Chi è e chi si crede d’essere Jared Kushner, genero e consigliere di Trump
di LOOKOUT NEWS (Luciano Tirinnanzi)
Mentre anche gli Stati Uniti scoprono il conflitto d’interesse, il genero fuoriclasse del suo staff è stato nominato consulente per il commercio e il Medio Oriente. Tra i primi dossier, la questione israelo-palestinese. Non proprio una passeggiata
Giovane imprenditore, facoltoso editore dello storico New YorkObserver, ebreo ortodosso che vuole la pace tra Israele e Palestina, consigliere della vincente campagna presidenziale del genero. Jared Kushner è tutto questo e di più. Un vero mistero della politica anche per i più attenti osservatori dell’arte di governo americana che, a partire dallo stesso Donald Trump, ancora non riescono a inquadrare ciò che sta accadendo lungo Pennsylvania Avenue, la strada che dal Campidoglio conduce alla residenza del presidente degli Stati Uniti d’America. È qui che tra pochi giorni, il 20 gennaio, s’insedierà il “clan dei Trump” cui oltre al tycoon, vanno aggiunti la figlia Ivanka e suo marito Jared, appena nominato consulente speciale per il commercio e il Medio Oriente.
Mentre il capo dello staff e il funzionario di transizione della Casa Bianca si stanno ancora domandando quale ufficio riservare al giovane rampollo dell’alta borghesia newyorchese, i maggiorenti del partito democratico sono già in subbuglio per la sua nomina. In particolare, i democratici si dicono preoccupati dal conflitto d’interessi e hanno richiamato l’attenzione della magistratura sulla legge anti-nepotismo che vieta al presidente di nominare familiari in ruoli chiave delle istituzioni americane.
Anche gli USA scoprono il conflitto d’interesse
A spiegare la situazione pressoché unica è stato l’avvocato di Kushner, Jamie Gorelick, già vice procuratore generale al tempo di Bill Clinton: Gorelick ha affermato che non ci sono molti esempi passati cui rifarsi e che comunque la legge anti-nepotismo non si applica allo staff della Casa Bianca ma solo al Gabinetto di governo, come confermato da un precedente pronunciamento del Dipartimento di Giustizia.
Il Congresso approvò la legge anti-nepotismo nel 1967, sei anni dopo che il presidente democratico John Fitzgerald Kennedy aveva nominato il fratello Bob ministro della Giustizia creando non poco astio nei suoi confronti (sappiamo bene che fine hanno poi fatto i fratelli Kennedy), mentre nel 1978 autorizzò il presidente ad assumere senza restrizioni il personale della Casa Bianca. Il tema tornò d’attualità con Bill Clinton nel 1993, quando l’allora first lady Hillary venne incaricata di presiedere una task force sulla riforma sanitaria nazionale: in quell’occasione, la corte stabilì che una legge federale anti-nepotismo non si sarebbe dovuta necessariamente applicare allo staff presidenziale. Ma, detto ciò, è più importante inquadrare la figura dell’influente milionario trentaseienne al fianco del presidente e del ruolo che andrà a occupare nella sua nuova amministrazione.
La storia di Jared Kushner
Jared è erede di una storica famiglia ebrea: i nonni, dopo essere sopravvissuti all’Olocausto fuggirono dalla Polonia nel 1949 e ripararono nel New Jersey – dove anche il giovane Jared crebbe, precisamente a Livingston – divenendo in breve immobiliaristi. Dopo aver studiato sociologia ad Harvard e aver conseguito un dottorato in giurisprudenza e un master in business administration alla New York University, Jared entrò nell’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan e poi, a ventisette anni, iniziò a gestire gli immobili di famiglia, guidando l’azienda con abilità e divenendo per questo uno dei giovani imprenditori più influenti al mondo, secondo Fortune.
Il padre Charles, uomo d’affari prima di lui, lo introdusse nel business immobiliarista fino a farne diventare un degno erede, ma fu anche coinvolto e incarcerato per evasione fiscale, contributi elettorali illegali e falsa testimonianza nel 2005. A incastrarlo fu l’allora procuratore del New Jersey, Chris Christie, tra l’altro amico intimo di Donald Trump, poi estromesso da un possibile ruolo di peso alla Casa Bianca – non a caso – proprio dopo l’ascesa di Jared. Charles è stato anche un generoso donatore del partito democratico, prima di donare ai repubblicani 100mila dollari per finanziare la campagna elettorale di Donald Trump.
Oggi suo figlio Jared possiede il 666 Fifth Avenue, un grattacielo a pochi isolati dalla Trump Tower, ed è proprietario del New York Observer, storica testata della Grande Mela da lui acquisita nel 2006. Secondo l’avvocato Gorelick, con la nomina a consulente della Casa Bianca, Jared è in procinto di dimettersi dal board delle aziende di famiglia e da editore dell’Observer, al fine di rispettare le leggi sull’etica e non intralciare la già troppo chiacchierata presidenza repubblicana del genero, che per parte sua ha da risolvere ancora altri personali conflitti d’interesse. Così come dovrà fare la figlia Ivanka, moglie di Jared che, pur non avendo avuto ancora alcun ruolo ufficiale alla Casa Bianca, dovrebbe abbandonare i ruoli esecutivi all’interno della Trump Organization così come i marchi di moda di cui è proprietaria.
Consigliere per il commercio e il Medio Oriente
Al netto del conflitto d’interessi del “clan dei Trump”, quel che più conta d’ora in avanti è capire come la storia recente di Jared s’inserirà nei dossier caldi della politica americana. Jared ha giocato un ruolo a dir poco influente nella campagna presidenziale di Donald Trump e per tutto il 2016, durante il periodo di transizione, è stato inserito (così come anche la figlia Ivanka) nelle riunioni-chiave con i leader stranieri. La sua nomina ufficiale recita: “consigliere per il commercio e il Medio Oriente”, il che la dice lunga sul compito che dovrebbe svolgere per conto del presidente.
Passi il ruolo nel commercio, dove lo stesso presidente ritiene di non aver bisogno di troppi consigli, ma in materia di politica estera, secondo i primi commenti entusiasti dei sostenitori di Trump, suo genero potrebbe addirittura “aiutare a risolvere il conflitto israelo-palestinese”. Lo stesso presidente eletto ha dichiarato più volte che gli piacerebbe essere ricordato come “quello che ha fatto la pace tra Israele e i palestinesi. Sarebbe davvero un grande risultato”. Di certo, Donald Trump oggi si sente molto più vicino a Israele (nonostante un passato di frasi e battute caustiche sul tema) di quanto non lo sia stato il predecessore Barack Obama, che ha portato ai minimi storici i rapporti tra i due paesi, complici l’accordo sul nucleare con l’Iran, il Memorandum of Understanding (MoU) relativo al prolungamento degli aiuti militari statunitensi alla difesa israeliana e l’antipatia ricambiata con il premier Benjamin Netanyahu.
Jared, che ha sposato Ivanka solo dopo che lei si è convertita all’ortodossia ebraica, è stato un notevole pontiere tra la comunità ebraica e i repubblicani filo-Trump; durante la campagna elettorale, è stato inoltre capace di ricostruire un rapporto persino con il governo Netanyahu. Questo giocherà certamente in suo favore quando darà corso al tentativo di resettare un rapporto storico, però raffreddatosi negli ultimi otto anni, e di rilanciare la politica degli Stati Uniti del “miglior alleato di Israele”. In proposito, non possono non giovare le parole di Trump, pronunciate attraverso il neo-ambasciatore USA in Israele, David Friedman: “Trasferiremo l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme”.
La sfida di Gerusalemme
Gerusalemme, come noto, è una città dall’alto valore simbolico sia per lo Stato di Israele sia per i palestinesi. Attualmente, Israele ha il controllo quasi completo della Città Santa, ma la comunità internazionale non ha riconosciuto l’annessione della parte Est, né identifica Gerusalemme come capitale dello Stato. Il trasferimento qui dell’ambasciata americana sposterebbe non poco il peso di questa visione politica, ma potrebbe anche trascinarsi dietro rivolte da parte della popolazione araba.
Parte della querelle sulla politica della “soluzione a due stati” – Israele e Palestina – passa anche per lo status ufficiale della Città Santa. È per la paura di far naufragare i negoziati di pace che gli Stati Uniti sinora hanno sempre rimandato l’applicazione del Jerusalem Embassy Act che la Camera dei Rappresentanti USA promulgò nel lontano 1995. In base a tale atto, si prevedeva proprio il trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme dopo sei mesi dall’entrata in vigore della legge. Ma alla sua attuazione è sempre stato opposto il veto presidenziale, secondo una consuetudine che dal 1995 a oggi ha contraddistinto le presidenze Clinton, Bush e Obama, i quali hanno puntualmente rinviato l’entrata in vigore dell’atto di sei mesi in sei mesi.
Con Donald Trump e Jared Kushner, adesso, questa consuetudine politica potrebbe interrompersi. Sarebbe uno dei più importanti atti in politica estera del mandato presidenziale del tycoon, nonché uno dei suoi più difficili banchi di prova, che cade proprio mentre ai confini israeliani infuria una guerra civile e mentre il disimpegno americano in Medio Oriente ha consegnato alla Russia uno smisurato potere negoziale nell’area. La precedente amministrazione aveva chiarito la propria posizione in merito. Valgano su tutto, le parole del Segretario di Stato, John Kerry: “La soluzione dovrà considerare Gerusalemme come la capitale condivisa di due stati e dovrà soddisfare non solo le due parti, ma tutte e tre le religioni monoteistiche. Gerusalemme non dovrà essere divisa come era nel 1967, e non ci sarà riconciliazione senza il rispetto delle ambizioni di entrambi i popoli di avere Gerusalemme come capitale”.
Dopo che Donald Trump si è esposto così tanto nell’affermare un principio per lui apparentemente fondamentale, e dopo che la storia del Medio Oriente ha ripetutamente deluso le attese in tal senso di politici ben più preparati, oggi il “clan dei Trump” sembra intenzionato a riprovarci. Su questa materia, prima che su altre, potranno essere valutati il peso e la capacità politica del giovane consigliere del presidente. Le aspettative sono altissime, ma gestire il Medio Oriente non è esattamente come gestire i condomini di New York. Vedremo presto come se la saprà cavare il giovane Jared Kushner e come la storia giudicherà l’operato del 45esimo presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/jared-kushner-trump-genero/
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