Perché io, generale, sono contro la guerra in Ucraina
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Generale Francesco Cosimato)
I motivi per cui tanti militari sono diventati pacifisti.
Mentre il dibattito pubblico è sempre più dominato da retoriche belliciste, molti militari in congedo – che la guerra la conoscono davvero – si schierano contro l’escalation in Ucraina. Dopo anni di illusioni su guerre «chirurgiche» e strategie mediatiche, la realtà ci restituisce un conflitto logorante, lontano dalle vittorie annunciate. Gli aiuti militari occidentali all’Ucraina non hanno portato al crollo della Russia, mentre l’industria bellica prospera e il nostro continente si indebolisce economicamente e strategicamente. Il generale Cosimato analizza le reali capacità militari europee, smascherando i limiti di una strategia basata su speranze vane e propaganda spudorata.
Viviamo in un’epoca strana, pare che le armi siano tornate di moda e piacciano anche ai pacifisti. Pare che la parola guerra sia diventata un termine ripetuto all’infinito quasi in ogni ambito politico e sociale, inclusi quelli a cui la guerra una volta faceva schifo. Al contrario, quelli che si pronunciano per la prudenza e contro le dichiarazioni guerrafondaie sono curiosamente molti militari in congedo. Parliamo di gente che la guerra la conosce non solo dal punto di vista concettuale, ma che sa analizzarla alla luce della sua esperienza sul campo. Appartengo orgogliosamente a questa categoria e vorrei spiegarvene alcune ragioni.
Dopo tanti anni di propaganda che parlava di soldati di pace, di soccorso militare alle popolazioni afflitte dalla guerra, di giurisdizionalizzazione dei conflitti, di fine della Storia, abbiamo scoperto una realtà che ci restituisce un mondo in cui le guerre sono drammaticamente possibili, anche se l’ormai famoso Francis Fukuyama diceva che erano finite. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, mi trovo a dover esaminare la situazione sul campo non alla luce dei concetti del mantenimento della pace, ma di quelli del combattimento convenzionale, quello che nella NATO viene chiamato wartime scenario, guerra tout court.
In questa realtà in cui ci viene magnificato il ruolo dei droni e, più in generale, della tecnologia, centinaia di migliaia di persone sono morte e continuano a morire. In questa realtà in cui si inventano nuovi concetti bellici, come quello della guerra ibrida, di fronte alla martellante propaganda dei media mainstream, vediamo sconsolati le distruzioni e le macerie in varie aree di crisi in cui pensavamo di vincere facile ed anzi, dicevamo che non bisognava umiliare l’avversario. Dopo molti anni in cui i cannoni giacevano dimenticati in magazzino, ci troviamo a parlare di ogni sorta di munizionamento: di lancio, a caduta, autopropulso, subsonico, ipersonico, a breve, medio e lungo raggio. Basta aprire un portale di notizie sul web per vedere notizie di questo tipo frammischiate agli ultimi eventi dei reality show e del gossip.
Le operazioni militari convenzionali non sono solo terribili e tragiche. Sono anche maledettamente difficili e complicate. Dall’inizio delle operazioni in Ucraina abbiamo pensato di vincere la guerra su due campi: quello mediatico e quello quantitativo.
La nostra propaganda diceva che la battaglia mediatica avrebbe costretto l’avversario a crollare, a implodere. A dar retta agli agitatori, Vladimir Putin aveva il cancro, sarebbe morto o, in subordine, sarebbe stato ucciso dai suoi… Così non è stato.
La nostra propaganda tentava di farci credere che sarebbe bastato dare dei buoni missili controcarro, i Javelin, agli ucraini per vincere. Così non è stato.
La nostra propaganda cercava di convincerci che sarebbe bastato dare i nostri carri armati agli ucraini per vincere. Così non è stato.
La nostra propaganda ci assicurava che sarebbe bastato fornire dei velivoli da superiorità aerea del tipo F16 per vincere. Così non è stato.
La nostra propaganda ha tentato di persuaderci che la fornitura di sistemi di difesa contro aerei avrebbe determinato un rallentamento della progressione russa. Così non è stato.
La nostra propaganda asseriva che la fornitura di missili a medio raggio (Storm Shadow e ATACMS) avrebbe migliorato la situazione sul campo in vista dei negoziati di pace. Così non è stato.
La certezza mediatica della vittoria sulla Russia sta lentamente, ma inesorabilmente, lasciando il posto alla disillusione e alla certezza della sconfitta, perché purtroppo una cosa è sicura: abbiamo perso. Mentre le industrie degli armamenti prosperano, soprattutto oltreoceano, l’Europa si è deindustrializzata. E non riesce nemmeno a produrre le armi che dovrebbero servire alle fregole belliche della leadership europea.
Mark Rutte, il Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica ritiene che la NATO sia attualmente in grado di resistere a un attacco russo, ma aggiunge che, di qui a tre o quattro anni, ci sarà bisogno di investire molto di più in risorse militari. Tali richieste sconcertano: Rutte non ricopre un ruolo politico e non è neanche stato eletto.
Da tempo si vocifera che gli Stati Uniti potrebbero abbandonare l’Europa al suo destino. Ma Kaja Kallas, l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE non ha dubbi: l’Europa continuerà a combattere la Russia anche da sola.
Per affrontare questi temi bisogna fare un po’ di conti. Non disponendo di fonti classificate, ci si può affidare ai dati del sito Global Fire Power Index, che riporta i dati sulle caratteristiche militari delle nazioni in maniera sorprendentemente dettagliata. Si tratta di una buona base di partenza per ragionare con elementi abbastanza concreti sulle reali capacità di condurre operazioni difensive in modo efficace.
Confrontando i dati dei Paesi dell’Unione Europea (mancano solo Irlanda e Liechtenstein), quello che emerge, riassunto nella tabella qui sotto, non è incoraggiante. Il primo dubbio riguarda il potere aereo, visto che la Russia dispone di caccia da superiorità aerea di ultima generazione di cui i Paesi europei sono privi. Le carenze in campo terrestre riguardano invece i carri armati e la componente fuoco. In campo navale sono poche le marine europee che dispongono di gruppi d’altura.
Arriviamo al vero punto dolente. In un conflitto a elevato attrito, ipotizzando un tasso di perdite del 20% (tutto sommato benevolo), dovremmo considerare, su una forza di 2.516.900 soldati europei, la perdita di 503.380 vite umane in una campagna militare di breve durata. Mezzo milione di persone: una cifra che equivale a tutti gli abitanti di Genova o di Tolosa o di Zagabria o di Edimburgo… Quanti politici europei ritengono accettabile un’ipotesi del genere? Quanti governi sopravviverebbero a un mese di guerra?
Per altro verso, pare che i guerrafondai di Bruxelles non intendano considerare le innegabili difficoltà russe in Ucraina. Se è vero che i russi hanno conseguito un alto grado di supremazia aerea, bisogna anche ricordare che la manovra iniziale è ampiamente fallita. Chi proclama che, dopo l’Ucraina, la Russia attaccherà l’Europa, su quali informazioni si basa? Dopo quasi tre anni di guerra è realistico pensare che i russi proseguiranno la loro campagna militare? Io non credo, per la semplice ragione che un’operazione offensiva in Europa richiederebbe una supremazia aerea da parte russa assai dubbia e un rapporto di forze di tre a uno che non è materialmente possibile.
In questo quadro, l’Unione Europea ha un nuovo commissario alla Difesa e allo Spazio, tale Andrius Kubilius. Questa figura dovrebbe incarnare un accresciuto ruolo nel campo militare dell’Unione Europea o, almeno, il tentativo delle lobby di Bruxelles di mettere le mani su armi e satelliti. Il problema però è che le armi appartengono ai Paesi membri, mentre i satelliti, almeno rispetto a quelli di Elon Musk, sono pochi. Ma poi, chi affiderebbe alle burocrazie europee, al di fuori di un quadro costituzionale, l’uso della forza letale?
A queste considerazioni bisogna aggiungere che, mentre il complesso militare industriale russo è ben rodato, sviluppato e viaggia a pieno regime, quello europeo deve essere fatto ripartire dopo anni di disarmo pacifista e di abbandono. Da tempo ci sentiamo ripetere che non abbiamo abbastanza munizioni e che non siamo in grado di produrle. Non dobbiamo scegliere tra «burro e cannoni» o «pace e condizionatori», ma più semplicemente dotarci di uno strumento militare che corrisponda a una visione politica scevra da isterie propagandistiche. Strumento al momento inesistente. Ecco perché sono contrario alla guerra in Ucraina: perché l’Europa non è pronta, né dal punto di vista militare né da quello strategico, a sostenere un conflitto di questa portata.
#TGP #Russia #Ucraina #Europa
[Fonte: https://krisis.info/it/2025/02/temi/difesa/perche-io-generale-sono-contro-la-guerra-in-ucraina/]
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