Xinjiang – novembre 2025
Nelle distese aride del deserto del Gobi sta nascendo qualcosa di straordinario, qualcosa che sfida le concezioni tradizionali di sviluppo e modernizzazione. Lo Xinjiang, vasta regione nel cuore dell’Eurasia a due passi dalla Mongolia, non è semplicemente una provincia cinese in via di sviluppo – è il laboratorio vivente dove si sta scrivendo il futuro energetico del pianeta.
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Ciò che colpisce immediatamente arrivando qui è la contraddizione apparente che invece funziona perfettamente. Un sistema socialista con un’economia capitalista, un partito unico che guida un mercato vibrante e innovativo. Mentre l’Occidente si arrovella su ideologie obsolete, la Cina ha creato qualcosa di unico: un ibrido che combina pianificazione statale lungimirante con l’agilità del mercato e l’innovazione tecnologica.
Quando scrivevo “Maonomics” oltre un decennio fa, avevo intuito il potenziale di questo modello, ma non avevo previsto che i risultati positivi arrivassero tanto velocemente. Oggi, vedendolo all’opera nello Xinjiang, posso confermare: le mie previsioni non solo si sono avverate, ma la realtà le ha superate. La Cina si è modernizzata in modo pacifico, in tempi record e lo ha fatto mantenendo la propria identità culturale. A differenza della Corea del Nord, si è aperta al mondo, un’apertura che non ha comportato l’omogeneizzarsi alla cultura occidentale. Nello Xinjiang non si trovano McDonald’s a ogni angolo di strada, ma ristoranti che offrono piatti provenienti dalle 23 etnie presenti nella regione e si respira un’aria di autenticità e diversità che ormai in Occidente abbiamo dimenticato.

I dati sono impressionanti: 104,8 milioni di kW di capacità rinnovabile installata, con 40,37 milioni di kW aggiunti solo nel 2024. Ma i numeri da soli non rendono giustizia alla portata di ciò che sta accadendo. Quello che vediamo qui è la trasformazione di una provincia con grandi potenzialità energetiche in un modello nuovo globale.
Le riserve? 450 miliardi di tonnellate di carbone (25% del totale cinese), 4,2 miliardi di kW di potenziale solare (26,9% nazionale), 1 miliardo di kW di potenziale eolico (18% nazionale). Ma la vera rivoluzione non sta nell’abbondanza delle risorse, bensì nella visione strategica con cui tutte vengono gestite.
A Hami, conversando con Liu Xiaobo, presidente della Commissione per lo Sviluppo e le Riforme, ho capito la profondità della transizione. In dieci anni, la capacità installata è più che raddoppiata, superando i 23 GW. Oltre il 40 per cento del mix energetico locale è già rinnovabile. Ma ciò che veramente conta è come stanno risolvendo il problema fondamentale delle rinnovabili: l’intermittenza.

“La tecnologia di accumulo è la chiave”, mi spiega Liu. E infatti vedo all’opera sistemi diversificati: batterie a flusso di vanadio nel Parco Industriale Fotovoltaico di Shichengzi, nel deserto Gobi, pompaggio idroelettrico, e soprattutto una riconversione intelligente del termoelettrico, che da fonte primaria diventa “stabilizzatore” di rete.
La centrale solare termodinamica a torre con sali fusi da 50 MW nel deserto del Gobi è forse la cosa più bella che abbia visto in questo viaggio. Non solo per la sua efficienza – produce energia 24 ore al giorno – ma per la sua estetica. Una distesa immensa di specchi che riflettono il sole verso una torre centrale crea un paesaggio futuristico che sembra uscito da un film di fantascienza.

E poi le batterie. Visitando il parco fotovoltaico di Hami, ho capito che la soluzione all’intermittenza è già qui. La capacità di immagazzinare l’energia rinnovabile cambia tutto e qui ad Hami esiste. Non è più una questione di produzione, ma di gestione dell’energia verde. E in questo, la Cina è anni luce avanti all’Occidente.
All’Istituto Tecnico-Professionale Ferroviario di Hami, che ha appena lanciato il primo corso di laurea in rinnovabili, vedo realizzato ciò che fino a ieri era solo teoria: ogni edificio è una centrale elettrica, una visione futurista che avevo preannunciato in Maonomics e che oggi e’ realta’. Pensiline fotovoltaiche che ricaricano veicoli elettrici, pavimentazioni che producono energia, lampioni ibridi solari-eolici, facciate in perovskite che trasformano gli edifici in generatori.

Tutto cio’ non è solo tecnologia – è una filosofia energetica. L’integrazione tra didattica e industria, tra teoria e pratica, rappresenta l’unica risposta possibile all’avanzare dell’intelligenza artificiale. È la cooperazione “umana” che può prevenire il sopravvento delle macchine e che le può piegare ai bisogni della società.






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