La neo-lingua per disattivare la costituzione lavoristica: e l’Euro è il suo profeta metamorfico (1a parte)
di ORIZZONTE48 (Luciano Barra Caracciolo)
“Ogni ordine sociale si basa su un’ideologia”
[F. Hayek, Legge, legislazione e libertà. Critica dell’economia pianificata]
PREMESSA INTRODUTTIVA- Con questo pregevole post, Francesco Maimone apre un filone che si dimostrerà particolarmente fecondo.
Anzitutto, perché consente di fare il punto riassuntivo, di quanto detto nel blog, sul quadro generale della ideologia-distopia che domina l’Unione europea.
In secondo luogo, perché si raccorda con immediatezza a tutte quelle diffuse, quanto inesatte, “credenze” che si possa “attuare la Costituzione”, combattendo l’epifenomeno, o effetto attuativo, della finanza-cattiva, ovvero della finanziarizzazione ordinamentale ed economica, senza aver presenti gli scopi e gli strumenti essenziali del disegno perseguito.
Senza questa chiarezza di visione dei fatti che ci occorre di subire, infatti, si arriva facilmente a un dissenso generico, quanto vago e inoperativo, sull’UE(M), e quindi a predicare che la costruzione €uropea possa essere “salvata” con “altri” trattati; e financo a voler mantenere l’euro, senza aver mai capito che esso è lo strumento principe, necessario e sufficiente, della finanziarizzazione (a favore di ristretti interessi finanziario-bancari) e la giustificazione principale della disattivazione della Costituzione: una disattivazione gravemente illegale (extraordinem!), perché incide sui suoi principi fondamentalissimi e non soggetti a revisione, mentre instaura uno “stato di eccezione” che si basa su un malinteso “primato della politica” (laddove tale primato dovrebbe essere della Costituzione).
Si tratta dello “stato di eccezione”, (dichiarato dai “mercati”), che, come ormai dovrebbe essere noto (se non lo fosse: studiate!), ridisloca la sovranità mutandone la titolarità rispetto alla previsione costituzionale: cioè l’euro è non solo il “motore” della concreta finanziarizzazione privata che stiamo subendo, ma distrugge la (tipologia di) sovranità democratica popolare prevista dall’art.1 Cost. connessa, nello stesso articolo, al fondamento “sul lavoro” (per quelli che “credono nelle Costituzioni”, ovviamente: non per quelli che le vogliono sabotare e distruggere, ovvero che non sono più in grado di capire cosa siano e si prestano, forse inconsapevolmente, al disegno dei primi).
Consiglio ai neofiti del blog, pertanto, di leggere i links inseriti fin da questa introduzione.
1. Obiettivo: la ristrutturazione totalitaria
Il neo-liberismo “(…) teorizza e attua, come prassi politica, un sistema di controllo sociale autoritario del conflitto.
Questo sistema di controllo, che pone capo una “diversa”, ma non meno intensa programmazione economica, come bene evidenzia Robbins, si realizza in varie forme, di cui le principali, contemporanee, sono il sistema mediatico e quello monetario.
Ma, su un piano più strettamente “finalistico” – a carattere “bio-antropologico-, questo sistema è funzionale ad una DEFINITIVA MUTAZIONE dell’orientamento psicologico e esistenziale dell’essere umano (cioè vuole invertire la sua autopercezione di essere capace di autodeterminarsi, sia pure entro limiti storicamente “convenzionali”).
Questa utopia-distopia, ben evidenziata da Orwell, fornisce alla Storia un formidabile paradosso: per strutturare la naturalità (scientifica) delle Leggi del mercato, e le loro conseguenze di gerarchizzazione sociale definitiva (come già nelle teorie teocratiche del medio-evo, da parte dell’aristocrazia terriera che, pure, svolgeva, in origine, una funzione difensiva del minimo di sopravvivenza delle comunità territoriali), il neo-liberismo ritiene indispensabile modificare la “natura” degli esseri umani, rendendoli propensi ad accettare la schiavitù come fatto normativo “fondante” [1].
1.1. A chi sia digiuno dell’argomento (e quindi, a questo punto, colposamente incosciente), dette conclusioni sembreranno poco famigliari.
Assumendo come particolare tema di studio quello del diritto fondamentale al lavoro, si tenterà tuttavia di dimostrare, con rigoroso approccio fenomenologico, come il neoliberismo non sia soltanto un modello di gestione economica ma che lo stesso è finalizzato in modo prioritario ad una specifica regolazione sociale nonché ad una ristrutturazione bio-psicologica degli uomini (assunta come necessità etica e morale) in tutti gli ambiti e con il rigoroso “consenso degli aventi diritto”.
Nella trattazione, ed al fine di comprendere come sia stato possibile in Italia assistere nell’arco di qualche decennio ad un ribaltamento di 180° dell’intero paradigma giuridico-costituzionale (e socio-culturale), si darà per acquisito proprio quest’ultimo, fondato sulla inscindibile sinapsi giuridica tra gli artt. 1, 3, comma II, e 4 Cost. con gli articoli della “costituzione economica” di indiscutibile ispirazione keynesiana.
2. L’irruzione del concetto di “occupabilità” come inconfondibile impronta della revanche neoliberista
Pietro Barcellona, giurista e filosofo, ci ricorda che “… Il problema dell’influenza del sistema mediatico e della propaganda, gestita nell’interesse di chi ne ha il controllo, non può essere affrontato senza un attento studio delle parole e della loro potenza conformativa. Sono convinto che oggi siamo quello che siamo perché siamo “parlati” da un linguaggio che non è espressione della nostra autonomia e della nostra consapevolezza…” [2].
Il pensiero riportato non potrebbe meglio adattarsi, come vedremo, alla presente indagine. La messa in circolazione, anche in campo lavoristico, di una specifica terminologia (sapientamente inoculata per anni ai cittadini ed avallata acriticamente anche da molti giuristi) dà il senso di come, attraverso una strategia neurolinguistica di tipo orwelliano, sia stato possibile giungere a radicali mutamenti giuridici-culturali con il fine programmatico di una completa trasvalutazione dei valori consensualmente accettata [3].
2.1. Innanzi tutto, come correttamente ci ricorda il giurista Riccardo Del Punta, l’analisi da cui prendere le mosse per comprendere la controriforma “tolemaica” approntata in Italia in campo giuslavoristico deve essere focalizzata
“…sulla tesi secondo cui il diritto del lavoro sarebbe un fattore diretto di disoccupazione, impedendo al mercato del lavoro di riaggiustarsi su un equilibrio di piena occupazione. Tale tesi è una discendente diretta del pensiero economico dominante, quello della c.d. scuola neoclassica, che tende a riassorbire le spiegazioni del funzionamento del mercato del lavoro all’interno della teoria dell’equilibrio concorrenziale, la quale a sua volta sostiene la tendenza dei mercati perfettamente competitivi a trovare naturalmente un livello di equilibrio fra domanda e offerta, attraverso il meccanismo dei prezzi. Le implicazioni che ne derivano sul piano della politica economica sono, evidentemente, liberistiche, tanto che tali teorie si possono considerare come l’espressione economica di quell’ideologia del mercato autoregolato che ha avuto il suo maggiore fautore, nel XX secolo, in Hayek…” [4].
2.2. Come sappiamo, il mercato del lavoro, nell’analisi neoclassica ottocentesca, è infatti un mercato alla stregua di tutti gli altri, nel quale la funzione equilibratrice è assolta dalle oscillazioni elastiche del salario.
Pertanto, qualsiasi intervento esterno si risolverebbe in un turbamento competitivo che impedisce al sistema di riordinarsi sul proprio equilibrio di efficienza. In tale prospettiva
“… le rigidità regolamentari nell’impiego del fattore lavoro ed i conseguenti costi economici del sistema di sicurezza sociale – che dilata progressivamente la platea dei soggetti protetti e l’intensità delle tutele – costituirebbero un ostacolo decisivo alla crescita economica ed allo sviluppo dell’occupazione, e pertanto si propugna una deregolamentazione generalizzata delle relazioni di lavoro ed una riforma del welfare in senso minimalista, quale ricetta privilegiata per competere sui mercati internazionali e sconfiggere la disoccupazione di massa. Solo eliminando le rigidità normative che impediscono alle imprese di variare liberamente le condizioni di impiego in aderenza alle fluttuazioni del mercato, sarebbe insomma possibile acquisire nuove quote di produzione, ristabilire un equilibrio virtuoso nel mercato del lavoro e realizzare un adeguato contemperamento degli interessi complessivi del mondo del lavoro …” [5].
2.3. L’ideologia neoliberista, nella convinzione secondo cui ciò che conta è offrire agli imprenditori quante più opzioni possibili nell’organizzazione dell’attività produttiva all’interno del libero mercato globalizzato, propugna in definitiva
“… una deregolamentazione radicale DEL MERCATO DEL LAVORO E DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI attuata attraverso una esaltazione dell’autorità imprenditoriale …” [6].
Trattasi, a ben vedere, di argomenti datati e che anche in Italia hanno trovato illustri teorici.
Già negli anni ’30, infatti, Luigi Einaudi, nell’elogiare il “prezzo di equilibrio di mercato” – definito come il “re del mondo economico” – e nell’esaltare gli imprenditori, sosteneva che “… resta il problema delle trincee che gli imprenditori hanno scavato attorno a sé per difendersi contro il tormento dell’ansia continua di intuire ed ubbidire alle segnalazioni del re prezzo. Costui equilibra il mercato, obbliga i produttori a modificare i piani produttivi per adattarli alle variazioni degli ostacoli e dei gusti; ma a quanta fatica sfibrante costringe gli imprenditori!
Non questi soltanto tendono ad asserragliarsi per creare attorno a sé uno specchio di acque tranquille in un mare in tempesta. Le altre categorie produttive non stanno paghe alla stipulazione del contratto a prezzo fisso. L’operaio teme che alla scadenza il salario sia ribassato, il proprietario e l’inquilino vorrebbero garantirsi un reddito o un onere fisso anche oltre il tempo della locazione, il risparmiatore paventa il fallimento del debitore. Ognuno cerca garanzie e tranquillità per il proprio reddito, difesa contro i soprusi dei più forti, i quali dalle munite trincee dei dazi, dei cartelli, dei brevetti, dei marchi impongono prezzi troppo superiori a quelli che sarebbero i prezzi di mercato in condizioni di concorrenza perfetta.
L’irrigidimento dei prezzi, dei salari, dei fitti, che fu proprio di epoche storiche trascorse, è ritornato ad essere uno dei fenomeni caratteristici del dopo guerra. L’irrigidimento impedisce il formarsi di un equilibrio, di quel cangiante mobile equilibrio fra sforzi e risultati, fra costi e prezzi, fra produzione e consumo, che solo ha ragione di chiamarsi veramente equilibrio” [7].
2.4. Un’ideologia, quella suddetta, ormai fulcro degli odierni mercati sovranazionali, che, affinché potesse però essere restaurata, aveva necessità di attingere ad un nuovo armamentario linguistico, creato per l’occasione.
Ed infatti, nel novero dei termini invalsi ed ormai comunemente accolti con valore tutt’altro che innocuo, appartiene sicuramente quello di “occupabilità” [8], concetto che in origine nasceva con finalità descrittive, intendendosi con ‘occupabile’ una persona adatta e disponibile al lavoro.
Solo negli anni ’50 si affermò quella che taluni studiosi battezzano “seconda stagione” del termine occupabilità [9], prevalendo quella di “flusso di occupabilità” (Flow employability), che poneva l’accento sulla problematica relativa alla domanda di lavoro e sull’accessibilità a quest’ultimo nell’ambito delle economie (locali e nazionali).
In sostanza, l’occupabilità così intesa aveva il compito di calcolare quali fossero le “reali probabilità oggettive” [10] di occupazione per una persona in cerca di lavoro [11]. E’ negli anni’80, tuttavia, che ha trovato definitivo ingresso nel vocabolario comune la “terza generazione” del termine occupabilità, stavolta generalmente intesa in senso “interattivo” (Interactive employability), definizione che è tuttoggi in auge e che si concentra in modo pressochè esclusivo, perché considerate di primaria importanza, sulle attitudini e abilità dei lavoratori. In questa direzione, “…conoscenza, abilità, tecnologia e impresa sono le parole chiave per la competitività e la creazione di lavoro,
NON LA REGOLAMENTAZIONE RIGIDA E L’INTERVENTISMO ANACRONISTICO … OCCUPABILITÀ … È CIÒ CHE CONTA…” [12].
(vi pare “come fosse antani” e brematurata? Tranquilli, nella neo-lingua è del tutto normale. Questa è la tecnica prediletta del neo-liberismo…”situazionale” e “progettuale”, what else?).
2.5. Sono queste le parole del primo ministro Tony Blair (ispirato dal sociologo Antony Giddens) il quale, nel 1998, annunciava urbi et orbi la propria politica “progressista”, ma che in realtà rifletteva un più ampio cambiamento culturale affermatosi già alla fine degli anni ’90 e che, non a caso, coincideva con un crescente disimpegno degli Stati nelle politiche attive del lavoro:
“… Le politiche per il lavoro a livello sovranazionale, nazionale, regionale e locale hanno individuato l’occupabilità come base per lo sviluppo e l’implementazione dell’intervento statale. A livello europeo… l’occupabilità è definita come uno dei quattro pilastri, anche se, nella revisione della Strategia del 2003, l’occupabilità è stata inserita all’interno di quattro obiettivi generali: pieno impiego, qualità e produttività del lavoro, coesione sociale e un mercato del lavoro inclusivo …” [13].
In effetti, con il Consiglio Europeo Straordinario di Lussemburgo (20-21 novembre 1997), l’Unione Europea avviava un progressivo coordinamento delle politiche del lavoro degli Stati membri mediante l’elaborazione di una c.d. Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) basata sull’adozione di Piani di Azione Nazionali per l’occupazione sottoposti ad un esercizio di sorveglianza multilaterale.
La strategia fu articolata retoricamente in quattro “pilastri” sulla cui base la Commissione europea avrebbe poi incentrato i propri orientamenti per “l’occupazione” rivolti agli Stati membri.
Il termine “occupabilità” si avviava perciò ad essere declinato nelle sue più chiare specificazioni.
2.6. Il primo di tali pilastri coincide guarda caso con l’occupabilità – intesa come astratta e potenziale “capacità delle persone di essere occupate” – ed è diretto a migliorare le capacità delle stesse di trovare un impiego e mantenerlo.
Al primo pilastro, si accompagna il secondo che si identifica con l’imprenditorialità, termine che “fa riferimento all’esigenza di creare nuovi e migliori posti di lavoro, attraverso politiche per l’occupazione che tengano in debito conto le esigenze delle imprese ed incoraggino la cultura del fare impresa”.
Ai due pilastri nominati, si aggiunge poi l’adattabilità, termine che “esprime l’obiettivo di fornire alle imprese e ai lavoratori i mezzi per adeguarsi alle nuove condizioni del mercato e adottare le nuove tecnologie”.
Il quarto pilastro, infine, è costituito dalle pari opportunità, concetto che “riassume l’intento di garantire uguali condizioni e prospettive di vita a tutti i cittadini, attraverso la definizione di politiche e iniziative finalizzate alla rimozione degli ostacoli che impediscono un’effettiva parità [14].
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2.7. La politica dei quattro pilastri era già lucidamente contenuta nei suoi tratti essenziali in un Libro Bianco di Delors presentato dalla Commissione europea nel dicembre 1993 [15]. E con riferimento specifico al terzo pilastro (“adattabilità”), la dottrina ci informa che
“… non è soltanto il libro Bianco di Delors il padre nobile del terzo pilastro. Jeff Kenner (1999) sostiene che il filo d’Arianna – che collega flessibilità e sicurezza, non solo nel lavoro, ma nella società in generale – è costituito dalla c.d. TERZA VIA tra liberismo e socialdemocrazia che ha in Antony Giddens (1999) il mentore, ed in Tony Blair (1999) il più tenace e convinto eseguitore. La c.d. terza via non è semplicemente un filo conduttore, ma, probabilmente la fibra ottica sottesa all’intero network teorico su cui poggia il pilastro dell’adattabilità …” [16].
Venivano sapientemente gettate le basi massive della ristrutturazione, da intendersi come
“strumento comunicativo estremamente efficace … un insieme di interventi programmati e sistematici, miranti al cambiamento del comportamento” [17].
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NOTE
[1] http://orizzonte48.blogspot.it/2016/07/ue-eurss-no-totalitarismo-neo-liberista.html
[2] Così P. BARCELLONA, Parolepotere, Il nuovo linguaggio del conflitto sociale, Castelvecchi, Roma, 2013, 23
[3] Si rinvia, per un’approfondita analisi sull’argomento, ai seguenti post ed ai relativi commenti: http://orizzonte48.blogspot.it/2014/11/il-test-di-orwell.html; http://orizzonte48.blogspot.it/2014/12/corollari-del-test-di-orwell-gli.html; http://orizzonte48.blogspot.it/2015/03/lorientamento-ultimo-della-cultura.html
[4] Così R. DEL PUNTA, Ragioni economiche, tutela dei lavori e libertà del soggetto, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2001, 407
[5] Così G. FERRARO, La flessibilità in entrata alla luce del Libro Bianco sul mercato del lavoro, in Rivista italiana di diritto del lavoro, Milano, 2001, 427
[6] Così G. FERRARO, La flessibilità in entrata alla luce del Libro Bianco sul mercato del lavoro, cit., 428
[7] Così L. EINAUDI, Trincee economiche e corporativismo, in “La Riforma Sociale”, novembre-dicembre 1933, 633-656
[8] Per una ricostruzione storica del termine, si vedano R. MCQUAID – C. LINDSAY, The Concept of Employability, Urban Studies, 42, 2005
[9] R. MCQUAID – C. LINDSAY, The Concept of Employability, cit., 197-219
[10] Si veda R. LENDRUT, Sociologia du chômage, Puf, Paris, 1966
[11] Si veda R. MCQUAID-J. PECK-N. THEODORE, Beyond Employability, Cambridge Journal of Economics, 24, 2000, 729-749
[12] Così J. PECK-N. THEODORE, Beyond Employability, cit., 730
[13] M. JASPEN-A. SERRANO PASCUAL, Unwrapping European Social Model, The Policy Press, University of Bristol, 2006, 230
[14] Reperibile all’indirizzo www.lavoro.gov.it/Lavoro/Europalavoro/SezioneEuropaLavoro/Utilities/Glossario/PilastriSEO.htm; la SEO è stata formalmente riformata e in sostituzione dei quattro pilastri iniziali sono stati individuati “in modo cosmetico” tre nuovi obiettivi (COM 6/2003): raggiungere la piena occupazione, migliorare la qualità e la produttività del lavoro, rinforzare la coesione e l’inclusione sociale
[15] J. GOETSCHY, The European Employment Strategy: Genesis and Development, in EJIR 5, II, 130 http://www.eucenter.wisc.edu/OMC/Papers/Archive/goetschy99.pdf. Per una ricostruzione di tale politica, si veda anche M. BARBERA, A che punto è l’integrazione delle politiche dell’occupazione nell’Unione Europea?, in Dir. relaz. ind., fasc.2, 2000, 161
[16] Così B. CARUSO, Alla ricerca della “flessibilità mite”: il terzo pilastro delle politiche del lavoro comunitarie, in Dir. relaz. ind., fasc.2, 2000, 141. Si tratta, non a caso, della stessa “terza via” come dottrina economica respinta in Costituente; sulla terza via, si veda l’intervista rilasciata da A. Giddens al quotidiano Repubblica il 4 dicembre 2014 reperibile all’indirizzo http://www.repubblica.it/esteri/2014/12/04/news/giddens_una_nuova_terza_via_nell_era_di_internet_cos_la_sinistra_batter_i_populismi-102085534/
[17] Così R. BANDLER – J. GRINDER, La ristrutturazione – La programmazione neurolinguistica e la trasformazione del significato, Astrolabio, Roma, 1983, 9
Fonte:http://orizzonte48.blogspot.it
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