze di pace russe, l’alto livello di vulnerabilità sperimentato durante il blocco e l’improvvisa riapertura del corridoio di Lachin alla fine di settembre 2023”, che hanno portato i locali ad un esodo in massa ed improvviso.
Si ripercorrono poi le condizioni nel paese di arrivo, l’Armenia, le questioni del diritto al ritorno e gli obblighi dell’Azerbaijan in merito, della bonifica del territorio da mine ed esplosivi, dei prigionieri di guerra e di quanti mancano all’appello, delle violazioni del diritto umanitario.
Si esorta a far accedere al territorio organizzazioni di tutela dei diritti umani e l’impegno ad una autentica riconciliazione, mettendo da parte la retorica dell’odio, che è stata molto attiva per trent’anni e che non è andata stemperandosi dopo il conflitto, continuando ad essere uno dei principali nemici del processo di pace.
Pace o terre irridente
Al rapporto ha risposto il ministero degli Esteri dell’Azerbaijan . Il ministero prende nota che la Commissaria riconosce che questa è stata la prima visita del Coe, che mai aveva avuto accesso al Karabakh nel periodo di secessionismo armeno. Il ministero, sottolineando quindi che l’Azerbaijan si sta dimostrando collaborativo, ritiene che il report della Commissaria confermi che non vi sia stata pulizia etnica, che infatti non viene menzionata come tale, anche se in più punti del rapporto si ricorda il clima di intimidazione e le oggettive minacce per la sicurezza poste sia dal lungo blocco che c’era stato sia dall’attività militare.
L’Azerbaijan continua a respingere l’accusa di aver attivato un blocco di nove mesi nel periodo precedente all’attacco, appellandosi ai diritti di sovranità ed amministrazione del proprio territorio, che ritiene di aver legittimamente esercitato su Lachin.
Baku si compiace che trovino eco nel report le proprie valutazioni sull’impatto di lungo termine del conflitto per distruzione di infrastrutture e per la questione delle mine, annoso problema che travaglierà probabilmente la regione per altre tre decadi, e altresì che venga riconosciuto che ha attivato dei meccanismi istituzionali e concreti per il reintegro degli armeni che – su base volontaria – hanno deciso di tornare o che sono rimasti in Karabakh.
Il governo azero esprime invece rammarico per il fatto che la posizione degli sfollati azeri non ha trovato sufficiente posto nel report, in particolare “che gli incontri della Commissaria con i sopravvissuti al genocidio di Khojaly perpetrato dall’Armenia, così come con i membri della comunità azera occidentale espulsi dalle loro case nell’Armenia moderna, non siano stati ripresi nel rapporto. Ciò avrebbe garantito una riflessione accurata sulla visita della Commissaria, nonché un approccio più completo alle questioni relative ai diritti umani che il rapporto intendeva trattare, compreso il diritto al ritorno. Ciò è di particolare importanza, poiché la stessa Commissaria ribadisce nelle sue osservazioni che tutte le persone sfollate a causa del conflitto di lunga durata hanno il diritto di tornare alle proprie case o ai luoghi di residenza abituale, indipendentemente dal fatto che siano state sfollate all’interno o oltre frontiera.”
Il cosiddetto “Azerbaijan occidentale” e la sua comunità restano intanto uno dei cavalli di battaglia di Baku nella attuale negoziazione con Yerevan. Gli azeri sfollati dall’Armenia, da territori che secondo il presidente Aliyev sono storicamente azeri, inclusa la stessa capitale Yerevan, dovrebbero poter ritornare, avere diritti culturali e linguistici salvaguardati non meno degli armeni che volessero rientrare in Karabakh.
Certo, definire l’Armenia come Azerbaijan occidentale non è affatto nello spirito di quella riconciliazione tanto auspicata dal Consiglio d’Europa e suona più di ambizioni revansciste territoriali che di pace.
Commenti recenti