Piero Calamandrei su quel che resta da fare
«Gli uomini della Resistenza devono aiutare i nostri giovani»
No, il compito degli uomini della Resistenza non è ancora finito. Bisogna che essa ancora sia in piedi. È difficile determinare i suoi compiti; ma tutti sentiamo che c’è ancora qualche cosa da fare.
Intanto, c’è ancora da far conoscere, dopo dieci anni, che cosa la Resistenza fu. Gli italiani ancora non lo sanno; anche coloro che ne fecero parte non sanno appieno quanta ne fu l’estensione e la grandezza. Specialmente i giovani, i giovanetti che vengono su ora, ignorano tutto di essa.
Quando furono commemorati, un mese fa, i fratelli Cervi, il sentimento generale, anche tra gli uomini della Resistenza, fu la commossa meraviglia; nessuno si immaginava la possibilità di tanta grandezza in quella famiglia di gente semplice ed oscura. E così per altri cento episodi.
I ragazzi delle scuole imparano chi fu Muzio Scevola o Orazio Coclite, ma non sanno chi furono i fratelli Cervi. Non sanno chi fu quel giovanetto della Lunigiana che, crocifisso ad una pianta perché non voleva rivelare i nomi dei compagni, rispose: «Li conoscerete quando verranno a vendicarmi», e altro non disse. Non sanno chi fu quel vecchio contadino che, vedendo dal suo campo i tedeschi che si preparavano a fucilare un gruppo di giovani partigiani trovati nascosti in un fienile, lasciò la sua vanga tra le zolle e si fece avanti dicendo: «Sono io che li ho nascosti (e non era vero), fucilate me che sono vecchio e lasciate la vita a questi ragazzi».
Non sanno come si chiama colui che, imprigionato, temendo di non resistere alle torture, si tagliò con una lametta da rasoio le corde vocali per non parlare. E non parlò.
Non sanno come si chiama quell’adolescente che, condannato alla fucilazione, si rivolse all’improvviso verso uno dei soldati tedeschi che stavano per fucilarlo, lo baciò sorridente dicendogli: «Muoio anche per te… viva la Germania libera!».
Tutto questo i ragazzi non lo sanno: o forse imparano, su ignobili testi di storia messi in giro da vecchi arnesi tornati in cattedra, esaltazione del fascismo ed oltraggi alla Resistenza.
Gli uomini della Resistenza devono aiutare i giovani, che saranno i governanti di domani, a diventare la nuova classe politica, consapevole del recente passato e custode dei valori che questo recente passato ha lasciato all’avvenire. La Resistenza non è un partito: non deve essere un partito. Ma essa può essere ancora un incontro, un colloquio, una presa di contatto, un dialogo: un avviamento, fra avversari politici, ad intendersi ed a rispettarsi.
Il mondo è purtroppo diviso in compartimenti stagno, da grandi muraglie invalicabili, senza porte e senza finestre: ma queste mura non sbarrano soltanto quella linea che ormai si suol chiamare la cortina di ferro e che taglia il genere umano in due emisferi ostili. Mura altrettanto invalicabili ci attorniano, sui confini, nell’interno degli stati, spesso nell’interno della nostra coscienza: le mura del conformismo, dell’imperialismo, del colonialismo, del nazionalismo; le mura che separano la miseria dal privilegio e dalla ricchezza spudorata e corrotta.
Questo è ancora, secondo me, il compito della Resistenza. È inutile qui ricercare le colpe per le quali siamo arrivati a questa tragica visione del mondo: forse non c’è partito e popolo che non abbia la sua parte di colpa. Ma gli uomini che appartennero alla Resistenza devono fare di tutto per cercare che queste mura non diventino ancora più alte, che non diventino torri di fortilizi irte di ordigni di distruzione. Debbono ricercare i valichi sotterranei, attraverso i quali, in nome della Resistenza, combattendo in comune, si possa far passare ancora una voce, un sussurro, un richiamo. Quello che unisce, non quello che separa: rifiutarsi sempre di considerare un uomo meno di un altro solo perché appartiene ad un’altra razza, o ad un’altra religione, o ad un altro partito.
Durante la lotta clandestina, quando i prigionieri erano chiusi ognuno nella sua cella, riuscivano tuttavia a comunicare attraverso il muro con un linguaggio convenzionale di colpi battuti sulla parete: come i battiti di un cuore parlante. Separati dalle mura del carcere, riuscivano ad intendersi anche attraverso il muro. Anche noi, in questa età di nuove prigioni, bisogna cercare di intenderci, col battito del cuore, attraverso i muri che dividono il mondo.
Uomini della Resistenza, questo è il vostro compito: continuare, riaprire il dialogo della ragione e creare (ché ancora siamo in tempo) non in un solo partito ma in tutti i partiti, una nuova classe politica di giovani che porti, nella vita politica, quella serietà civica, quell’impegno religioso di sincerità e di dignità umana che fu il carattere distintivo della Resistenza: questo senso di autoresponsabilità, questa volontà di governarsi da sé: antipaternalismo, anticonformismo, antimmobilismo. Giustizia. Buonafede; bisogna che torni il tempo della buonafede!
In questo clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasioni fiscali, di dissolutezze e di corruzioni, di persecuzione, della persecuzione della miseria e di indulgente silenzio per gli avventurieri di alto bordo, in questa atmosfera di putrefazione che accoglie il giovane appena si affaccia nella vita, apriamo le finestre e i giovani respirino l’aria pura della montagna e sentano ancora i canti della epopea partigiana.
Questo è il compito purificatore della vita politica italiana che gli uomini della Resistenza, qualunque sia il loro partito, hanno ancora il dovere di assolvere. E far comprendere a questi ridicoli vociferatori che ogni tanto si illudono – come nell’incubo carnevalesco di Arcinazzo – di rimettersi a cantare le loro lugubri canzoni esaltatrici della violenza, far comprendere a questi miserabili rottami che domani, se occorresse (se occorrerà), tutti quanti coloro che si sentirono fratelli nella Resistenza – d.c. e comunisti, liberali e socialisti, contadini ed operai, studiosi e sacerdoti – tutti quanti si troverebbero (si troveranno) ancora insieme, tutti uniti contro il mostro, tutti uniti in difesa della civiltà indivisibile. Noi lo sappiamo bene, ma è bene che tutti lo sappiano: in Italia e fuori d’Italia.
Per questo oggi noi ci ritroviamo tutti intorno a te, Ferruccio Parri; di fedi diverse, di diversi partiti, ma tutti uniti contro il nemico comune: contro il fascismo che fu, che potrebbe tornare ad esser, in Italia e in Europa, in Germania e in Spagna, il nemico comune.”
Piero Calamandrei
Pubblicato su Patria Indipendente, n. 5 del 7 marzo 1954
Commenti recenti