La neutralizzazione dell’anormalità
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Luca Martis)
Quale può essere il rapporto che il potere intrattiene con l’anomalia in una società come quella dei consumi? Come agisce la normalizzazione nei confronti di ciò che può essere definito anormale? E qual è il suo fine, se non la protezione della società instaurata da qualsiasi pericolo che la possa minacciare dall’interno?
Nella società dei consumi, il potere esercita un controllo sugli individui talmente silenzioso e pervasivo che riesce a garantirsi l’assenza di anomalie in grado di mettere in pericolo il sistema su cui si regge. Cosa s’intende per anomalia sistemica? L’anomalia è qualcosa che non viene riconosciuto all’interno di un sistema; è ciò che il potere considera estraneo e per questo pericoloso perché incontrollabile. La sua estraneità viene prodotta attraverso l’infrazione di una norma imposta e determinata dalle regole di un dato sistema. A livello politico e sociologico, la norma non può che essere relativa all’etica e alla morale: l’anomalia è in definitiva l’anormale. Ma cosa si può ritenere anormale nella società dei consumi? Cosa si può dire sul rapporto tra potere e anormalità?
Prima di affrontare queste domande, riteniamo opportuno ripercorrere brevemente l’analisi genealogica di Michel Foucault presente in Gli Anormali, testo in cui vi sono riportate le lezioni tenute al Collège de Francee che può fornire una chiave interpretativa utile ad una ricostruzione attuale del rapporto che sussiste tra potere e anormalità. Attraverso una genealogia delle tecniche di normalizzazione, Foucault mette in luce l’emergere e l’affermarsi dell’istituzione psichiatrica come potere di normalizzazione.
Il concetto di norma infatti non solo viene sviluppato da meccanismi di controllo come la disciplina e la biopolitica; è soprattutto mediante la produzione di tutta una serie di saperi ufficiali che, a partire dal XIX secolo, ha permesso al potere psichiatrico di attribuire agli individui uno stato di anormalità nella maniera più generale e flessibile possibile. Tutto ciò è stato reso possibile grazie all’interazione dell’istituzionepsichiatrica con quella medica e giudiziaria; interazione che non ha intaccato la sua autonomia e la sua capacità regolamentatrice.
Sono tre i passaggi fondamentali dell’evoluzione e dell’affermazione dell’istituzione psichiatrica come potere di normalizzazione. In primo luogo, nel corso del XVIII secolo, viene elaborata una nuova meccanica del potere: la disciplina. Questo nuovo dispositivo del potere è in grado di penetrare nel corpo sociale attraverso una continua sorveglianza degli individui: le prigioni, gli istituti scolastici e le fabbriche sono solo alcuni dei luoghi in cui eserciterà il suo potere. L’apparizione del meccanismo disciplinare, frutto dell’affermazione del potere borghese nato sulle spoglie dello sconfitto potere monarchico, comporta una trasformazione nel concetto di punizione del criminale. Nel castigo sparisce il terrore e la manifestazione del sovrano tipici della monarchia e al loro posto subentra il concetto di misura: la punizione dev’essere equilibrata al crimine commesso. Come? Risalendo alla ragione e alla natura del crimine. Ma nel momento in cui la produzione della norma si erge a principio di correzione, la razionalità del crimine diventa condizione necessaria della pena: laddove non c’è ragione nel reato, la punizione non può essere applicata.
Il secondo passaggio avviene proprio in questo frangente. All’inizio del XIX secolo infatti, il sistema penale deve ricorrere ad un’analisi scientifica per identificare la razionalità del crimine. Entra qui in gioco la psichiatria, che assume il ruolo di identificare la razionalità del crimine. Se prima dell’assunzione di questo particolare ruolo, la psichiatria aveva il compito di codificare la follia come malattia; ora è quello di collegare l’insanità mentale con il crimine e viceversa. Inoltre, se il sistema penale non può punire coloro che commettono crimini in maniera irrazionale, la psichiatria deve trovare i più impercepibili segnali di follia all’interno del corpo sociale, in modo tale da impedire che crimini non punibili dal sistema giudiziario possano accadere. L’ingranaggio che consentirà la collaborazione tra sapere psichiatrico e sistema penalesarà il concetto di pulsione, di istinto, di inclinazione: elementi che possono presentarsi solamente in un individuo già globalmente folle. L’analisi psichiatrica si fonderà infatti sulla base della spontaneità del comportamento, o meglio sull’asse del volontario e dell’involontario: l’individuo folle è colui che è caratterizzato da una volontà turbata; una volontà che non riesce a gestire. Ciò che viene annunciandosi è che, per esercitare il suo potere, la psichiatria non deve più ricorrere alla follia. È la norma controllata dalla stessa istituzione psichiatrica che valuterà il comportamento dell’individuo. La norma come regola di comportamento e principio di conformità viene posta in relazione con la norma intesa come regolarità funzionale: qualsiasi comportamento può essere valutato come irregolare.
Terzo e ultimo passaggio: associare il crimine alla follia è un fatto regolare: atti deliquenziali di poca rilevanza sono associati a piccole anomalie del comportamento. Ma la protagonista della fine del XIX secolo è l’anomalia sessuale, che si trasforma nella radice generale di tutte le forme di anomalia. Il piacere non regolato in funzione della sessualità normale è l’elemento fondativo di tutti quei comportamenti istintivi anormali, i quali vanno a comporre una genealogia psichiatrica delle aberrazioni sessuali.
La psichiatria abbandona la follia come malattia e si fa carico delle anomalie del comportamento, che ha come conseguenza la categorizzazione delle eccentricità in sindromi ben precise; sindromi che, pur non presentando sintomi di malattia, evidenziano uno stato di anormalità, come l’omosessuale, il cleptomane, il masochista, l’esibizionista, l’invertito. La psichiatria associa l’anormalità alla follia e al delirio; medicalizza l’anormale adeguando l’analisi del delirio all’analisi delle relazioni tra istinto e piacere. Infine, grazie alla produzione della nozione di stato, elemento psichiatrico che consente di identificare l’anormalità nella maniera più flessibile possibile; e alla nozione di degenerazione, derivata dallo studio dell’ereditarietà come vettore dello stato anormale: la psichiatria si mette in condizione di non dover più cercare di guarire. La sua funzione è la protezione del corpo sociale dai pericoli che la minacciano dall’interno, conquistando il potere massimo a cui poteva aspirare.
Cosa si può evincere da questa breve analisi della genealogia foucaultiana sull’anormalità? Sicuramente una tendenza del potere a migliorare, secolo dopo secolo, il controllo e la normalizzazione degli individui. Tutto ciò attraverso l’evoluzione di tecniche disciplinari e la produzione di saperi ufficiali, come il caso della psichiatria sul quale Foucault si è soffermato. Ma non è l’unico campo del sapere sul quale il potere si manifesta secondo queste procedure: in Sorvegliare e punire, Foucault analizza l’evoluzione del controllodisciplinare nel campo della giustizia e del sistema penale.
Il potere disciplinare ha il compito di eliminare l’errore o la devianza che non rispetta la norma attraverso un modello inclusivo. Questo modello mira alla rieducazione dell’anormale e alla sua ricostituzione secondo i principi normativi stabiliti dal potere. Un modello che funge anche da prevenzione: lo dimostra il sistema disciplinare negli istituti scolastici descritto nel saggio di Foucault Le maglie del potere. Tutto questo anche in funzione della necessità di una sicurezza pubblica, che dalla fine del XVIII secolo si fa presente con l’apparizione di tutta una serie di tecniche derivate dal dispositivo biopolitico.
Queste due caratteristiche relative alla normalizzazione che il potere esercita sono ancora attuali. Dalla metà del XX secolo, il potere dei consumi introduce una meccanica più evoluta in termini di controllo e pervasività. Invece il modello di normalizzazione adottato, pur conservando la sua inclusività, non mira più all’imposizione forzata di precetti in grado di normalizzare gli individui e di renderli docili, così come avveniva nella società disciplinare. Certamente questo avviene ancora nelle zone emarginate della società, dove il sistema panoptico benthamiano funziona ancora, come le prigioni o i campi profughi. Ma se nel XIX secolo questo tipo di normalizzazione penetrava all’interno della società stessa, in primis nella famiglia, nella società consumistica diventa obsoleto.
Si punta tutto sulla tentazione e la seduzione edonistica, grazie alle quali il potere riesce ad assorbire l’anormalità all’interno del sistema capitalista. La televisione rappresenta un esempio plastico lampante a questo proposito: è il primo strumento consumistico ad esercitare il nuovo potere normalizzatore. Pasolinisostiene infatti che la TV ha il compito di educare o rieducare gli individui al modello di vita consumistico; impone in modo seducente il valore edonistico attraverso una serie di modelli di vita e di comportamento affini al consumo, eliminando così tutte le possibili anomalie che possono recare danno alla società dei consumi e al potere che la produce.
Quindi, riprendendo la domande poste all’inizio dell’articolo: cosa si può affermare sul rapporto che sussiste fra potere dei consumi e anormalità? Le società occidentali attuali tendono sempre di più ad inglobare nel campo della norma ciò che in passato era considerato anormale: il caso più eclatante è rappresentato dall’omosessualità, così come tutte le pratiche sessuali non convenzionali ma completamente accettate dal potere, come il sado-masochismo. Un modello d’inclusione che si rivela però menzognero. Prendiamo come esempio le subculture urbane della fine del XX secolo come il Punk o l’Hip-Hop, nate con lo scopo di differenziarsi rispetto alla cultura di massa e che hanno sostenuto stili di vita e visioni del mondo completamente in contrasto con il potere capitalista.
Il loro corpo era espressione delle loro idee: nella cultura punk anglosassone ad esempio, il corpo era soggetto a tutta una serie di violenze auto-inflitte che esprimevano il rifiuto del sistema. Il corpo era martoriato con spille da balia, uso di piercing e tatuaggi. L’anormalità dei loro corpi era generata dall’anormalità delle loro idee. Oggi, le proprietà fisiche ed estetiche di queste subculture urbane, insieme a tutta la produzione musicale che le ha caratterizzate, sono state completamente integrate nella società. Basti pensare all’uso del piercieng o del tatuaggio, che dagli anni Duemila sono esponenzialmente entrati nell’uso comune, fino a costituire un fenomeno di massa; o ancora la musica hip-hop/rap, ormai diventata uno dei motori della musica commerciale. In realtà, ciò che il potere ha fatto è stato inglobare le caratteristiche estetiche di queste subculture, spogliandole però dei valori anti-sistemici che le contraddistinguevano; omologandole culturalmente ai valori della società dei consumi e alla norma che essa impone.
In una società che persegue i valori liberali dell’eccentricità, della competitività e dell’originalità, ma pur sempre attraversata da un potere che normalizza gli individui in maniera sempre più efficace; in un sistema che riesce non solo a riconoscere qualsiasi forma di opposizione, ma riesce anche ad assorbirla all’interno dei flussi energetici che vengono governati in maniera incontrastata: in quale modo possiamo elaborare un’autentica ed efficace contestazione al potere egemone?
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/societa-dei-consumi-anormalita/
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