Dopo l'euro il diluvio?
di CARLO CLERICETTI
Che cosa spinge un economista autorevole, uno di quelli per cui molti usano la definizione di “maestro”, a scrivere un articolo su un tema importante come le conseguente di una eventuale uscita dall’euro sparando numeri a casaccio? E’ quello che ha fatto Giorgio Lunghini, membro dell’Accademia dei Lincei, già presidente della Società italiana degli economisti, uno tra i più rilevanti esponenti del pensiero economico critico in Italia, che in un intervento sul Manifesto ha prefigurato uno scenario – per il caso che l’Italia abbandonasse la moneta unica – che definire catastrofico è persino riduttivo.
Immediata svalutazione della “nuova lira” minimo del 30, ma forse anche del 50-60%; inflazione subito al 15% e in aumento, che falcidierebbe i salari; fuga di capitali, default sul debito pubblico, fallimenti bancari; crollo del Pil del 40% il primo anno e del 15 all’anno per “almeno” i tre successivi. Queste, secondo Lunghini, sono alcune delle cose che accadrebbero. Una guerra atomica forse farebbe meno danni.
Più che nelle elaborazioni economiche, le motivazioni del proporre ipotesi del genere andrebbero forse cercate nel campo della psicologia. Data per certa l’onestà intellettuale della persona, Lunghini si è forse fatto travolgere dall’ansia di dar forza alla tesi che pensare a un’uscita dall’euro è improponibile, e dunque non bisognerebbe neanche discuterne. Ma, appunto, in questo modo si esce dal campo dell’economia.
Glielo hanno fatto notare, in una replica sempre sul Manifesto, sei economisti che, con tono molto pacato, esaminano le affermazioni di Lunghini alla luce sia della storia economica che del contesto in cui l’ipotetica uscita si collocherebbe. Si tratta di Sergio Cesaratto, Massimo D’Antoni, Vladimiro Giacché, Mario Nuti, Paolo Pini, Antonella Stirati.
Un crollo del Pil del 40%, osservano i sei, nella nostra storia ha un solo precedente: i cinque anni della seconda guerra mondiale. Quanto alla svalutazione successiva all’uscita, l’ipotesi che possa arrivare al 50% (in base a un 30% di competitività persa rispetto alla Germania) non tiene conto che fra i nostri 30 principali partner commerciali solo 8 sono dell’Eurozona e rispetto agli altri, che assorbono il 44% del nostro commercio, abbiamo già svalutato del 20% l’anno passato: è plausibile che lascino svalutare ancora così pesantemente la moneta di un concorrente?
Anche il decollo dell’inflazione, si osserva nella replica, non è plausibile. Non solo perché quel 20% di svalutazione già effettuata – e verso paesi da cui importiamo materie prime – non ci ha nemmeno risollevato dall’orlo della deflazione, ma soprattutto perché le esperienze di quest’ultimo periodo dovrebbero aver definitivamente escluso che ci sia un rapporto meccanico fra svalutazione e inflazione: Inghilterra, Polonia e Svezia, che hanno reagito alla crisi appunto svalutando (e in misura notevole: in media del 24,7%), hanno avuto un’inflazione media del 2,5%.
In coda c’è una risposta di Lunghini, che fa un po’ di retromarcia dicendo di aver “parlato di “stime”, e non di “dati” o di “fatti”: dunque è benvenuta qualsiasi correzione, soprattutto se così autorevole”. Poi però osserva: “Nessuno ha però ancora dato risposta alla domanda in cui consisteva il mio articolo: quali potrebbero essere le conseguenze positive di una uscita dalla Uem e dall’euro, per l’economia italiana tutta e in particolare per i lavoratori?”. E’ probabile dunque che il dibattito avrà un seguito.
In questo modo, però, Lunghini presuppone che chi ha replicato alle sue cifre lo abbia fatto perché propugna un’uscita dall’euro, magari domani. Ma questo nell’intervento non c’è scritto. I sei firmatari pensano certamente che fuori dall’euro staremmo meglio, ma non sono così ingenui da pensare che fare questo passo sarebbe un’allegra scampagnata. Sanno bene che ci siamo cacciati in una trappola, e che uscirne è molto più difficile di quanto non sia stato entrarci. Però, visto che questa trappola ci sta distruggendo – e anche che non è detto che a un certo punto non esploda da sola – non è sbagliato riflettere a tutte le possibili alternative. E farlo, magari, soppesando pro e contro in modo realistico, senza lasciarsi andare né all’ottimismo né al catastrofismo, che con il pensiero razionale non hanno nulla a che fare.
fonte: http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2016/10/03/dopo-leuro-il-diluvio/
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