di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
1. Avevo scritto un lungo
post sulla questione dell’immigrazione e sulla sua effettiva finalità di instaurare il paradigma neo-liberista della “porta aperta”: come abbiamo visto, tale paradigma conduce
al lavoro-merce globalizzato che tanto piaceva a Einaudi, ma la cui instaurazione effettiva presuppone, preliminarmente e inevitabilmente, un
vasto sistema illecito di traffico di esseri umani, accoppiato con l’eversione delle disposizioni fondamentali, di protezione delle frontiere degli Stati, attualmente derivanti dalle Costituzioni democratiche.
Se qualcuno avesse bisogno di chiarezza sulla consonanza di questa finalità con il pensiero di Einaudi, riporto le sue stesse parole, le prime pronunciate in sede di Costituente (nel dibattito preliminare sull’art.7 Cost. nella Commissione dei 75), le seconde, assolutamente chiare nella loro avversione alla democrazia pluriclasse (cioè inclusiva degli interessi della maggioranza dei cittadini), frontalmente contrapponibili alle ben specifiche esigenze che condussero invece alla fondazione dell’Internazionale socialista, come poi sotto evidenziato da due fondamentali contributi di Bazaar e Arturo (per la traduzione in italiano mi affiderei ai commentatori, o ci tornerò su in apposito post).
Einaudi prende atto della fiducia manifestata dall’onorevole Moro che la disposizione dei Patti Lateranensi che aveva condotto al caso Buonaiuti in avvenire possa essere modificata, perché considera veramente che il caso Buonaiuti sia stato uno di quelli che hanno offeso di più la coscienza degli studiosi italiani. La scienza nel suo campo è per lo meno altrettanto indipendente e sovrana come la Chiesa e la religione e, quindi, quell’interferenza che vi è stata in quel caso dovrà, a suo parere, essere eliminata, attraverso una revisione bilaterale dei Patti Lateranensi.
Rileva poi che le considerazioni dell’onorevole Cevolotto, per quanto riguarda (ndr; la “contrarietà a”, peraltro ineccepibilmente argomentata in diritto da Lelio Basso nella discussione plenaria) l’inserzione di disposizioni relative a trattati internazionali in una Costituzione, non lo hanno convinto, perché pensa che l’idea della sovranità dello Stato sia un’idea falsa, anacronistica, che deve essere abbandonata.
Ritiene, quindi, che la disposizione in esame, caso mai, precorre i tempi e sarà un esempio che dovrà essere seguito. Si dovrà in avvenire nelle Costituzioni dei singoli paesi introdurre delle norme riguardanti trattati internazionali.
L’esistenza degli Stati sovrani non è più tollerabile nel mondo moderno.
Quindi considera questa disposizione singolarmente felice (ndr; l’attuale, e in realtà ab initio contestatissima anomala formulazione dell’art.7), tale da aprire la via ad altre disposizioni del genere, per cui le Costituzioni vengano ad essere legate in forme durature a trattati internazionali.
3. Sulla “politica della porta aperta” propugnata da Einaudi, sintetizzo, in un passaggio significativo, quanto complessivamente riportato da Francesco Maimone: “Le norme restrittive della emigrazione che vanno sorgendo nei paesi nuovi o vecchi SONO IL LIEVITO DELLE GRANDI GUERRE FUTURE, SONO LA NUOVISSIMA FORMA DI PROTEZIONISMO che si innesta sul vecchio protezionismo ad opera di quelle classi medesime che più gridano contro i dazi affamatori…. vi è un paese che dai dilettanti viene descritto come un paradiso terrestre, come il paese dove non si sciopera, dove la società socialista futura va a grado a grado attuandosi senza conflitti cruenti e senza inutili dibattiti dottrinali e che è altresì la terra promessa del nuovissimo protezionismo operaio. Quel paese, vasto come l’Europa, potrebbe albergare milioni di cinesi e di giapponesi, potrebbe offrire il campo, come lo dimostrano i rapporti dei nostri consoli e di inviati speciali del Governo nostro, alla colonizzazione proficua di molte centinaia di migliaia, per non dire anche di milioni, di italiani. Ma a tutto ciò si oppone l’esclusivismo gretto e feroce di un piccolo manipolo di genti, che in nome della democrazia ha messo l’ipoteca su un intero continente e vuol riserbarlo ai propri sperimenti di barbarie medioevale“.
“Basti ricordare che (ringraziando come sempre Arturo): « The mainly English and French militants had come together in London firstly to rally solidarity with the various international liberation struggles underway, including that for Polish independence, Italian unification and support for the North against the slave-owning South in the American Civil War. Their second reason for forming such an organisation was because in a recent economic downturn attempts had been made by employers to play English and French workers off against each other through the use of immigrant labour to try and break strikes. Trade unionists on both sides of the Channel wanted to counter this blatant “divide and rule” strategy. »
Quindi le prime ragioni per cui fu fondata la Prima Internazionale furono l’appoggio a lotte per l’indipendenza nazionale e la prevenzione dell’uso di lavoratori immigrati in funzione antioperaia.
Andiamo avanti: « When tailors went on strike in Edinburgh and London in 1866 for example, the IWMA were able to prevent their masters bringing in strike-breakers from Europe and Germany.» (Fonte)
Ci fosse bisogno di conferme : « The conditions of the daily struggle (especially in such comparatively advanced countries as England and France) suggested to the workers the need of forming an international union of proletarian forces for a number of purposes. Among these may be mentioned: the sharing of experience and knowledge; conjoint efforts on behalf of social reform and improvements in the condition of the working class; the prevention of the import of foreign workers to break strikes; etc. Thus the needs of the industrial struggle gave an impetus towards the formation of the workers’ international. » (Fonte).
Che piaccia o meno rispetto alla propria personale ideologia, la via verso la democrazia è stata tracciata – in primis – dai socialisti. E va riscoperta tutta l’opera ripulendola dall’orwelliana falsa coscienza dei “liberali di sinistra e di destra”.”
“Tornando, non casualmente, alle vicende americane, vale la pena citare dal rapporto del Comitato sull’immigrazione, interno al marxista e combattivo American Socialist Party, pubblicato nel 1908 (qui la fonte da cui citerò: pagg. 75-77).
Il Comitato raccomanda di vietare l’immigrazione, in particolare “from specific and definite nations. This exception refers altogether to the mass immigration of Chinese, Japanese, Coreans and Hindus to the United States. We advocate the unconditional exclusion of these races, not as races per se—not as peoples with definite physiological characteristics—but for the evident reason that these peoples occupy definite portions of the earth in which they are so far behind the general modern development of industry, psychologically as well as economically, that they constitute a drawback, an obstacle and menace to the progress of the most aggressive, militant and intelligent elements of our working class population.
The larger and more powerful elements of our ruling classes, the great capitalists, the real and effective opponents of the militant working class, are the real beneficiaries of immigration from those countries, and being well aware that these immigrants are accustomed to a much lower standard of living and do not easily assimilate with the other elements of our population, use every means, legal and illegal, to encourage the immigration of these peoples to a point where it becomes an effective competitor against the progressive elements of the working class, serves to lower their standard of living, and constitutes a formidable factor in perpetuating division among the workers by subordinating class issues to racial antagonisms and thus tends to prolong the system of capitalistic exploitation.”
“The exclusion of the above-mentioned peoples does not prevent the disintegration of the middle classes, but it does, on the other hand, assist the workers by lessening the unemployment, maintaining the standard of living, minimizing the number of possible strike-breakers and lessening the various race problems which tend to confuse and divert the working class in its struggle for final emancipation.”
“The Committee has arrived at this conclusion after several years of careful study of all available data. So far as the time limits of this convention permit, individual members of this Committee are prepared to state the general and specific reasons that have led them to the position taken in this report.”
Naturalmente erano esclusi i rifugiati politici, di cui si riteneva doverosa l’accoglienza.
Ovvero, in generale: “L’unione dei “proletari di tutto il mondo” nel conflitto di classe interno a ciascuna nazione è inconcepibile, a meno di ipotizzare che i rapporti di forza tra capitale e lavoro siano sufficientemente omogenei nei diversi contesti geopolitici. Prima vengono i rapporti di forza all’interno delle singole nazioni e i loro esiti: se questi sono abissalmente diversi, allora nelle nazioni più sviluppate un conflitto interno alla classe lavoratrice, indigena e immigrata, è inevitabile, con conseguente indebolimento generale del suo potere contrattuale.” (Barba e Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, s.p.).
Oltre ad essere fondati sull’esperienza, mi sembrano abbastanza lineari come ragionamenti. Aiutano anche a capire, ce ne fosse bisogno, dove sta, e da quali interessi è incarnato, il problema”.
6. Tornando a quel “lungo” post citato all’inizio, riporto il solo
punto 5, per delle ragioni che saranno chiare nel corso della successiva lettura (e sempre rammentando chi sono i beneficiari essenziali della “manovra migratoria” antisovrana):
Ignorare gli effetti complessivi del delitto di “tratta degli esseri umani” e anzi selezionarli arbitrariamente, e contro l’oggettiva realtà del fenomeno, in modo da individuare delle vittime da tutelare e delle vittime i cui interessi necessariamente coinvolti non sono invece considerati meritevoli di tutela, significa varie cose:
5a) che l’organizzazione dei trafficanti viene miopemente circoscritta ai soli vettori ed esecutori materiali del trasporto: un ruolo del tutto simile a quello dei corrieri della droga, non prevedendosi, al di là di enunciati assolutamente generici e non operativi sul piano dell’azione di contrasto, la repressione dei livelli di ideazione, direzione e, soprattutto, finanziamento genetico, dell’attività criminosa;
5b) che il deliberato sacrificio, determinato dall’omissione di ogni previsione e possibilità di tutela effettiva, degli interessi delle ulteriori vittime, consistenti nelle (maggioritarie) fasce economicamente più deboli della comunità sociale che subisce gli effetti dell’immissione della forza lavoro aggiuntiva (oltretutto aggiuntiva a quella già disoccupata entro tale comunità), non può che corrispondere, simmetricamente, alla realizzazione dell’oggettivo interesse di coloro che hanno (anche solo culturalmente) propugnato, e quindi ideato, l’immigrazione di massa della forza lavoro transcontinentale, e che dunque sono gli oggettivi beneficiari degli effetti strutturali del fenomeno delittuoso: questo interesse elitario viene dunque, per converso, considerato necessariamente meritevole di tutela!
5c) esistono forse dei rimedi possibili a questa inammissibile falla relativa all’effettiva prevenzione e neutralizzazione degli effetti concomitanti, se non principali, dell’attività criminale organizzata. Allo stato della disciplina attuale (recepita dall’Italia), le vittime dirette, selettivamente considerate dalle norme, sono oggetto di tutela, abbiamo visto, ex post, mediante le provvidenze economiche ampiamente riconosciute dalla disciplina in questione, e ottengono comunque un beneficio nella permanenza de facto nello Stato di arrivo.
5d) Ma il principale rimedio dovrebbe essere ovviamente quello di considerare prioritaria, anzitutto, come già nei delitti di mafia, l’identificazione e punizione, senza limiti territoriali, dei finanziatori in apice, ad ogni livello, e degli organizzatori primi del traffico umano.
Questi soggetti di vertice, infatti, ben possono non figurare mai come responsabili in base alle attuali possibilità di indagine e limitarsi a concertare “dall’alto”, a livello planetario, attività di istigazione e finanziamento, in loco, di reclutatori, persuasori/induttori all’emigrazione, di vettori, dediti, già a livello esecutivo, ad un’attività indubbiamente coordinata via terra e via mare, e via dicendo.
La struttura organizzatrice di vertice, oggi a contrasto praticamente impossibile (in base a quanto sopra evidenziato), compie un’attività fondamentale e, visti gli effetti attuali, da presumere altresì immancabile, evidentemente pianificata; per agire nella vastità di scenario e di numeri oggi evidente, essa presuppone una forte centralizzazione (prova ne è la sua simultaneità e accelerazione), una ghost institution che soprassiede all’intero fenomeno delittuoso e senza la quale esso sarebbe irrealizzabile nelle attuali modalità e dimensioni.
5e) Sarebbe opportuno, a tal fine, prevedere che le Nazioni Unite, preso atto del fenomeno nelle sue reali modalità globali, stabiliscano un sistema di adeguati incentivi e di sanzioni effettive, a tutti gli Stati dai quali già risulta in essere un imponente flusso in uscita di popolazione, che sia inevitabilmente coinvolta in questo traffico organizzato e criminale, al fine di imporgli l’adozione di una disciplina che stabilisca come grave reato l’attività, univocamente preparatoria del traffico umano, di persuasione e induzione all’emigrazione, identificando ed arrestando, non solo gli operatori locali che si dedicano a queste attività di innesco dell’esecuzione del crimine, ma anche identificando, attraverso meccanismi premiali di attenuazione delle pene, coloro che li hanno dall’esterno finanziati e, comunque, riforniti di informazioni e tecniche comunicative diffuse di reclutamento degli aspiranti immigrati, nonché di strumenti concreti autorganizzazione coordinata;
5f) un secondo genere di rimedi, da adottare in concomitanza con quello appena indicato, è più politico-generale, ma risulta sempre affidabile alle previsioni operative delle Nazioni Unite, in applicazione concreta ed attualizzata (come sempre dovrebbe essere per previsioni di
ius cogens di diritto internazionale generale), delle previsioni della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo,
nonché dell’art.55 della Carta (v. p.9). Secondo tali previsioni, teoricamente supreme nei principi comuni alle “nazioni civili”, la dignità del lavoro, svolto naturalmente presso la comunità sociale da cui si proviene, assume un valore primario ed inderogabile.
Ora, un fenomeno organizzato e concertato di traffico di esseri umani di queste dimensioni, sfrutta necessariamente condizioni globalmente diffuse di profondo disagio sociale che, di per sè, agevolano, per il capitalismo free-trade globalizzato, l’azione centralizzata e concertata di “prima organizzazione” del traffico sistematico di esseri umani.
5g) Per capirsi, basta fare l’opposto di quanto oggi prospettano le organizzazioni economiche internazionali e gli Stati dominanti, che prevedono presunti “aiuti” finanziari a paesi in fase di sviluppo, ma accompagnati dalle consuete “condizionalità” che incidono solo sul mercato del lavoro e sul welfare di tali popolazioni. Questo intero sistema oggi prevalente si fonda sull’idea free-trade della libera circolazione dei capitali e, quindi, sull’esclusivo obiettivo di rendere appetibile a investitori esteri l’ambiente socio-istituzionale di questi paesi, vietando qualsiasi forma di autoprotezione democratica che consenta lo sviluppo, controllato da Stati effettivamente agenti nell’interesse delle proprie comunità, di un “infant capitalism”.
Nel tentativo di dare nuovo slancio a questa presenza, tra le misure proposte per incentivare investimenti privati in Africa vi sono garanzie di credito all’esportazione per le aziende tedesche e, al contempo, risorse finanziarie a sostegno dei governi africani che introducono riforme, soprattutto nel quadro normativo economico, incluso quello della tassazione, e agiscono con responsabilità, trasparenza e impegno”.
Cosa sia il “Piano Merkel” per l’Africa è presto detto: da un lato 300 milioni di euro per programmi di formazione professionale e occupazione, destinati ai Paesi – si parte con Tunisia, Ghana e Costa d’Avorio, mentre Marocco, Ruanda, Senegal ed Etiopia potrebbero seguire – che si impegnano a rispettare i diritti umani, combattere la corruzione e garantire lo stato di diritto, creando così un clima economico più favorevole; dall’altro i “Compact with Africa”, che puntano a incentivare le riforme sul posto, per attirare maggiori investimenti privati“.
I vescovi che svolgono il loro apostolato proprio sui territori interessati, e che quindi sono testimoni effettivi di ciò che sta accadendo, paiono ben coscienti che proprio chi emigra non appartenga alla minoranza di coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame, ma al contrario, appartiene ad una vasta platea di soggetti che “si aspettano e reclamano” ben altro, evidenziando che l’idea del “dovere morale di accoglienza” sia l’altra faccia della parte più insidiosa e propagandistica dell’organizzazione del traffico di esseri umani: e notare, specialmente se “convinti a emigrare in un paese in difficoltà come l’Italia”:
“I vescovi africani, oggi, ai giovani:
C’è una prospettiva che di solito manca nella riflessione sugli attuali flussi migratori dall’Africa. Cresce la preoccupazione di come fare a mantenere centinaia di migliaia di persone che vanno nutrite, alloggiate, vestite da capo a piedi, se necessario curate; e che, per di più, si aspettano e reclamano televisori, reti wifi, mezzi di trasporto, sistemazione in centri urbani e, qualcuno, una occupazione all’altezza del proprio titolo di studio: perché molti vantano diplomi di scuola secondaria e persino universitari.
Qualcuno incomincia anche a domandarsi se sarà possibile assimilare una simile massa di persone culturalmente così diverse da noi e tra di loro.
Ma nel complesso prevale l’idea che sia un dovere morale di accoglierli nel presupposto che si tratti sempre di persone salvate da morte certa per fame e violenza e che ospitarli sia indiscutibilmente bene per loro, utile, positivo: anche se sarebbe meglio “aiutarli a casa loro”, cosa che peraltro molti intendono solo nel senso che costerebbe di meno e semplificherebbe le cose.
Non si pensa innanzi tutto che il traffico di emigranti è un commercio fiorente, miliardario, anche perché, come per tutte le attività economiche, chi ci lavora non si limita ad aspettare che arrivino i clienti, ma li va a cercare, li alletta, crea nella gente lo stimolo e il desiderio di partire. Come? Prospettando e promettendo meraviglie. A chi? Soprattutto ai giovani: in maggioranza maschi, ma non solo, per lo più scolarizzati e residenti in centri urbani dove loro o i loro genitori sono emigrati lasciandosi alle spalle campi, pascoli, villaggi e miseria.
Ma l’esodo di centinaia di migliaia di giovani – ed ecco la prospettiva che manca – produce danni economici, sociali, culturali enormi, irreparabili ai paesi di origine, privandoli di parte della più importante risorsa di ogni comunità e di ogni nazione: il suo capitale umano.
Peggio ancora se quei giovani vengono convinti a emigrare in un paese in difficoltà come l’Italia dove quasi il 6% delle famiglie vive in condizioni di povertà assoluta, per un totale di oltre quattro milioni di persone, dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,7%, il 44,2% quella giovanile, dove sono ormai oltre 100.000 i cittadini che ogni anno emigrano (quasi metà di età compresa tra i 20 e i 40 anni): e dove quindi il destino di molti giovani immigrati è di essere sì provvisti di tutto, ma restando inattivi, assistiti in permanenza da cooperative, Ong e altri enti.
Può apparire una discreta opzione, almeno nei primi tempi, quella di vivere senza lavorare e chissà che effetto fanno agli amici e ai parenti rimasti in patria i selfie che li mostrano con sneakers di marca, berretti con visiera, felpe con logo, smartphone e bicicletta.
Neanche l’eventualità che riescano a mandare del denaro a casa va considerata un successo. Si stimano in quasi 40 miliardi di dollari le rimesse degli africani all’estero. Ma in gran parte vanno a integrare i redditi dei parenti rimasti a casa: e sono spese in acquisti, in consumi, creando altre situazioni di dipendenza.
Si può immaginare il rammarico di chi lucidamente guarda al futuro di quei giovani e dei loro paesi.
«Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi», ha detto rivolgendosi ai giovani Monsignor Nicolas Djomo, Presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nel discorso di apertura dell’Incontro della Gioventù cattolica panafricana che dal 21 al 25 agosto ha riunito a Kinshasa 120 delegati provenienti da 11 stati africani.
«Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America – ha proseguito – guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali. Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione di giustizia, pace e riconciliazione durature in Africa».
8. Da rimarcare, infine, come la posizione dei vescovi africani risulti, nella sua visione più pratica del paradigma sociale affermato, praticamente
opposta a quella delle Conferenze episcopali delle Comunità europee (COMECE), affiancate da sempre al paradigma ordoliberista che esplicitamente appoggiano (
qui, pp.2-5), citando Eucken e Roepke, come pensatori di riferimento per il grande temperamento dello Stato in nome della
“sussidiarietà”, e quindi della prevalente privatizzazione del welfare.
Potranno mai riconciliarsi queste visioni oggi così diverse dentro un’unica Chiesa?
(Ovviamente questa è una domanda retorica: nessuno è così ingenuo da credere che non si possa argomentare teologicamente una sintesi “dialettica” tra le due posizioni…avvalendosi di una poderosa tradizione in tal senso).
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