Uscita dall’euro: quanti soldi ci deve la BCE?
Come ogni anno, quando si avvicina la fine, comincia puntuale la girandola delle previsioni sulla crescita prossima ventura. Qualcuno, fulminato sulla via di Bruxelles, comincia a vedere la luce in fondo al tunnel e folgorato dall’abbagliante miraggio, inizia a diffondere in giro i numeri che ha visto durante i momenti dell’estasi. In particolare il governo Letta ha dato le sue stime del miracolo: 1% di aumento del PIL nel 2014, 2% nel 2015. Ha usato numeri semplici, facilmente memorizzabili. Una serie aritmetica di ragione 1. Poteva anche usare la ragione 2 per dare più coraggio e speranza al popolo vessato: 2% nel 2014, 4% nel 2015, 6% nel 2016. Oppure la serie di Fibonacci: 1,1, 2, 3, 5, 8, 13 e così via. Pensa che bello, saremmo cresciuti nella stessa maniera in cui si riproducono i conigli. Ovviamente i fulminati hanno gioco facile a sparare numeri a caso, contando sul fatto che gli italiani hanno la memoria corta e sono troppo impelagati con le contingenze del presente per ricordarsi le dichiarazioni di un anonimo presidente del consiglio di cui molto presto non sentiremo più parlare. Renzi incombe, lui è il nuovo che avanza. E ha la benedizione del solito granitico manipolo di gonzi del PD per continuare a distruggere l’Italia.
Eppure, tutti noi ormai stiamo vivendo sulla nostra pelle o a un palmo dal nostro naso, quali siano davvero le cifre che contano in una nazione: il numero di suicidi, la disoccupazione, i cassaintegrati, gli esodati, gli emigrati, la perdita del potere di acquisto, le aziende che chiudono, il calo della produzione industriale. Cosa volete che conti l’aumento di un misero punto percentuale di PIL in mezzo a un deserto sociale ed economico, come quello che abbiamo davanti gli occhi tutti i giorni. Il PIL può aumentare perché aumentano le rendite degli speculatori o diminuiscono le importazioni, oppure più semplicemente perché aumenta l’anemica inflazione, senza creare un solo posto di lavoro in più. Il PIL insomma può aumentare mentre il deserto intorno a noi continua inesorabilmente ad avanzare. Tuttavia, grazie alla mobilitazione dei forconi e alla loro lenta ma irreversibile presa di coscienza, abbiamo capito una cosa importante. Sebbene in modo ancora frammentario e approssimativo, la gente ha capito qual è la causa principale dei nostri problemi: l’euro. Dal micidiale aggancio rigido del 1979, passando per il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro del 1981 fino alla perdita definitiva della sovranità monetaria del 1999. Senza la leva valutaria del tasso di cambio e strangolato dai vincoli di bilancio, uno Stato può solo assistere impassibile al suo declino. La legge di Murphy non sbaglia mai: se una cosa può andare male prima o dopo lo farà. E l’euro che è uno dei progetti più strampalati e sbagliati della storia non poteva che finire così. Nel caos, nella rivolta sociale, nel disordine istituzionale.
E intanto, mentre cresce la protesta, abbiamo capito che tutti i mali endemici del nostro paese, la corruzione, la casta, l’evasione fiscale, la malavita, sono solo dei dannosi effetti collaterali che non hanno nulla a che vedere con la ripresa dell’economia. Una bazzecola in confronto ai fiumi di soldi che andranno via dall’Italia in seguito all’adesione ai trattati europei, dai fondi di salvataggio al Fiscal Compact, agli insostenibili interessi sul debito, alle perdite per mancanza di competitività, alle crescenti uscite per pagare i sussidi di disoccupazione, alla scomparsa della capacità produttiva e delle competenze imprenditoriali e tecniche, alla svendita del patrimonio pubblico e privato italiano. Come dire che per prendere un camorrista basta rinforzare gli organi di polizia e di magistratura, ma per fare un operaio qualificato servono invece anni e anni di dedizione e formazione. E abbiamo capito che le misure di austerità servivano solo a renderci più poveri, a creare maggiore disoccupazione, ad abbassare le nostre pretese salariali, ad equilibrare i nostri conti con l’estero riducendo le importazioni, mentre numeri (questa volta consuntivi) alla mano, i tagli alla spesa e gli aumenti di tasse hanno peggiorato i nostri conti pubblici. La favoletta che lo Stato funziona come una famiglia e se risparmia crea i presupposti per la crescita, ormai viene creduta soltanto da chi non riesce a capire il funzionamento delle tabelline, delle moltiplicazioni, delle frazioni. Non conosce la differenza fra micro e macroeconomia. Non sa che l’economia è spesa e senza spesa non c’è economia.
E abbiamo capito che se le banche non prestano più o la gente e le imprese non si indebitano, la moneta scompare dal mercato e senza moneta non possiamo più finalizzare i nostri scambi o rimborsare i nostri debiti precedenti, con tutto ciò che ne consegue in termini di recessione senza fine e fallimenti a catena. E abbiamo capito che l’unico interesse dei tecnocrati di Bruxelles è il salvataggio delle banche e le loro interminabili riunioni notturne servono solo a decidere se a pagare debbano essere i governi, i contribuenti oppure gli obbligazionisti, gli azionisti e i correntisti delle banche con i prelievi forzosi. Cioè sempre noi cittadini, perché ormai è stato deciso nei piani alti che tutti devono pagare le perdite delle banche tranne coloro che hanno realmente creato i buchi di bilancio con la loro pessima gestione finanziaria. E abbiamo capito che la Germania non ha alcuna intenzione di fondare i favolosi Stati Uniti d’Europa, perché ciò comporterebbe un trasferimento perenne di ricchezza dal nord al sud del continente. E abbiamo capito anche che i tedeschi, in occasione proprio degli accordi sull’unione bancaria, hanno messo un limite temporale all’euro: 10 anni. Fino al 2024 infatti i panni sporchi delle banche verranno lavati innanzitutto all’interno dei singoli paesi di residenza, non ci sarà alcuna mutualizzazione delle perdite, i tedeschi non pagheranno più per salvare gli altri, dopo invece si vedrà. E in quel dopo sono sottointesi tutta la diffidenza e lo scetticismo che ormai la Germania nutre sulla possibilità di sopravvivenza dell’euro. E abbiamo capito infine che la Storia non fa sconti a nessuno e se qualcuno, per quanto abile e potente esso sia, cerca di riportare indietro le lancette della Storia, interrompendo bruscamente il cammino di emancipazione dei popoli dalla schiavitù e dall’oppressione, prima o dopo paga dazio.
E’ vero che c’è stato un periodo ormai lontano nel passato in cui gli interessi dei singoli potevano spontaneamente e inconsapevolmente indirizzarsi verso l’interesse della collettività, Smith non era un balordo, ma un profondo conoscitore delle dinamiche economiche e politiche della società in cui viveva. Ma Smith non poteva sapere che più di duecento anni dopo i suoi studi, i processi di concentrazione e fusione avrebbero creato alcuni singoli, alcune società, alcune multinazionali, alcuni colossi bancari capaci di eguagliare e in certi casi superare la capacità finanziaria di interi Stati, mettendo in aperto conflitto i propri interessi con quelli della collettività. Smith, consapevole dell’importanza giuridica e regolatrice degli Stati e sinceramente persuaso dei benefici della libera concorrenza, sarebbe impallidito al solo pensiero di una simile distorsione. Il buon Smith avrebbe tuonato inorridito che non può esistere una società privata capace di concorrere con la responsabilità legislativa e la funzione di garante dei diritti dello Stato, e se una mostruosità del genere è accaduta è solo perché lo Stato non è riuscito a far rispettare i vincoli della libera concorrenza, che in teoria (e solo in teoria purtroppo) non avrebbero potuto ammettere l’espansione di una società privata oltre un certo limite.
Smith era in primo luogo un giurista e un filosofo affascinato dai meccanismi di scambio e produzione, e non poteva prevedere le derive dell’infernale commistione fra sfera pubblica e sfera privata, che consente oggi a banchieri e politici di scambiarsi ruoli e poltrone incuranti dei danni economici e crimini sociali di cui si rendono continuamente protagonisti. Tuttavia se al tempo di Smith l’idea salvifica della massimizzazione dell’interesse privato poteva funzionare, data la ridotta dimensione del nascente settore privato capitalista e bancario, oggi il paradigma va completamente ribaltato: soltanto perseguendo l’interesse della collettività, attraverso un rafforzamento delle istituzioni pubbliche dello Stato, sarà possibile sperare di difendere i propri interessi individuali di privati cittadini dall’aggressione feroce di quella parte ingigantita e fuori controllo del settore privato stesso. E’ una guerra senza quartiere per la sopravvivenza: o vincono loro oppure noi. Non ci sono vie di mezzo. O i giganti tornano bambini, attraverso una lenta ma determinata attività di regolamentazione e riconquista dello spazio pubblico di manovra, oppure noi finiremo per essere sbranati dalle loro fauci. Questa volta la mano invisibile che dovrà indirizzare inconsapevolmente tutte le nostre scelte future sarà l’interesse collettivo, il quale in un mondo complesso come quello attuale è l’unico che può garantirci un duraturo e stabile benessere privato. Dopo Smith, sono arrivate per fortuna migliaia e migliaia di pagine sulla teoria di giochi per spiegarci come i processi di coordinamento e cooperazione fra gli individui riescano a massimizzare meglio i singoli obiettivi rispetto alla sregolata condotta competitiva e aggressiva degli operatori. E purtroppo per noi, le grandi imprese ci hanno preceduto su questo cammino e conoscono talmente bene le suddette teorie da averle usate per costruire i cartelli, i trust, le holdings, i monopoli, gli oligopoli, gli organismi internazionali che ci stanno massacrando.
Tuttavia siccome la Storia è più potente di qualsiasi gruppo di potere costituito e la Storia ha posto sempre un argine alla diffusione delle dittature, militari o finanziarie che siano, ecco che comincia a piccoli passi la controffensiva popolare e democratica. Iniziata con i movimenti no global, continuata attraverso i presidi dei ragazzi di Occupy Wall Street e indignados, e infine inoculata all’interno di alcuni partiti politici tradizionali, come il Front National in Francia o il Movimento 5 Stelle e la Lega in Italia. O in nuove e promettenti associazioni politiche come la nostra, che ha fatto della regolamentazione finanziaria e del ritorno alle linee guide costituzionali il maggiore punto di forza del nostro programma. Qui in Europa la lotta al leviatano della finanza sta sempre più prendendo la forma di un convinto e ben documentato anti-europeismo, dato che quest’ultimo è stato la base istituzionale che ha consentito a banchieri e multinazionali di taglieggiare i popoli e i lavoratori europei. Il tentativo estremo di tutti i faccendieri e lobbisti d’Europa di scalzare la normale dialettica democratica e la prassi politica degli Stati nazionali, per mettere al centro delle trattative unicamente i loro affari e profitti. Tentativo tanto ardita quanto fallimentare. Non ci riusciranno. Hanno già perso. Il popolo ha iniziato a capire. Questi ultimi frenetici colpi di coda per continuare a depredare le nazioni sono la più palese rappresentazione della loro sconfitta. Ormai non costituisce più vergogna andare in giro con la bandiera del proprio paese sulle spalle, mentre quel pezzo di stoffa blu con dodici stelle gialle in cerchio viene sempre più associato nell’immaginario collettivo ai regimi totalitari, al nazismo, al fascismo, al medioevo. Il cambio di rotta è già avvenuto nella testa della gente. E chiunque abbia un minimo di conoscenza della Storia, sa che la creazione di un simbolo o un mito negativo contro cui combattere è il primo passo indispensabile per convincere la gente a combattere davvero nelle strade e nei palazzi che contano. Per rimettere al centro la sovranità popolare al posto di quella elitaria o dinastica.
Oltre alla denuncia, è nostro dovere quindi riflettere sulla fase costruttiva e cominciare a ragionare su cosa succederà dopo la cacciata dei tiranni. Si dovrà in particolare capire come verranno gestiti lo smantellamento dei caracollanti palazzi di Bruxelles, Francoforte e Strasburgo e la transizione ai rinnovati istituti democratici nazionali. Se parlamentari, commissari, burocrati, lobbisti vari verranno rimpatriati e giudicati secondo le loro colpe, appare molto più complessa la risoluzione delle controversie che potrebbero sorgere in seguito alla messa in liquidazione della Banca Centrale Europea BCE, il vero fulcro di potere e ricchezza finanziaria dell’attuale classe dominante. La BCE infatti ha un capitale sociale di circa 10 miliardi, di cui 1,25 miliardi versati da Banca d’Italia (12,5% di quota azionaria), che in teoria andrebbero persi nel caso in cui l’euro scomparisse come moneta. Ma rimarrebbe ancora in piedi la questione legata alla ridenominazione degli attivi di bilancio che ad oggi superano i 200 miliardi. La parte di attività in euro dovrà sicuramente essere ridenominata nelle varie valute nazionali e poi utilizzata per coprire le passività in euro, rappresentate principalmente dai depositi di riserve detenuti dalle varie banche europee e straniere. Mentre ben altra destinazione dovranno avere le attività denominate in moneta straniera e le riserve auree, visto che Banca d’Italia ha versato a suo tempo 5 miliardi complessivi di oro (15% del totale) e valuta estera (yen e dollari). Queste riserve dovranno rapidamente rientrare in patria e servire come ulteriore garanzia a sostegno del corso della nuova lira, qualora dovessero iniziare improbabili attacchi speculativi ribassisti nei confronti della nostra moneta nazionale. A chi interesserebbe infatti una lira troppo svalutata? Non certo a tedeschi, francesi e americani, che con la nostra ritrovata competitività commerciale dovranno fare i conti.
I 900 e passa miliardi di banconote circolanti di proprietà del portatore verranno convertite a vista in nuove monete nazionali dalle rispettive banche centrali, mentre gli attivi corrispondenti alla parte di banconote trattenuta dalla BCE (73 miliardi circa) verrà nuovamente spartita fra le autorità monetarie dell’eurozona. Ma c’è un altro grande mistero che aleggia intorno alla faccenda della liquidazione della BCE, che riguarda i famigerati crediti/debiti del sistema di pagamento transfrontaliero TARGET2. Secondo i ripetuti chiarimenti forniti dagli stessi funzionari e governatori della BCE, questi saldi contabili sarebbero solo degli indicatori statistici e non avrebbero alcun valore effettivo, ma c’è da giurarci che i tedeschi, i quali hanno maturato negli anni un credito di oltre 500 miliardi, rivendicheranno il risarcimento di questa quota in valuta estera. Trattandosi infatti di crediti e debiti delle banche centrali che si maturavano ad ogni scambio commerciale o finanziario che avveniva fra i residenti dei paesi membri dell’eurozona, questi saldi rispecchiano quello che un tempo veniva finalizzato tramite i passaggi di valuta nazionale. Se venisse concordata questa linea di pensiero, l’Italia, che ha un debito di 200 miliardi circa, dovrebbe conferire ai creditori, in base ad un preciso programma di rientro, il corrispettivo in moneta nazionale della passività maturata. Ma ripetiamo che si tratta di ipotesi, perchè essendo la moneta unica un’eccezione e un’anomalia senza precedenti nella storia internazionale, la sua frantumazione aprirà sicuramente parecchie diatribe e controversie.
La cosa importante da tenere sempre presente è però che l’euro finirà. Non sappiamo ancora bene come e quando, ma l’unica certezza su cui dovranno ruotare tutti i nostri ragionamenti, è che il destino della moneta unica è già segnato. I movimenti e i presidi del popolo sono i primi veri segnali di risveglio dell’Italia, da cui dovremo ripartire per ricostruire la nostra nazione dalle fondamenta. Dobbiamo essere così bravi e determinati da non far disperdere tutte queste energie positive, cercando di farle convogliare in una proposta politica seria, credibile, efficace. Dato che l’euro è stato più uno strumento politico di abbattimento degli Stati nazionali, è con la politica, all’interno dei parlamenti e dei governi, che dobbiamo scardinarlo. Noi ci siamo e ci saremo sempre in questa lotta decisiva, con tutta la nostra buona volontà e l’amore che nutriamo per il nostro paese. Perché è chiaro che quando si scatenerà il caos e il panico nella gente, bisognerà stare attenti allo sciacallaggio disordinato e agli ultimi disperati tentativi di sopravvivenza dell’inqualificabile classe dirigente uscente, che tenterà sicuramente di saccheggiare ancora tutto ciò che è sfuggito ai nostri calcoli e alle nostre previsioni. Qualcuno forse lascerà l’Italia, qualcuno cercherà di mischiarsi e confondersi nella folla, qualcun altro in modo sfrontato e indegno tenterà ancora di difendere l’indifendibile. E prevediamo già che questa battaglia sarà dura, complessa, in certi casi anche violenta, ma alla fine, come ripetiamo spesso, ci libereremo!!!
Piero Valerio (ARS Sicilia)
Brava l'ARS, siete gli uniciu che ci provano.
Avete capito che l'uscita dall'euro sarà un bel massacro; necessario perché l'alternativa sarebbe la progressiva e irreversibile schiavitù, ma sarà una lotta durissima alla quale bisognerà presentarsi preparati e uniti.
Questa consapevolezza è un segno importante.
Tenete duro perché la situazione diventerà a mano a mano sempre più confusa e drammatica; a quel punto la gente cercherà dei gruppi organizzati che abbiano delle idee chiare, la capacità di guidare la protesta e lì potrete finalmente imporvi se avrete saputo prepararvi e organizzarvi.
La situazione storica è talmente fluida che può succedere di tutto.
TheBluSkeptic
hai compreso perfettamente il nostro progetto, quindi ci segui. Se ci scrivi un messaggio su italiasovrana@gmail ti contattiamo. Il progetto presuppone che si riesca a piazzare le bandierine dell'ARS per tutta la penisola e nelle meravigliose isole.