Gli equivoci della Rivoluzione
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Antonio Messina)
Come e perché equivocare populismo e rivoluzione costituisce una falsificazione della realtà
Vi è oggi una grave confusione che pervade l’opinione pubblica del paese, dovuta ad una abominevole distorsione e manipolazione della realtà, cui hanno contribuito direttamente o indirettamente giornalisti, esponenti politici, uomini di cultura di vario livello. Questa distorsione si fonda su una realtà artefatta, e raggiunge le vette del parossismo quando ad alimentarla accorrono studiosi di un certo rango accademico, se non addirittura autori di opere a dir poco pregevoli.
È il caso di Paolo Buchignani, che in una recente intervista ha ravvisato nel nazionalismo populista e xenofobo che oggi investe l’Occidente il messianico portatore di una visione totalitaria, i germi di una rivoluzione palingenetica inquietantemente similare al fascismo di Mussolini ed al nazionalsocialismo di Hitler. A giudizio di Buchignani, questo pericoloso nazionalismo populista, reazionario, palingenetico e totalitario sarebbe impersonato sul piano internazionale da Donald Trump (sic!) e sul piano interno nientedimeno che dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Oltre a ciò, è alquanto singolare l’assurdo sillogismo a cui perviene Buchignani, e che si può così sintetizzare: rivoluzione palingenetica = totalitarismo.
La verità è che tutte le rivoluzioni, non solo quelle totalitarie, sono palingenetiche, dal momento che cercano di superare il declino e la decadenza
La stessa democrazia liberale – tanto esaltata da Buchignani – ha avuto origine da una delle rivoluzioni più palingenetiche e sanguinarie della storia, che vide finire sulla ghigliottina persino un monarca. Ciò che più stupisce, è l’accostamento del Movimento 5 Stelle alle rivoluzioni totalitarie del XX secolo. Il fascismo di Mussolini fu un partito-milizia rigidamente armato e disciplinato, con una concezione integralista della politica, e con l’aspirazione a conquistare il monopolio totalitario del potere. Ancor prima di salire al Governo, Mussolini aveva dichiarato:
Ci sostituiremo allo Stato tutte le volte che esso si manifesterà incapace di fronteggiare e di combattere, senza indulgenze funeste, le cause e gli elementi di disgregazione interiore dei principî della solidarietà nazionale. Ci schiereremo contro lo Stato, qualora esso dovesse cadere nelle mani di coloro che minacciano e attentano all’avvenire del Paese
Nel Movimento 5 Stelle non c’è nulla di tutto questo. Qualsiasi cosa sia il movimento creato da Beppe Grillo, è a dir poco certo che non sia un partito totalitario, non ha ambizioni rivoluzionarie, e non intende plasmare e rigenerare gl’italiani per creare un uomo nuovo dedito anima e corpo al conseguimento di chissà quali obiettivi imperialistici. Quello di Grillo è un movimento tipicamente borghese, e si muove entro le logiche del sistema borghese. Il fatto che i pentastellati si scaglino contro i partiti politici, accusati di corruzione e clientelismo, non li rende necessariamente populisti, palingenetici e totalitari. Molte sono state, nel corso della storia, personalità di stampo liberale e democratico che hanno mosso le più feroci critiche contro la partitocrazia: dalla filosofa antinazista Simone Weil, cui hanno dichiarato d’ispirarsi i grillini, al noto politologo italiano Gaetano Mosca.
Forse Buchignani dimentica che Mosca, pur essendo antifascista e liberale, affermava che nel sistema parlamentare predominano «la vigliaccheria morale, la mancanza di ogni sentimento di giustizia, la furberia, l’intrigo», e che il deputato è nel migliore dei casi «il mandatario di un gruppo di persone influenti» e nel peggiore dei casi lo strumento di «un pugno di intriganti coalizzati».
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Una forza antisistema…
Dalle dichiarazioni e dalla prassi politica del movimento pentastellato pare evidente che i “grillini” non vogliano certo proporsi come alternativa al sistema poliarchico. Stando così le cose, è possibile leggere la parabola grillina da un’ottica inversa a quella proposta da Buchignani. Sia il movimento di Grillo che quello di Salvini non hanno finalità eversive o rivoluzionarie, ed anzi sono perfettamente funzionali al sistema entro cui operano. La loro presenza politica serve al sistema per canalizzare il malcontento popolarenell’alveo di movimenti istituzionalizzati nel sistema stesso, secondo quei meccanismi messi in atto per controllare i movimenti spiegati magistralmente dal politologo Gianfranco Pasquino. I gruppi politici ritenuti destabilizzanti per il potere costituito vengono sapientemente istituzionalizzati dal sistema all’interno di una griglia precostituita, secondo un modus operandi talmente noto che non vale la pena soffermarvisi. E se è vero che – come ha scritto Luca Lanzalaco – il meccanismo della “permeabilità selettiva”consente la sopravvivenza ad un gruppo politico soltanto se pienamente inserito nelle logiche del sistema vigente, è chiaro che gruppi come quello di Grillo o di Salvini non sarebbero mai sopravvissuti se fossero stati realmente rivoluzionari e totalitari.
L’esperienza politica dei “grillini”, lungi dal richiamarsi alla rivoluzione totalitaria di Mussolini, sembra piuttosto ricordare (più nelle forme che nei contenuti) la “rivoluzione liberale” di Berlusconi, una rivoluzione nel sistema e per il sistema, che servì al cavaliere di Arcore per coalizzare attorno a sé il malcontento e le delusioni scaturite dal fallimento della “Prima Repubblica”. Allora come adesso il sistema si serve delle “rivoluzioni interne” per rigenerarsi e giungere a nuova verginità. Per tali ragioni, presentare Beppe Grillo come una sorta di nuovo duce degli italiani, costituisce una falsificazione della realtà.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/storia/gli-equivoci-della-rivoluzione/
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