La mappa delle forze in Venezuela, a 9 giorni dalle elezioni dei governatori
di L’ANTIDIPLOMATICO (Marco Teruggi)
Poco più di due mesi fa, la destra venezuelana parlava dell’ “ora zero”, il “punto di non ritorno”, non riconosceva il presidente Nicolás Maduro e faceva i primi passi per nominare un governo parallelo. Il suo progresso sembrava difficile da fermare, era accompagnata da un’architettura internazionale guidata dagli USA, un macchinario di formazione di senso comune globale, soldati diplomatici, indignati dell’ultima ora, e -per convinzione o dinamica del conflitto- settori di sinistra e progressisti. Erano giorni di persone bruciate, assalti a caserme militari, cittadine assediate con gruppi di incappucciati con armi alla mano, una lista di morti che s’ingrossava.
Oggi siamo ad alcuni giorni dal 15 ottobre, la data delle elezioni dei governatori e quella quotidiana guerra di strada sembra lontana. Anche coloro stessi che disconoscevano i pubblici poteri fanno appello a votare, e lo fanno contro la propria base sociale che si sente tradita: le promettevano l’immediata “fine della dittatura” e ora le chiedono il voto. E’ il caso soprattutto di Voluntad Popular (VP) e Primero Justicia (PJ), forze politiche che avevano reso operativo parte del dispiegamento violento nel paese -la dirigenza veniva dagli USA-. Freddy Guevara, ad esempio, che appariva in primo piano con le cellule di scontro che guidavano le mobilitazioni, ora prega, giornalmente, dal suo Twitter che le sue basi vadano alle urne, che ciò indebolirà “il regime”.
Altri partiti, invece, si avvicinano alle elezioni con meno contraddizioni. Nel caso di Azione Democratica (AD), che ha sostenuto che il modo per sconfiggere il governo è attraverso la progressiva erosione, causata principalmente dall’accumulo della crisi economica innescata come parte della strategia di guerra segreta -l’immagine sarebbe quella di togliere il potere a fette sino alle presidenziali-. Il suo portavoce principale, Ramos Allup, è stato quello che per primo ha annunciato che avrebbe partecipato alle elezioni dei governatori. Questa forza -che non è innocente della violenza di aprile/agosto- è quella che ha prevalso nelle elezioni primarie della destra e presenterà più candidati il 15 ottobre.
Esiste, a sua volta, un altro settore, collegato, nascostamente, con VP e PJ, che pubblicamente accusa di traditori tutti coloro che si presenteranno. Una dei suoi portavoce è Patricia Poleo -golpista del 2002 che è fuggita a Miami- che, dagli USA, celebra ogni assalto alle caserme che si produca, ogni nuova minaccia di intervento sputata da Donald Trump. La sua tesi è invariabile: solo si può rimuovere il chavismo dal governo attraverso l’azione violenta. I voti sono, ripete, uno “strumento della dittatura”.
Questo quadro generale mostra segnali di controversia nella destra. La Mesa de la Unidad Democratica (Tavolo dell’Unità Democratica) spazio unitario di VP, PJ, AD ed altri partiti, è in crisi, ed i risultati del 15 ottobre sembrano lontani da quelli che prediceva tutta l’opposizione quando diceva di rappresentare il 90% della popolazione venezuelana. L’effetto della sconfitta del tentativo insurrezionale -che pesa su tutti i vettori dell’opposizione- è profondo. Sbagliarsi nella lettura del campo di battaglia e lanciarsi nella presa violenta del potere senza la correlazione di forze sufficiente, ha un costo elevato.
Il chavismo, da parte sua, arriva con le potenzialità e le debolezze che lo caratterizzano in questa fase. Ha l’iniziativa politica prodotto della vittoria tattica delle elezioni dell’Assemblea Nazionale Costituente (ANC). Si sente nel ritmo politico della campagna, dei dibattiti, dell’unità chavista che -con le sue tensioni e negoziazioni- è stato raggiunto per le elezioni. I candidati sono schierati nei territori, a differenza della destra che ha avviato una macchinario ridotto, fiacco.
La politica è, centralmente, nelle mani del chavismo. Questa è la sua forza. Al contrario, la situazione economica erode il vantaggio, l’accumulazione storica, la leadership del presidente, della dirigenza, le possibilità elettorali ed il progetto storico. I due principali problemi popolari, l’aumento dei prezzi e la carenza di farmaci, stanno peggiorando. Non è una coincidenza, è un prodotto della strategia di attacco all’economia, come parte della guerra prolungata che ha come logica non lasciare mai un momento di tregua. Si tratta di far sì che una società soffochi fino all’esplosione -violenta o elettorale.
Ed è sull’economia dove gli USA hanno deciso colpire con sanzioni. L’obiettivo è quello di tagliare i finanziamenti, le possibilità di pagamenti internazionali, rinegoziazione delle obbligazioni, spingere il paese in default. Non è teoria della cospirazione come si dice per squalificare: sono annunci di Trump. Che ha complici in Venezuela, in particolare attraverso la corruzione, un problema fondamentale che è emerso in queste ultime settimane attraverso il nuovo procuratore generale. I numeri parlano da soli: solo nella Frangia Petrolifera dell’Orinoco si sono rubati 35 miliardi di dollari negli ultimi anni. Diversi dirigenti di PDVSA sono in carcere.
Un risultato illuminante, la geografia della corruzione coincide con i punti strategici dell’economia venezuelana su cui la guerra colpisce: petrolio, importazioni e salute.
Nicolás Maduro ha definito tale nodo come il nemico principale del processo, il Procuratore ha annunciato progressi ogni settimana, e tale riconoscimento pubblico -che non è accaduto in altri processi politici contemporanei del continente- dà maggiore credibilità al governo. La situazione economica non è solo il prodotto di attacchi dei grandi impresari, degli USA e della trama finanziaria, ma ha anche una componente propria dei ranghi dello Stato e del chavismo, che deve essere combattuta frontalmente. Non è la risposta immediata al deterioramento materiale dei settori popolari, è un’iniziativa nel campo della politica che consente ricomporre, in parte, una forza morale colpita.
Risulta difficile prevedere i risultati del 15 ottobre. I numeri -quantità di governatori e partecipazione- che da lì emergeranno sarà una fotografia della correlazione di forze ad un anno dalle elezioni presidenziali. Funzionerà anche come un riordinamento della strategia della destra, dove il settore elettorale si vedrà colpito nel caso ottenere scarsi risultati. Quale iniziativa prenderebbe, allora, l’ala insurrezionale/braccio armato? Cosa decideranno gli USA, immersi nelle proprie crisi, lobby e labirinti?
Siamo a giorni del prossimo round. Se il chavismo ottiene buoni risultati, sarà uscito, in modo consolidato, dalle corde dove era, politicamente, fino all’Assemblea Nazionale Costituente (ANC). La questione continuerà ad essere per l’economia ed il progetto: in quale misura una rivoluzione si sostiene come rivoluzione quando la vita delle classi popolari si deteriora e la promessa di miglioramento non si assembla?
Traduzione di Francesco Monterisi
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