Trump a un passo dalla vittoria: ha stato Soros (per davvero)
di OTTOLINA TV (Giuliano Marrucci)
Non mi azzardo a fare previsioni perché l’ultima volta che ho azzeccato un pronostico elettorale probabilmente non era ancora stato introdotto il suffragio universale. Ah, com’è che dici? Negli USA, in realtà, a ben vedere non è mai stato introdotto? Ah, ok: severo, ma giusto; comunque non mi azzardo lo stesso. Mi limito a registrare che, come probabilmente saprete già, ultimamente le quotazioni di Trump sono ritornate a salire; e dopo l’ubriacatura iniziale per la nomination di Kabala Harris, Trump è tornato ad essere il favorito su almeno due delle 4 principali piattaforme di scommesse esistenti. Quello che invece, altrettanto probabilmente, molti di voi non sanno (e faranno un po’ fatica a credere) è chi c’è dietro questo recupero di The Donald perché – udite udite – ha stato Soros. Esatto: proprio lui, l’icona sexy di tutti gli analfoliberali più pervertiti del pianeta, l’eminenza grigia di tutte le cospirazioni possibili immaginabili (sia quelle vere che quelle inventate). O meglio: per essere precisi, ovviamente, non proprio Soros Soros di persona personalmente; semplicemente, quello che è stato a lungo uno dei suoi principali bracci destri, tra i fautori (se non il fautore) del famoso attacco speculativo del Soros Fund Management contro la sterlina nel 1992 e poi (a lungo) chief investment officer di tutta la baracca. “Uno degli uomini più brillanti di Wall Street” come l’ha recentemente descritto lo stesso The Donald: “rispettato da tutti”; “e anche un bel ragazzo” ha aggiunto.
Si chiama Scott Bessent ed è talmente fedele e coerente ai suoi principi che l’ultima avventura politica -prima di innamorarsi di The Donald – era stata quella (vissuta ormai oltre 20 anni fa) al fianco di Al Gore. Ed è forse proprio questo passato ad averlo fatto innamorare di Trump: nel 2000, infatti, Al Gore perse le elezioni nonostante avesse ottenuto a livello nazionale 500 mila voti in più rispetto all’avversario, il pluri-criminale volto della sanguinaria guerra al terrore George W. Bush, che però era riuscito a ottenere la meglio (grazie alla conquista della Florida) per una manciata di voti contestati per presunti problemi sulle schede elettorali; di fronte a una cosa così delicata, ovviamente, tutti si sarebbero attesi un riconteggio manuale che invece la Corte Suprema, in una contestatissima decisione presa con appena 5 voti contro 4, negò. Ciononostante, Al Gore accettò l’esito con una certa nonchalance; d’altronde, lo Stato profondo aveva già deciso che per ricattare i paesi emergenti – a partire dalla Cina – c’era bisogno di mettere a ferro e fuoco il Medio Oriente e rovesciare i regimi ostili a suon di bombe a grappolo sulla testa dei bambini per avere il pieno controllo sull’accesso alle fonti fossili, e quel bamboccione semi-alcolizzato di Bush figlio era il fantoccio giusto al momento giusto. E visto che ci tenevano così tanto da ribaltare l’esito elettorale e causare una delle peggiori crisi di credibilità della Corte Suprema della storia USA, anche Al Gore (che certo non è Mao Tse Tung o Salvador Allende) decise bene di cedere la mano, cosa che però fece incazzare a morte tutti quelli che si erano spesi in suo nome nella speranza di accedere a ruoli di comando che avrebbe garantito qualche bel dividendo corpulento.
Ecco così che quando Bessent ha visto invece che Trump, per garantire a se e ai suoi i dividendi che solo la presidenza del Paese più ricco e corrotto del pianeta può garantire, era pronto a scatenare una specie di guerra civile, ha deciso che era arrivato il momento della sua rivincita: secondo il Wall Street Journal “Bessent ha deciso di puntare il tutto per tutto su Trump quando ha visto che le cause legali che stava affrontando, invece di danneggiarlo, lo stavano favorendo”: “Mi ricorda quei titoli che continuano a salire nonostante le cattive notizie” avrebbe confessato a una fonte anonima interrogata dal Journal, che tra gli investitori è considerato il più solido dei segnali possibili che quel titolo ha davanti a sé un futuro di gloria. Perché l’elefante dentro la stanza (che troppo spesso riescono a nascondere dietro a una montagna di fuffa) sullo scontro tra l’establishment e gli outsider, tra i woke e i difensori dei valori tradizionali, tra gli eco-ansiosi e i negazionisti climatici e compagnia bella, è che la corsa alla presidenza in qualsiasi paese neoliberista (ma, a maggior ragione, proprio negli Stati Uniti) è fondamentalmente un’attività imprenditoriale riservata esclusivamente ai membri delle oligarchie finanziarie – o a qualche fantoccio facilmente manovrabile dalle stesse – che comporta investimenti miliardari e che richiede ritorni economici immediati di ordini di grandezza superiori; è, sostanzialmente, la selezione per chi avrà il privilegio di spartirsi quel pezzo di torta riservato a chi, nelle schifezze dell’imperialismo neoliberista, ci mette la faccia. E solitamente, dopo un po’ di tempo che sta in qualche incarico di governo, viene schifato pure dai parenti più stretti; son sacrifici e vanno retribuiti. Per Bessent (come per tutti i finanziatori e tutti i collaboratori), Al Gore – come Trump – non sono altro che buoni investimenti.
A quanto pare, a convincere Bessent che Trump fosse un ottimo investimento sarebbe stato il suo storico amico John Paulson, uno dei più accaniti sostenitori della primissima ora di Donald Trump, su cui forse vale la pena spendere due parole: John Paulson, al pari proprio di George Soros, è considerato uno dei padri degli Hedge Fund, i fondi ultra-speculativi perlopiù riservati agli investitori più facoltosi; la fama di Paulson, in particolare, è legata allo straordinario successo che ha ottenuto anticipando la crisi dei subprime e speculandoci sopra. Ma non si tratta esclusivamente di intuito: si è trattato proprio di un’azione criminale a tutti gli effetti, anche se per la legge USA, che tutela gli oligarchi più spregiudicati, alla fine considerata del tutto legale. Paulson, infatti, attraverso il suo fondo collaborava con Goldman Sachs nella selezione dei pacchetti di mutui da inserire in quelli che vengono definiti CDO, Collateralized Debt Obligation: in soldoni, strumenti finanziari da rivendere al grande pubblico le cui sorti dipendevano dal fatto che, a monte di tutta la catena, la gente quei mutui continuasse a pagarli; la cosa bella di Paulson è che, da un lato, aiutava la banca a costruire questi prodotti e dall’altro, invece, scommetteva sul fatto che quegli stessi prodotti sarebbero crollati perché i pacchetti di mutui che aveva scientemente selezionato, in realtà, non sarebbero stati pagati. Non so se è chiaro: ti vendo una roba assicurandoti che non fallirà mentre io scommetto che fallirà perché so che fallirà, dal momento che l’ho costruita io; che, sostanzialmente, è il modus operandi che lega Paulson a Bessent. Bessent, infatti, entra nel team del Quantum Fund di Soros nel 1991, appena 29enne, ma con alle spalle già un suo percorso all’interno del mondo della finanza nella banca d’affari Brown Brothers Harriman, famosa per aver intrattenuto numerosi rapporti commerciali con la Germania nazista a guerra già iniziata e, poi, per essere particolarmente propensa a gestire conti offshore di clienti facoltosi in vari paradisi fiscali in giro per il mondo. Nel frattempo però, nonostante si fosse ancora in piena era di dominio repubblicano (tra la fine del reaganismo e la presidenza di Bush padre), Bessent coltivava qualche velleità da giovane progressista e, per un breve periodo, diventava addirittura editore di The New Republic, storica testata del liberal-imperialismo USA dove è entrato in contatto col gotha del suprematismo progressista: da Paul Krugman a Anne Applebaum, da Fareed Zakaria a Steven Pinker, la crème crème dell’intellighenzia liberale che, negli anni successivi, darà copertura ideologica alla globalizzazione neoliberista dell’era Clinton e all’epoca d’oro delle bombe umanitarie, culminata con la prima guerra contro l’integrazione europea e le velleità di indipendenza strategica in Kosovo. Esperienza nella finanza speculativa e piena affinità con lo spirito neo-liberale che si andava affermando fecero immediatamente di Bessent uno dei pupilli di Re Soros e, in pochissimo tempo, ebbe accesso alla stanza dei bottoni dalla quale si stava programmando l’assalto speculativo alla sterlina che portò al mercoledì nero del 16 settembre 1992; come nel caso della speculazione dell’amico Paulson sui mutui subprime, anche in questo caso si tratta della solita profezia che si auto-avvera arricchendo a dismisura lo speculatore di turno sulla pelle di milioni di lavoratori e cittadini comuni.
Il giochino sostanzialmente era questo: all’epoca, esisteva una cosa che si chiamava ERM, Meccanismo di Cambio europeo, che prevedeva che le varie valute europee (sterlina compresa) avessero un tasso di cambio fisso con il marco, con una piccola possibilità di oscillazione; l’economia britannica, però, non stava andando per niente bene e Soros & company, a partire da Bessent, decisero di scommettere sul fatto che la sterlina, più prima che poi, si sarebbe indebolita fino a superare la soglia della fascia di oscillazione permessa, sarebbe stata costretta ad uscire dall’ERM e, a quel punto, si sarebbe deprezzata ancora di più. Ma invece che limitarsi a prevedere tutto questo, si attivarono in massa affinché avvenisse: il team del fondo di Soros di cui faceva parte Bessent, così, cominciò a vendere allo scoperto enormi quantità di sterline, il che – molto banalmente – significa che le prendevano in prestito e le vendevano sul mercato, con la speranza che quando poi le dovevano restituire a chi gliele aveva prestate, avrebbero avuto un valore molto minore rispetto a quando le avevano prese in prestito e, quindi, loro incassavano la differenza tra il valore che avevano le sterline quando le avevano vendute sul mercato e il valore che avevano quando le restituivano; ovviamente, nel fare questo, vendendo grandi quantità di sterline sul mercato contribuivano in prima persona a far deprezzare le sterline che, come qualsiasi altra merce, quando vengono vendute in gran quantità (quindi quando c’è tanta offerta) diminuiscono di valore. Ed è proprio grazie a questo fondamentale contributo che, appunto, nonostante gli sforzi della Banca d’Inghilterra, la profezia di Soros e Bessent si avverò: la sterlina si deprezzò fino al punto di essere cacciata dall’ERM e dopo la cacciata, come prevedibile, crollò ancora fino a quando non portò nelle tasche del compagno Soros un miliardo di dollari di guadagni netti; da allora, l’ascesa di Bessent nel cerchio magico di Soros fu inarrestabile fino a quando, appunto, nel 2011 Soros non lo nominò addirittura chief investment officer e, poco dopo, addirittura direttore generale. Ma non sono mancati nemmeno gli attriti: come nel 2014, quando in seguito all’ennesima operazione terroristica di Israele contro i bambini palestinesi della Striscia di Gaza, la famigerata operazione Protective Edge (Margine di Protezione) che porterà allo sterminio indiscriminato di 2000 civili, alcuni dei funzionari della Fondazione di Soros cercarono di convincere il fondo Quantum a limitare gli investimenti in aziende che operavano nella Palestina occupata; secondo il Wall Street Journal Bessent si infuriò, “andò da Soros, e minacciò di dimettersi”. Insomma: riuscì a superare in suprematismo imperiale il Maestro che, da allora, ha sempre sottolineato di non aver mai discriminato investimenti in Israele solo perché hanno la simpatica abitudine di bruciare vivi i bambini dentro le tendopoli.
Da allora però, comunque, anche in nome del fascio-sionismo l’infatuazione di Bessent per l’establishment liberal venne meno; più avanti si avvicinò ai neo-con, contribuendo alla campagna di McCain e infine, nel 2016, trovò la sua nuova musa ispiratrice: The Donald, che ha subito visto in questo intraprendente falco della finanza, capace di guadagnare milioni su milioni sulla pelle dei poveri disgraziati, una specie di anima gemella, ma più presentabile. Come sottolinea ancora il WSJ, a Bessent Trump deve la formula del 3-3-3: “Tagliare il deficit di bilancio al 3% del prodotto interno lordo entro il 2028, stimolare la crescita del PIL al 3% attraverso la deregolamentazione e produrre altri 3 milioni di barili di petrolio al giorno”. Insomma: più fossile, mano libera al capitale e meno tasse; cosa potrebbe mai chiedere di più un vero paladino dell’anti-establishment? La barzelletta di Trump anti-establishment è una cazzata più grossa addirittura della propaganda analfoliberale di Hollywood e Netflix e ormai, sinceramente, non fa manco più ridere; e chi, anche a questo giro, avesse intenzione di sfrucugliarci le gonadi con commenti da terza media del tipo e allora la Harris? Anche Ottolina è pagata dalle élite globaliste? è gentilmente invitato a guardarsi i 12 mila video che abbiamo dedicato all’altra parte della finta barricata, da rimbambiden a Kabala Harris. Il punto, ovviamente, è che per noi il nemico principale è l’imperialismo USA in se, non il singolo fenomeno da baraccone che sceglie da dare in pasto alle telecamere a seconda di chi è più adatto in quella fase per prenderci tutti allegramente per il culo; la faida tra le due fazioni del capitalismo finanziario USA che si sfideranno alle elezioni è reale (anzi, feroce), ma riguarda solo ed esclusivamente, appunto, la scelta di quale parte del capitalismo si arricchirà di più sulle spalle del resto della popolazione nei prossimi 4 anni. Ma per cominciare a parlare seriamente di come entrambe le fazioni (al di là delle faide per spartirsi le carcasse) portino avanti la stessa identica agenda e cosa dovremmo fare concretamente per cercare di combatterle entrambe, serve come il pane un media indipendente, ma di parte, che dia voce ai bisogni concreti del 99%. Aiutaci a costruirlo: aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è George Soros
FONTE:https://ottolinatv.it/2024/10/17/trump-a-un-passo-dalla-vittoria-ha-stato-soros-per-davvero/
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