La caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria sta già fomentando le speculazioni sul nuovo, eventuale, ruolo del paese negli equilibri energetici mediorientali e globali.
UN PAESE DIPENDENTE DALL’IRAN
Bisogna però ricordare che il settore energetico siriano risente di tredici anni di guerra civile che hanno abbattuto le capacità nazionali e creato una forte dipendenza dalle importazioni dall’Iran. È l’Iran, infatti, che forniva alla Siria il combustibile necessario a sostenere il fabbisogno di energia elettrica.
QUANTO PETROLIO E GAS PRODUCE LA SIRIA?
Da quando sono state introdotte le sanzioni internazionali, nel 2011, la Siria non esporta più petrolio.
Prima di questa data il paese produceva all’incirca 383.000 barili di petrolio e derivati al giorno; nel 2023 il valore è sceso a 40.000 barili. Per fare un confronto, nel 2023 l’output degli Stati Uniti, i maggiori produttori al mondo, è stato in media di 12,9 milioni di barili di greggio al giorno.
Quanto invece al gas naturale, dal 2011 al 2023 la produzione è passata da 8,7 miliardi di metri cubi a 3 miliardi.
IL RUOLO DI SHELL, TOTAL E DEI CURDI
Le principali società energetiche attive in Siria erano la britannica Shell, la francese TotalEnergies e la canadese Suncor Energy. Come ricorda Reuters, alcuni dei più importanti campi petroliferi del paese sono in mano alle Forze democratiche siriane, un’alleanza di milizie curde e arabe appoggiate dagli Stati Uniti ma osteggiate dalla Turchia.
LA RUSSIA HA ANCORA QUALCOSA IN MANO
L’agenzia scrive inoltre che i giacimenti di idrocarburi di Ebla rimangono ancora sotto il controllo delle forze armate della Russia, che sono succedute a Evro Polis – la società di Evgenij Prigozhin che garantiva la sicurezza degli impianti in cambio di una quota del 25 per cento dell’output – dopo la disfatta del gruppo Wagner in Siria.
LA TURCHIA E L’IPOTESI DI UN GASDOTTO QATAR-SIRIA-EUROPA
La Turchia – probabilmente la nuova potenza straniera dominante in Siria dopo la caduta di Assad – si è mostrata disponibile ad aiutare il paese nella ricostruzione delle sue infrastrutture energetiche. Il ministro dell’Energia Alparslan Bayraktar ha dichiarato infatti che “l’elettricità è un bisogno essenziale. L’infrastruttura è gravemente carente, non c’è praticamente nulla”.
Il ministro, inoltre, ha menzionato la possibilità di recuperare un progetto su un gasdotto dal Qatar all’Europa passante per la Siria – appunto – e la Turchia. “Per una Siria che ha ritrovato la sua unità e stabilità, perché no?”, ha detto.
Il crollo del regime di Assad, comunque, non basta a fare della Siria un paese stabile e sicuro per un investimento del genere.
L’IMPATTO SUL PETROLIO
La scarsa rilevanza della Siria nel mercato energetico globale è testimoniata dal fatto che lunedì, alla notizia del collasso del regime di Assad, i prezzi del petrolio sono cresciuti soltanto dell’1 per cento: il Brent (il riferimento internazionale) si scambiava cioè a 71,8 dollari al barile.
Non solo la Siria è un produttore oil & gas più che modesto, ma secondo i trader la sua situazione interna non costituisce una minaccia alle esportazioni energetiche degli altri paesi della regione.
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