Chang, Trump e il “New Normal”…ma L’€uropa? Kaputt (2a parte)
di ORIZZONTE 48
D: L’austerità è diventata il dogma prevalente in tutta €uropa, ed è pure una priorità dell’agenda repubblicana. Se anche l’austerità è fondata su bugie, qual è il suo effetivo scopo?
R. Molti economisti — Joseph Stiglitz, Paul Krugman, Mark Blyth and Yanis Varoufakis, per menzionare i più noti– hanno scritto che l’austerità non funziona, specialmente in un ciclo economico negativo (come invece predicato per molti paesi in via di sviluppo in base al World Bank-IMF Structural Adjustment Programs negli anni ’80 e ’90, e più di recente in Grecia, Spagna e gli altri paesi dell’eurozona).
Molti di quelli che spingono per l’austerità lo fanno perchè genuinamente credono che funzioni (sebbene sbagliando), ma, per lo più, coloro che sono abbastanza brillanti per sapere che non funziona, la utilizzano perché è un modo ottimale per restringere lo Stato (e dare così sempre più potere al settore corporate, incluso quello straniero) in modo da mutare la natura delle funzioni statali in direzione pro-corporate (es., è quasi sempre il welfare spending, pensioni e sanità pubbliche, il primo obiettivo).
In altrea parole, l’austerity è il modo privilegiato di spingere per una political agenda regressiva senza aver l’aria di farlo.
Si può affermare che intraprendi i tagli di spesa perché devi pareggiare i bilanci e mettere ordine in casa, mentre in realtà stai lanciando un attacco alla classe lavoratrice e ai poveri…
D: Che ne pensi di tutti i discorsi sui pericoli del debito pubblico? Quand’è che il debito pubblico è troppo?
R. Se il debito pubblico sia buono o cattivo dipende da quando il denaro sia presto a prestito (meglio se fatto durante un ciclo economico negativo), come sia stato usato il denaro (meglio se in investimenti in infrastrutture, ricerca, istruzione, o sanità, piuttosto che la spesa militare o l’edificazione di inutili monumenti), e soprattutto da chi detiene i relativi titoli (meglio se lo detengano i tuoi connazionali, poiché riduce i pericoli di una “fuga” dal tuo paese – per esempio, una ragione per cui il Giappone può sostenere altissimi livelli di debito pubblico è che la maggior parte di esso è detenuto da giapponesi).
Certo, un debito pubblico eccessivo può costituire un problema, ma cosa sia “eccessivo” dipende dal paese e dalle circostanze. Per esempio, stando ai dati del FMI, al 2015, il Giappone ha un debito pubblico al 248% del PIL ma nessuno parla di pericolo.
Si potrebbe sostenere che il Giappone sia speciale ma anche notare che nello stesso anno il debito USA sta al 105% del PIL, che è molto più alto di quello della Corea del Sud (38%), della Svezia (43 percent), o persino della Germania (71 percent): ma potrebbe sorprendere che Singapore registri un debito al 105 percent del PIL, sebbene noi raramente abbiamo udito di preoccupazioni sul debito pubblico di tale paese.
D: Numerosi economisti rispettabili sostengono che l’era della crescita economica sia terminata. Concordi con questa idea?
R. In molti parlano di “new normal” e di una “secular stagnation”in cui un’alta diseguaglianza, l’invecchiamento della popolazione, e il deleveraging (cioè la riduzione del debito) da parte del settore finanziario privato, conducono ad una cronica bassa crescita economica, che può essere solo temporaneamente sospinta da bolle finanziarie che si rivelano insostenibili nel lungo periodo.
Ma poiché queste cause sono contrastabili da misure politiche, che però sono in partenza escluse dal pensiero economico dominante, la stagnazione secolare non è ineluttabile.
L’invecchiamento e la detanalità possono essere contrastate da politiche diverse che rendano il lavoro e il crescere i bambini più compatibili fra loro (es, asili nido più economici e meglio organizzati, orari di lavoro flessibili, compensazioni di carriera per la cura della prole) e con una maggior immigrazione. L’ineguaglianza può essere contrastata da politiche tributarie più redistributive, e da una maggior protezione dei più deboli (es., una pianificazione urbana che protegga i piccoli commercianti, e sostegni alla piccola impresa).
La riduzione del debito del settore privato può essere contrastata da una maggior spesa pubblica, come mostra l’esperienza giapponese dell’ultimo quarto di secolo.
Ma dire che la stagnazione secolare può essere contrastata è diverso dall’affermare che ciò sarà fatto.
Per esempio, la più rapida misura che può ovviare all’invecchiamento – cioè l’immigrazione- è politicamente impopolare. In molti paesi “ricchi”, l’allineamento delle forze politiche e di quelle politiche è tale che sarà difficile ridurre le ineguaglianze nel breve-medio periodo.
E ciò perché il dogma fiscale corrente è tale che l’espansione fiscale risulta del tutto improbabile, nel prossimo futuro, nella maggior parte dei paesi occidentali.
E così, nel breve-medio periodo la bassa crescita è lo scenario più probabile.
Comunque, ciò non significa che questa durerà per sempre.
In proiezione del lungo periodo, il cambiamento politico e perciò di politiche economiche, possono cambiare in modo che le cause della stagnazione secolare siano rimosse in misura significativa.
E ciò pone in luce quanto sia importante la lotta politica per un cambiamento delle politiche economiche.
D: Che opinione hai delle porposte economiche di Trump che chiaramente abbracciano il neoliberismo..ma si oppongono ai “free-trade” agreements, e cosa ti aspetti che accada quando ciò entrerà in collisione con la austerity budget propugnata da Ryan?
Il piano di Trump per l’economia americana è ancora vago, ma finora, si può dire, ha due principali assi di sviluppo – far creare alle industrie USA più posti di lavoro e aumentare gli investimenti in infrastrutture.
Il primo “asse”, appare piuttosto fantasioso. Sostiene che lo farà aumentando il protezionismo, ma non funzionerà per due ragioni:
- Anzitutto, è già vincolato da accordi internazionali di commercio – il WTO, il NAFTA, e vari trattati bilaterali (con Korea, Australia, Singapore, etc.). Sebbene si possa tentare di spingere le cose in senso protezionista, nei margini di questo scenario, sarà arduo per gli USA imporre tariffe extra che siano abbastanza grandi da riportare lavoro in America, permanendo le regole di questi accordi. Trump ha un team che sostiene che rinegozierà questi accordi, ma ci vorranno anni, non mesi, e ciò non produrrà alcun risultato tangibile durante il suo primo mandato.
2. Secondo, quand’anche sia possibile imporre delle extra tariffe contro le previsioni di questi trattati, la struttura attuale dell’economia USA è tale che sorgeranno enormi resistenze interne a misure protezioniste.
Molti dei beni importati dalla Cina o dal Messico, son prodotti, quantomeno, “per” società americane. Quando il prezzo degli iPhone o delle scarpe Nike fatte in Cina, o delle auto GM made in Mexico, crescesse del 20 o 35%, non solo i consumatori americani ma anche società come Apple, Nike e GM saranno intensamente scontenti.
Ma questo forse indurrà la Apple o la GM a riportare la produzione negli USA?
No, si sposteranno probabilmente in Vietnam o in Thailandia, che non saranno soggette a queste tariffe.
Il punto è che lo svuotamento del manifatturiero americano è progredito nel contesto della globalizzazione (US-led) della produzione e della ristrutturazione del sistema di commercio internazionale, e non può essere invertito con semplici misure protezionistiche. Richiederà una totale riscrittura delle regole del commercio globale, e la ristrutturazione della c.d. catena di creazione del valore.
Persino a livello “domestico”, l’economia americana esigerà delle misure molto più radicali di quelle contemplate dall’amministrazione Trump.
Richiederà una politica industriale sistematica che ricostruisca le capacità produttive svuotate, a partire dalle capacità (skills) della manodopera, dalle competenze manageriali, dalla ricerca industriale di base e dalle infrastrutture modernizzate.
Per avere successo, una tale politica industriale dovrà essere sostenuta da un radicale cambiamento del sistema finanziario, in modo che un capitale più “paziente” sia reso disponibile per investimenti orientati al lungo termine e più gente di talento affluisca nel settore industriale, piuttosto che indirizzare gli investimenti nel settore bancario o nello scambio commerciale con l’estero.
Il secondo asse della strategia di Trump è l’investimento in infrastrutture.
Ciò, come detto, è un ingrediente efficace in una strategia di rilancio dell’economia americana. Ma ciò incontrerà resistenza nelle file fiscalmente conservatrici del Congresso dominato dai repubblicani.
Sarà interessante vedere dove tutto questo andrà a parare, ma la mia maggiore preoccupazione è che Trump sia indotto a incoraggiare delle tipologie sbagliate di investimenti infrastrutturali: cioè, quelli legati al settore immobiliare (suo territorio naturale) piuttosto che allo sviluppo industriale.
E ciò non soltanto non contribuirà al rilancio dell’economia USA, ma può contribuire a creare delle bolle immobiliari, che sono state un’importante causa della crisi globale del 2008.
Fonte:http://orizzonte48.blogspot.it/2017/05/chang-trump-e-il-new-normalma-luropa.html
Scusatemi, ma c’è un punto che grida vendetta…Quando leggo sul “DEBITO PUBBLICO” mi chiedo e vi chiedo se conoscete come si forma?
Ovvero quali sono i passaggi per la creazione del denaro dal nulla… che poi viene ADDEBITATO AL POPOLO.
Se vole rispondere bene, in caso contrario, credo che il FSI, qualche problema lo ha.