Corte Costituzionale: cosa aspettarsi alla vigilia della decisione?
Riproponiamo l’interessante previsione di Aldo Gianuli del 23 gennaio la decisione della Consulta che possa aiutarci a fare luce sulla situazione attuale.
di ALO GIANULI
Domani la Corte Costituzionale discuterà sull’Italicum, anche se non è detto che la decisione sia immediata (alcuni dicono che la sentenza sarebbe già pronta da ottobre, quando venne rinviata).
Comunque, con il clima che c’è, con il Parlamento immobilizzato in attesa delle sue decisioni, non è probabile che la sentenza si faccia attendere troppo, per lo meno per quanto attiene al dispositivi. Dopo verranno le motivazioni, nel giro di due-quattro settimane.
La cosa un po’ surreale è che la Corte sta decidendo su una legge elettorale che il Parlamento ha già deciso di sostituire, un po’ come fare una tonsillectomia su un cadavere. In realtà, questa sta diventando una sentenza “preventiva”, nel senso che la decisione, più che la legge sottoposta ad esame, riguarda la prossima e per due motivi: in primo luogo, perché fisserà la situazione di partenza per il negoziato fra le forze politiche, in secondo perché fisserà i paletti entro i quali dovrà (dovrebbe: non è la faccia quello che manca ai politici…) tenersi il Parlamento per la prossima legge elettorale. Quindi la cosa più importante sarà il deposito delle motivazioni, ma già dal dispositivo capiremo di che sa il vino che berremo.
Le questioni sottoposte al giudizio sono cinque:
– entità del premio di maggioranza
– doppio turno
– ampiezza dei collegi e capolistature “blindate”
– candidature plurime
– clausole di sbarramento.
Venendo al cuore del problema, si tratta di decidere se il meccanismo del doppio turno, con soglia del 40% al primo turno per ottenere il premio, sani o meno l’imperfezione costituzionale della legge precedente, il cui premio venne ritenuto eccessivo dalla Corte con la sentenza del 3 dicembre 2013.
Per la verità, la Corte non aveva fissato limiti precisi ma era restata sul vago, dicendo che l’esigenza di garantire la rappresentatività del Parlamento prevale su quella della governabilità.
Ora però il problema è molto più stringente, perché la leggi un limite lo ha posto: il 40% al primo turno, per cui occorre dire se un premio che può raggiungere il 14% (la legge garantisce il 54% dei seggi ) sia accettabile o no e, quindi, occorre fissare una qualche soglia. Tenendo conto che l’indice di disrappresentatività sarà anche superiore per effetto delle soglie di sbarramento che lasceranno fuori un certo numero di liste (nel 2013 restarono senza rappresentanza circa il 7% degli elettori). Ma fissato un qualche limite numerico, questo poi si riflette anche su altri sistemi come, per esempio, quello uninominale (ma ne parliamo più avanti).
Poi viene la questione del ballottaggio che non risolve ma anzi aggrava il problema. Infatti, se è vero che il premio viene deciso da chi prende il 50% più un voto, è però vero che l’indice di disrappresentatività si calcola sui voti ottenuti al primo turno, per cui è possibile che vinca quello che era arrivato secondo e magari aveva ottenuto solo il 20% dei voti. Infatti, la letteratura internazionale (Lijphart per tutti) indica i sistemi a doppio turno come quello francese ancora più disrappresentativi di quello inglese calcolando un tasso probabile di discostamento intorno al 12%. Qui, per di più, abbiamo un sistema politico a tre, per cui il tasso sarebbe anche più alto. Quindi, è poco probabile che il ballottaggio possa resistere all’esame di costituzionalità, a meno di non smentire la sentenza di tre anni fa.
E se dovessero essere confermate le soglie di sbarramento occorrerebbe tenere presente che un tasso di forzatura ci sarebbe già, per cui occorrerebbe, in qualche modo, fissare una tasso complessivo espresso in un valore numerico (quantomeno approssimativo), entro il quale il sistema elettorale sia compatibile con il principio di rappresentatività.
Ad esempio, se la nuova legge dovesse alzare sensibilmente la soglia di sbarramento, ad esempio al 7 o 8% (in Grecia, in un certo periodo si era arrivati al 12% se ben ricordo), praticamente solo i 4 partiti maggiori (Fi, M5s, Pd e Lega) ma escludendo dalla rappresentanza una fetta di elettorato che potrebbe raggiungere il 20%: sarebbe tollerabile?
Un tasso approssimativo porrebbe anche problemi ad una reviviscenza del famigerato Mattarellum, perché il sistema uninominale ha di per sé un tasso di disrappresentatività abbastanza alto: gli esperti parlano di “legge del cubo” in quanto ad ogni differenziale dei voti assoluti corrisponde uno spostamento tendenziale in seggi elevato al cubo; ad esempio, se il primo partito prende il 2% in più del secondo, la differenza in seggi sarà dell’8% (2x2x2) e se è del 3% la differenza sarà del 27% (3x3x3), Ovviamente si tratta di valori tendenziali, perché, man mano che il differenziale cresce, l’effetto in seggi diventa meno che “alla terza”. Ma qui, per di più, abbiamo una competizione che è, bene che vada, a tre, quindi siamo proprio alla lotteria.
Tuttavia abbiamo fondati motivi per ritenere che i giudici della Consulta (ovviamente tutti laureati in Giurisprudenza e di formazione umanistica) abbiano le idee particolarmente chiare in materia, perché questo presupporrebbe una formazione matematica di cui è lecito dubitare, ma staremo a vedere.
Comunque, quello che la sentenza dirà sarà in ogni caso vincolante (e qui lasciamo perdere le questioni minori come le capolistature bloccate, le candidature plurime, l’ampiezza dei collegi eccetera).
Sin qui le questioni puramente giuridiche, ma questa volta come non mai faremo i conti con una sentenza politica (e quella sui quesiti della Cgil è stata già una avvisaglia). Qui occorre tener conto che i presupposti stessi del maggioritario sono venuti meno per il formarsi del terzo polo (il M5s che, come vedete, può vantare benemerenze importanti), e soprattutto per il risultato del referendum che ha travolto la cultura iper governista che l’aveva fatta da padrona negli ultimi 20 anni. Inoltre, fra le forze politiche c’è una decisa voglia di proporzionale. Praticamente a difendere il maggioritario (ma senza sapere come fare ad evitare che avvantaggi il M5s) c’è il solo Pd che però è il partito battuto al referendum e quindi non può alzare la voce più di tanto.
Quindi, sembra probabile che la Corte opti per un sistema di tipo sostanzialmente proporzionale con clausole di sbarramento, in sostanza lo stesso modello del Consultellum proposto dalla Corte tre anni fa.
Questo è quello che sarebbe logico accadesse, ma questo è un paese in cui la logica non è il faro più seguito, per cui stiamo a vedere…
Fonte:http://www.aldogiannuli.it/corte-costituzionale-sentenza-24-gennaio/
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