Sulla morte di Raisi e Amir-Abdollahian
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Enrico Tomaselli)
Alla fine, come era prevedibile, la morte del presidente iraniano e del ministro degli esteri è stata confermata dal ritrovamento dei corpi. Al di là ovviamente del lutto che ha colpito la nazione iraniana, possiamo fare alcune considerazioni preliminari (in attesa di capire se, come è perfettamente possibile, si è trattato di un incidente, o di un sabotaggio).
Due sono le cose che mi sembrano rilevanti, e che vale la pena sottolineare.
La prima è che Raisi, un esponente dell’ala conservatrice iraniana, ha sicuramente contribuito a ben collocare internazionalmente il paese (BRICS, SCO, ‘pace’ con l’Arabia Saudita, ottimi rapporti con Russia e Cina…), così come nel dare sostegno all’Asse della Resistenza – che del resto fu creato dal generale Suleimani. Ma la sua popolarità interna non era altissima, perché sul piano economico i vantaggi del posizionamento internazionale non si sono ancora pienamente manifestati, mentre si avverte ancora il peso di decenni di sanzioni occidentali.
La seconda è che – anche se in occidente prevale da tempo la tendenza alla personalizzazione/semplificazione della politica – Raisi non era “un uomo solo al comando”. Il sistema politico iraniano è più complesso ed articolato, rispetto a quelli cui siamo abituati in occidente, ed in ogni caso la morte di Raisi non determina alcun significativo vuoto di potere, né tantomeno rischia di cambiare radicalmente la politica estera iraniana. Anche perché vi sono forze potentissime (in primis la Guida Suprema Khamanei e l’IRGC) che non lo consentirebbero. Quando Trump diede il via libera all’eliminazione del generale Suleimani, per fare un favore agli amici israeliani, ciò non ha determinato alcuna deflessione nella politica antimperialista perseguita dall’Iran.
Una ulteriore considerazione. Ovviamente ancora non sappiamo se si sia trattato di un incidente – cosa possibilissima – o di altro. Questo verrà stabilito dall’esame dei resti dell’elicottero. A mio avviso è comunque assai improbabile che vengano formulate accuse contro Israele e/o gli Stati Uniti. E ciò a prescindere dall’esito dei rilievi sull’incidente. Innanzi tutto, perché adesso si apre una fase transitoria (le elezioni si devono tenere entro 50 giorni), durante la quale l’organigramma del potere è – appunto .- parzialmente ‘a tempo determinato’, ed è quindi difficile che il paese (che sarà concentrato sul lutto e sul processo elettorale) vada in cerca di casus belli. E questo in ogni caso, ovvero anche se dovessero emergere sospetti di sabotaggio; verranno tenuti segreti, e la risposta sarà rinviata ad altra data. Vale infatti il criterio della “pazienza strategica”, per cui si preferisce non dare adito alle provocazioni del nemico, preferendo rispondere in modo obliquo. Ciò è vero tanto più adesso, che il governo israeliano è in grande difficoltà – interna ed internazionale, politica e militare.
Se dovessero emergere responsabilità ‘nemiche’ nell’incidente, la risposta sarà asimmetrica, ed arriverà tra qualche mese.
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