Dazi Trump: l’Europa paga il conto per i paradisi fiscali interni
da LA FIONDA (Giuseppe Gagliano)

La scure è calata: Donald Trump ha annunciato dazi del 30% sulle importazioni dall’Unione Europea a partire dal 1° agosto. Una decisione che scuote Bruxelles e mette in fibrillazione le capitali europee, alle prese con un dilemma antico e mai risolto: come rispondere in maniera unitaria quando le divisioni interne sono così profonde da trasformare l’Europa stessa in un gigante dai piedi d’argilla.
La misura americana, giustificata dalla Casa Bianca come uno strumento per “riequilibrare la bilancia commerciale”, prende di mira un’UE che nel 2024 ha registrato un surplus di 235 miliardi di dollari verso gli Stati Uniti. Ma dietro il dato aggregato si nasconde una realtà molto meno uniforme.
Germania e Irlanda sotto tiro
A pagare il prezzo più alto saranno probabilmente l’Irlanda e la Germania. Il caso irlandese è emblematico: un paese di appena sei milioni di abitanti che, grazie a un regime fiscale agevolato del 15% (contro il 21% degli USA), è diventato un hub per colossi farmaceutici e tecnologici come Pfizer, Apple e Meta. Un artificio contabile che ha generato un surplus commerciale con Washington di 86 miliardi di dollari, quasi la metà del surplus complessivo dell’UE. Ma dietro la parvenza di un’economia florida, c’è una realtà ben più modesta: gran parte del valore aggiunto non resta in Irlanda, ma ritorna ai bilanci dei giganti americani che lì hanno solo spostato la sede fiscale.
Anche la Germania, tradizionale locomotiva manifatturiera europea, rischia grosso: con un surplus di 84,8 miliardi di dollari, Berlino dipende in larga misura dalle esportazioni di auto, acciaio e macchinari. Il Made in Germany, questa volta, potrebbe essere il bersaglio diretto di una politica americana che non distingue tra dumping fiscale e capacità produttiva reale.
Italia e Francia meno esposte, ma vulnerabili
Italia e Francia appaiono in seconda linea, ma non sono immuni. Roma, con un surplus di 44 miliardi di dollari, rischia nei settori agroalimentare, vitivinicolo e automotive. Parigi, con un avanzo di 16,4 miliardi, teme per l’aerospaziale, il lusso e le esportazioni di vini e cognac. Anche Austria e Svezia, con surplus rispettivi di 13 e 9 miliardi di dollari, potrebbero soffrire.
Paradisi fiscali: la frattura interna all’Europa
Il problema è più profondo della mera questione commerciale. La vicenda evidenzia la fragilità strutturale di un’UE che non ha mai risolto il nodo dei paradisi fiscali interni. Paesi come Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo continuano ad attrarre capitali esteri grazie a una fiscalità ultra-agevolata, erodendo le basi produttive degli altri membri e falsando le statistiche commerciali.
Quando Trump colpisce l’Europa, colpisce in realtà un costrutto artificiale: un continente dove l’industria reale tedesca o italiana viene accomunata alle operazioni finanziarie di aziende americane che hanno stabilito una sede nominale a Dublino o ad Amsterdam. E così la risposta unitaria diventa un miraggio.
Un bivio per l’UE
Le contromisure europee sono un rebus. Un’escalation di dazi rischia di danneggiare proprio quei paesi esportatori “veri” che già soffrono per la concorrenza fiscale sleale interna. È un cortocircuito che smaschera l’illusione di una solidarietà europea: l’UE pretende coesione esterna quando non riesce a garantirla nemmeno al suo interno.
Per l’Italia, e in misura simile per la Germania, forse è il momento di ripensare i rapporti con gli Stati Uniti al di fuori dei vincoli di Bruxelles. Gli accordi diretti per l’importazione di GNL americano a prezzi equi, svincolati dal TTF olandese e dal cartello del gas del Qatar, potrebbero rappresentare una via d’uscita pragmatica. Ma una cosa è certa: non possiamo continuare a pagare il conto per paradisi fiscali che, se fossero nei Caraibi, sarebbero già finiti nella lista nera dell’OCSE.
Se l’Unione non trova il coraggio di affrontare i suoi pirati fiscali interni, allora non resta che il vecchio adagio: ognuno per sé, Dio per tutti.
FONTE: https://www.lafionda.org/2025/07/14/dazi-trump-leuropa-paga-il-conto-per-i-paradisi-fiscali-interni/





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