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Secondo le previsioni del governo Gentiloni sono circa 5 miliardi, e da Bruxelles arrivano 80 milioni. Ma bisogna tener conto anche dello scomputo delle spese dal disavanzo pubblico

Pubblichiamo un articolo del 5 giugno scorso dell’Agenzia Italia che fa ordine sui conti delle spese per il soccorso e l’accoglienza dei migranti in Italia.

In vista delle amministrative del 10 giugno, il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini è in tour elettorale in Sicilia, dove ha ribadito le posizioni del nuovo esecutivo in tema di immigrazione.

Il Contratto di governo, sottoscritto da Lega e Movimento Cinque Stelle, stabilisce che è necessario rivedere le risorse utilizzate per chi fa richiesta d’asilo in Italia. Lo stesso Salvini ha detto recentemente che vuole dare “una bella sforbiciata ai 5 miliardi” di euro che sarebbero impiegati ogni anno per l’accoglienza.

Ma quali sono i numeri dietro i finanziamenti per la questione migratoria? E in che modo ci aiuta l’Unione europea? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza su un tema che occupa un ruolo di primo piano nell’agenda di governo e nel dibattito pubblico.

I numeri del Def su sbarchi e migranti ospitati

Quando parla di “5 miliardi di euro”, Salvini fa riferimento alle cifre contenute nel Documento di economia e finanza (Def). Questo è lo strumento con cui il governo stabilisce le linee guida da adottare per la finanza pubblica, su base triennale. In sostanza, il Def traccia la strada da seguire nei prossimi mesi per approvare norme e decreti in tema di politica economica.

Il 26 aprile, il governo Gentiloni uscente aveva approvato il Def del 2018, che però non conteneva la parte programmatica sulle riforme, compito del nuovo esecutivo. La prima sezione del documento è chiamata “Programma di stabilità dell’Italia” e indica anche le previsioni sui costi da sostenere per l’accoglienza dei migranti nel 2018.

Come prima cosa, il documento evidenzia il calo degli sbarchi avvenuto nel 2017, di cui ci siamo occupati in passato per le dichiarazioni dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e del commissario europeo per la migrazione Dimitris Avramopoulos. Rispetto al 2016, nei secondi sei mesi del 2017, gli arrivi sono calati del 67,7 per cento.

Secondo il precedente governo, questo è il risultato di alcune misure introdotte, come la creazione degli hotspot per identificare i migranti, gli accordi con la Libia e introduzione del codice di condotta per l’Ong. Ma resta difficile stabilire con certezza le cause di questa improvvisa riduzione del flusso migratorio. Al calo degli arrivi non è però corrisposto un calo delle presenze nelle strutture per l’accoglienza. A fine 2017, i migranti ospitati erano circa 183 mila; a fine 2016, erano circa 176 mila. Al 3 aprile 2018, il numero di accolti si attesta intorno alle 174 mila unità. Di questi, circa 139 mila sono in strutture temporanee; quasi 10 mila nei centri prima accoglienza; oltre 25 mila negli Sprar e quasi 500 negli hotspot.

Le stime di spesa per l’accoglienza nel 2018

Veniamo ai costi. Il Def contiene elaborazioni del ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) e dalla Ragioneria generale dello Stato (Rgs), effettuate sulla base di due scenari. Nel primo scenario, si ipotizza che i numeri degli arrivi restino simili a quelli degli ultimi mesi. In questo caso, la spesa prevista per l’accoglienza dei migranti nel 2018 è di circa 4,7 miliardi euro (per la precisione, 4,648 miliardi di euro).

Nel secondo scenario, si considera la flessibilità del fenomeno migratorio e la sua natura emergenziale. In questo caso, la spesa prevista sale a 5,047 miliardi di euro. Nel 2017 furono spesi 4,363 miliardi di euro, in linea con i dati del Documento programmatico di bilancio dello scorso anno, in cui si evidenziava il costante aumento dal 2011 al 2017 delle stime di spesa per la crisi dei migranti.

Questo scenario di crescita considera “una presa in carico di circa 500 minori non accompagnati aggiuntivi a un costo medio di 45 euro al giorno, di circa 31 mila persone aggiuntive nelle strutture di accoglienza governativa e temporanee a un costo medio di 32,5 euro al giorno e di circa 1.750 richiedenti asilo e rifugiati aggiuntivi nel sistema di protezione a un costo medio di 35 euro al giorno”.

A cosa servono questi soldi?

Nel 2018, la spesa prevista – non quella effettiva – per l’accoglienza dei migranti oscilla quindi tra circa 4,7 miliardi di euro e 5 miliardi di euro, ossia i numeri citati da Salvini. Di questa cifra, però, non tutto è stanziato per l’accoglienza, ma il 68,4 per cento (rispetto al 68,6 per cento nel 2017): circa 3,4 miliardi di euro. Il restante 31,6 per cento è suddiviso per il soccorso in mare (il 18,9 per cento della spesa) e per l’istruzione e la sanità (il 12,7 per cento).

In realtà, avere un’idea precisa dei costi dell’accoglienza e delle singole voci di spesa è molto difficile. Basta guardare i numerosi interventi del legislatore avvenuti dal 2013 a inizio 2018 per far fronte agli oneri connessi all’arrivo dei migranti. I due motivi principali di questa difficoltà sono la complessità del sistema e la carenza di dati ufficiali. A riportarlo sono anche due recenti pubblicazioni della Corte dei Conti e della Banca d’Italia.

Il 7 marzo, l’organo istituzionale che vigila sulle spese pubbliche ha presentato un report intitolato “La prima accoglienza degli immigrati: la gestione del fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo”.

La Corte dei Conti ha evidenziato che, per quanto riguarda il 2016, il costo medio per l’accoglienza di un singolo migrante va dai 30 euro ai 35 euro giornalieri. Inoltre, la pubblicazione stima che la gestione di ogni domanda di asilo sia costata in media quasi 204 euro, “senza calcolare i costi per le eventuali fasi di giudizio a cui gli immigrati, ricorrendo al gratuito patrocinio, hanno avuto la possibilità di accedere per impugnare i provvedimenti di diniego”.

È vero che i soldi per l’accoglienza ce li dà l’Europa?

Il Def 2018 contiene anche un altro dato interessante. Riporta infatti che, nel 2018, i contributi previsti dall’Unione europea per la crisi dei migranti in Italia siano di circa 80 milioni di euro. Insomma, rispetto ai 5 miliardi di euro, la partecipazione economica dell’Ue alle spese sostenute dal nostro paese è molto limitata, addirittura più bassa dei 91 milioni di euro indicati nel 2017.

In più, il documento spiega che, se gli sbarchi sono calati ma i migranti ospitati tutto sommato non lo sono, questo è da attribuire anche agli esiti limitati del piano di ricollocamento Ue. Il 3 giugno, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha riconosciuto in parte questa mancanza, dicendo che sui migranti l’Italia è stata lasciata sola. Ma ha torto quindi chi sostiene che i soldi per accogliere i migranti “ce li dà l’Europa”, come fa Tommaso Ederoclite, presidente del Partito Democratico di Napoli, il cui tweet dell’1 giugno sul tema è stato condiviso quasi 1.800 volte.

La risposta non è così scontata, se si guarda semplicemente la cifra riportata nel Def. Il discorso è più ampio, perché bisogna tenere in considerazione gli accordi che l’Italia ha preso con l’Unione europea in tema di finanza pubblica. Le stime di spesa per l’accoglienza del 2018 – così come quelle degli anni scorsi – sono contenute in una sezione del Def intitolata “Spese per la clausola di eventi eccezionali”. Questo significa che il governo italiano ha chiesto, e ottenuto, di poter scorporare queste spese dai normali vincoli di bilancio stabiliti dal “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance” dell’Unione europea, approvato da 25 paesi il 2 marzo 2012 e meglio conosciuto con il nome di Fiscal Compact.

Come per altre spese straordinarie (per esempio quelle per i terremoti dell’Italia centrale del 2016), i 5 miliardi di euro previsti per l’accoglienza non vengono conteggiati nel computo del debito e del disavanzo pubblico, due criteri da rispettare per non violare i trattati comunitari. In sostanza, quando si parla dei 5 miliardi di euro, non c’è un reale trasferimento di risorse dall’Europa all’Italia per accogliere i migranti, a parte i contributi esplicitati nel Def. Ma senza gli accordi con l’Ue, o una loro revisione, questi soldi non potrebbero essere spesi in altri settori senza incorrere in critiche sulla politica di bilancio da parte dell’Unione.

Quanto costerebbero invece i rimpatri?

A pagina 28, il Contratto di governo specifica che tra gli obiettivi c’è quello di aumentare il numero di rimpatri per i migranti irregolari presenti in Italia. Anche questo è un tema legato a un eventuale taglio della spesa per l’accoglienza, che si rifletterebbe nella necessità di trovare le risorse per rimandare centinaia di migliaia di persone nei loro paesi di origine. Un recente articolo pubblicato su Lavoce.info spiega perché questa promessa elettorale è di difficile realizzazione.

La difficoltà più grande riguarda la possibilità di stringere accordi di riammissione con i paesi del Nord Africa e di farli rispettare. Senza questi, un migrante rimpatriato non viene fatto rientrare nel proprio paese di origine. E i costi, di una simile soluzione, non sono più bassi di quelli dell’accoglienza. Secondo i dati Frontex, gestire una singola pratica di rimpatrio ha un costo medio di 5.800 euro. Se si stima che a oggi, in Italia, ci sarebbero circa 500 mila immigrati irregolari, un rimpatrio di massa arriverebbe a costare quasi 3 miliardi di euro.

Conclusione

Il nuovo esecutivo si è appena insediato, ma ha già fatto capire che il tema dei migranti ha un ruolo di primo piano nell’agenda di governo dei prossimi mesi. Per quanto riguarda le cifre, Matteo Salvini ha ragione nel quantificare la spesa intorno ai 5 miliardi di euro: le previsioni per il 2018 contenute nel Def oscillano tra i 4,7 e i 5 miliardi circa, un numero in aumento rispetto ai 4,3 miliardi spesi nel 2017. Non si tratta comunque di soldi che vanno solo nell’accoglienza: la cifra include il soccorso in mare, la sanità e l’istruzione. E più sfumata anche la questione di quanti soldi ci arrivino dall’UE, perché se è vero che il contributo diretto europeo è molto limitato in rapporto al totale, è anche vero che l’Italia non conteggia le spese per i migranti nel computo del debito e del disavanzo pubblico, perché l’Unione Europea le riconosce come straordinarie.