Non serve nessun nuovo governo
di ALESSANDRO GILIOLI
Non so se sono l’unico a trovare un po’ grottesche le più gettonate possibilità di uscita dalla crisi, quelle che circolano in questi giorni. Tipo un governo Padoan, Gentiloni, Franceschini, Calenda etc.
Grottesche perché basse e dannose, con tutto il rispetto per i signori di cui sopra.
Basse: si tratta di ministri uscenti, perfettamente coerenti con il governo Renzi, semplicemente di seconda fila rispetto al premier uscente; e allora non si capisce bene che cosa potrebbero dare in più e di diverso, sarebbero solo gestione degli affari correnti, cioè quella cosa che la Costituzione affida già al presidente del consiglio dimissionario.
Dannose: perché in ogni caso governicchi, nati con la data di scadenza già bella stampata in fronte, fatti per tirare a campare, rimandare e temporeggiare, giochicchiare a tirar la primavera (o, peggio, l’autunno) mentre fuori ci sono 17 milioni di persone a rischio povertà, disastri sociali, voucher e fughe all’estero appena si può.
Bisognerebbe quindi provare a tirarsi fuori dalle dinamiche contingenti di Palazzo (le consultazioni, le correnti armate, il totoministri etc) e riannodare i fili dall’inizio, per vedere una possibile soluzione migliore.
Riannodare i fili dall’inizio di questa legislatura, dico.
Nata su tre blocchi, due dei quali si sono poi divisi al loro interno e fortemente sfarinati. Partita con grandi ambizioni di riforma delle regole, che tuttavia sono andate tutte a sbattere. Che ci ha lasciato (grazie, eh) una vigente legge elettorale per la Camera pessima, probabilmente incostituzionale e pensata solo per la vittoria del Sì; e una vigente legge elettorale per il Senato fatta dalla Consulta e incompatibile con quella per la Camera. Il tutto senza aggiungere il deterioramento delle relazioni sociali e civili e l’aumento del tutto-contro-tutti a ogni piano e in ogni angolo della società.
Tralascio di parlare di quelli che, dopo aver fatto i fenomeni, ci hanno lasciato così tanti danni, sia nelle regole sia nel Paese. Sono stati, fondamentalmente, degli irresponsabili.
Il punto ora è se di fronte a tutto questo la cosa migliore sia tirarla in lungo, con governicchi lontanissimi dai cittadini, frutto di manovre di palazzo e di alchimie tra correnti.
Oppure tracciare una bella linea e mettere la parola fine a una legislatura così pasticciata e dannosa.
Una legislatura talmente esplosa che oggi è rappresentata da 10 gruppi parlamentari al Senato e 11 alla Camera di cui «solo 4 chiaramente riconducibili a liste elettorali che hanno partecipato alle politiche del 2013» (Openpolis), con diverse formazioni alle Camere che hanno nomi mai visti sulle schede elettorali (Grandi Autonomie e Libertà, Conservatori e Riformisti, Alleanza LiberalPopolare, Democrazia sociale, Civici e Innovatori) e che pure parteciperanno in questi giorni alle consultazioni, come se rappresentassero qualcosa nel Paese. E una legislatura in cui, tra l’altro, il 27 per cento degli eletti è passato da un gruppo all’altro almeno una volta, per complessivi 380 cambi di casacca (sempre Openpolis).
Una legislatura marcia, insomma.
Ma soprattutto fallita.
Perché ha fallito il suo obiettivo dichiarato fin dal giorno degli applausi imbarazzati con cui accoglieva il discorso di reinsediamento di Napolitano, accreditandosi così un ruolo costituente che è stato bocciato dal Paese.
Ecco perché, se guardiamo alla parabola di questa legislatura, oggi sembrano grottesche e basse le ipotesi di prolungarne artificialmente la vita con un governo Padoan, Gentiloni, Franceschini o Calenda.
Ma ve li immaginate, giurare al Quirinale festeggiando un inizio che ha già in sé l’impronta della fine? Ma che effetti produrrebbe sul Paese vedere la manfrina di un nuovo premier e magari delle sue promesse, così stridenti con l’evidenza di un esecutivo triste, solitario y final?
Davvero non ne abbiamo bisogno. Davvero sarebbe un atto di responsabilità solo apparente, in realtà più irresponsabile del suo contrario, cioè il voto.
Per fare una legge elettorale decentemente omogenea tra le due Camere e che non sia incostituzionale bastano venti giorni. O basta riutilizzare una di quelle precedenti il Porcellum. O prendere il Consultellum e clonarlo per la Camera.
E per tutto questo non serve nessun nuovo governo, con tutto il suo cucuzzaro di campanelle scambiate, di foto di gruppo, di nuovi ministri sorridenti. Quello uscente, dopo i danni fatti, abbia almeno il coraggio e la responsabilità di fare il suo dovere fino a che lo richiede la Costituzione, invece di portarsi via la palla come un bambino capriccioso.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/12/09/non-serve-nessun-nuovo-governo/
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