di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
1. Cominciamo il nuovo post dalla parte finale del
precedente:
“…la BCE ha già iniziato a inasprire i requisiti sugli accantonamenti di capitale corrispondenti al deprezzamento in bilancio delle sofferenze, posti essenzialmente a carico del sistema bancario italiano (i valori di bilancio dei ben più incerti strumenti derivati nel bilancio del sistema bancario tedesco, non sono stati sostanzialmente toccati: andrebbero bene così, mark to fantasy, con l’Imprimatur della vigilanza BCE!).
Quindi, per quanto moralmente tentati, e scientificamente non attrezzati a comprenderlo, i banchieri italiani “fiutano” che al prossimo aumento degli spread sarà difficile, anzi controproducente per i loro interessi patrimoniali e, ancor più, per la preservazione del loro controllo societario, invocare un nuovo “fate presto” che, via austerità” fiscale, induca un nuovo dilagare delle sofferenze (sicuramente soggette alle nuove regole BCE).
La totale falsità (usiamo la definizione di Milton Friedman) del debito pubblico come primo dei problemi italiani, potrebbe, anzi, dovrebbe, in un’ottica di istinto di sopravvivenza del nostro sistema bancario (se pure è rimasto), risultare
un’arma spuntata. Anzi: una spada senza elsa, che ferisce pure chi la impugna.
…In pratica, lo spread, in un’eurozona depurata dalla droga del QE, si lega ad un parametro, o meglio, ad un’aspettativa, ben diversa da quella relativa all’andamento della PNE: i mercati tendono a prezzare la stupidità (Prodi dixit) dell’eurozona e dei suoi parametri fiscali, per paesi, altrimenti sani, come l’Italia e, quindi, la prospettiva di dover abbandonare la valuta unica e il conseguente ritorno a una moneta nazionale, che, in ipotesi, dovrebbe svalutarsi (ma ormai non è pronosticabile di quanto, in una valutazione seria e non terroristica) rispetto alle altre valute di scambio internazionale, come il dollaro o, molto teoricamente, al wannabe euro che si vorrebbe capace di sopravvivere senza l’Italia (che sarebbe sempre più un marco, prima sottovalutato, ma poi, a seguito dell’Ital€xit, da rivalutarsi).
E’ bene rammentare queste prospettive, che si affacciavano nel 2011-2012, naturalmente al di fuori del “fate presto!” del mainstream.
2. Quello che cercheremo di verificare più in profondità è
se la consapevolezza, nel Quarto Partito (
come definito da De Gasperi),
della natura suicida (per se stesso) di un nuovo “fate presto!”, cioè della richiesta di un drastico consolidamento fiscale post-elezioni e post QE (taglio della spesa pubblica in istruzione, previdenza e sanità, oltre che della spesa corrente per il funzionamento fisiologico “minimo” della pubblica amministrazione):
a) possa essere originata a sufficienza dalla prospettiva di una perdita del controllo azionario nazionale del sistema bancario, in esecuzione del disegno normativo dell’Unione bancaria (e in derivazione da ciò, della perdita del controllo nazionale della ricchezza in impianti industriali e immobili, che verrebbero inevitabilmente assoggettati all’esecuzione creditoria accelerata da parte delle banche, e svenduti in sovraofferta a operatori esteri, in quanto gli unici dotati di liquidità e di credito da parte dei rispettivi sistemi bancari non italiani);
b) o se, invece, tale prospettiva – e la relativa consapevolezza del “suicidio”- siano, dal Quarto Partito, ritenute un costo tollerabile e/o limitabile di fronte alla praticabilità di un altro rimedio, capace di salvare queste posizioni di controllo mediante un intervento di soccorso dello Stato.
3. La certezza dell’assetto istituzionale garantito dalla moneta unica, in effetti, farebbe propendere per questa seconda soluzione: il Quarto Partito, cioè, muovendosi nell’orizzonte cognitivo implicito nella
ideologia delle “riforme”, pare (pare)
non scorgere l’attualità del rischio legato agli effetti dell’Unione bancaria, e preferisce una visione statica, idealizzata, del quadro istituzionale favorevole così
descritto da
Zenezini (
citato nello stesso post, parte finale): (pag. II):
“La ragione storicamente contingente della centralità assegnata alle riforme è da rinvenire nel processo di creazione del mercato interno europeo, della moneta unica e nei vincoli imposti dai trattati europei alla conduzione della politica macroeconomica. Questo mutamento del quadro di politica europea ha progressivamente prosciugato qualsiasi fonte di intervento nell’economia oltre gli ambiti “microeconomici” della gestione dei mercati del lavoro e dei beni, determinando una sistematica distorsione verso orientamenti “offertisti” nelle politiche economiche. Questi orientamenti si sono quindi tradotti in una continua azione di promozione di riforme economiche mirate a favorire il “buon funzionamento” dei mercati.”
4. Il punto di riferimento, ideologico e materiale, risulta dunque chiaro: un vincolo, prioritariamente monetario, che limiti d’imperio ogni possibile intervento nell’economia alla gestione dei mercati del lavoro e dei beni, in senso “offertista”,
è un bene talmente prezioso, come insegnava d’altra parte
Kalecky,
che ben può generare la convinzione che rinunciare ad esso costituisca un male superiore a qualsiasi, e proprio qualsiasi,
costo che tale vincolo potrebbe generare.
Forte di questa convinzione, (peraltro “statica”, cioè non disponibile a essere rimessa in contestazione da qualsiasi situazione sopravvenuta), il Quarto Partito diviene naturalmente propenso a non vedere il suicidio (cioè la perdita di controllo bancario e industriale) come punto di approdo della moneta unica e, invece, a ritenere sempre praticabile, date certe condizioni politiche, – tipicamente rappresentabili a se stesso come un nuovo stato di eccezione legato agli spread e al debito pubblico-, un “altro rimedio” (per l’appunto).
7. L’altro rimedio, per salvare “l’altra €uropa”, – data l’implicita accettazione come dogma dell’incubo del contabile, in ciò insita- non può che essere la super-patrimoniale che, appunto, salverebbe “capra e cavoli” dentro la moneta unica: a fronte di un’austerità consistente in tale misura, lanciata dall’emergenza spread post-QE e quindi dal consueto slogan dell’abbattimento del debito pubblico, si otterrebbe la preventiva copertura dell’intervento statale (tosatura dei contribuenti-risparmiatori), complementare al burden sharing (tosatura degli obbligazionisti e piccoli azionisti), per salvare le banche che, notare l’ironia, vedrebbero aggravati i loro bilanci proprio dall’adozione di un tale drastico prelievo fiscale (cioè dal riespandersi delle insolvenze bancarie da cui si voleva sfuggire…).
8. Un giro euristico, ma solo nei volumi di tassazione rispetto alla riduzione della ricchezza dei cittadini (in alternativa al traumatico bail-in sui correntisti), perché, comunque, sarebbe una
gigantesca redistribuzione fiscale in favore del settore bancario da tutelare; il quale, però, non rimarrebbe a lungo a controllo pubblico, dato l’obbligo di cessione delle banche salvate, che le regole europee prevedono a carico dello Stato il quale,
eccezionalmente, – e derogando al divieto di aiuti di Stato in ragione di (ben tangibili) crisi di portata sistemica-, venga autorizzato a intervenire.
9. Ma anche prendendo per “buono” questo “altro rimedio”, dal punto di vista delle aspettative statiche di permanenza del controllo istituzionale, esso dispiegherebbe effetti macroeconomici di cui, molto probabilmente, il Quarto Partito non si rende ben conto.
“Prendiamo le mosse da uno studio Bankitalia sull’ “effetto ricchezza“: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td04/td510_04/td510/sintesi_510.pdf
Per quanto concerne la sola ricchezza finanziaria, la propensione marginale al consumo è simile nei due paesi [USA e ITA], pari a circa 9 centesimi per ogni euro di ricchezza finanziaria. …
Per quanto concerne la ricchezza reale (essenzialmente abitazioni e altri immobili), la propensione marginale al consumo delle famiglie italiane è pari a circa 2,5 centesimi per ogni euro di ricchezza reale.”
…
Una patrimoniale ragionevolmente imposta solo sulle attività finanziarie liquide, visto che per gli immobili il “cappottino” è già confezionata “smoothly” e funziona in parte già a pieno regime, e che volesse dare un gettito decente, – per un folle quanto irrilevante impiego in riduzione del debito e per il famoso innesco delle politiche vagheggiate da Renzi-, dovrebbe grosso modo attestarsi sul 15%, con (forse) una soglia di esenzione dei conti con attivi inferiori a 100.000 euro, o a 50.000 euro, o a chissà quanto.
Dipende dal concetto di “ricchezza sfrenata” e colposa che ci propineranno, come quando propugnano la riduzione delle centinaia di migliaia di pensioni superiori a 1500 euro al mese, giustificandole con quelle poche decine da 10.000 euro al mese, fruite da alcuni “amici” (o ex tali), in assenza di una contribuzione effettiva corrispondente (parliamo di contribuzioni figurative e virtuali concesse ai vari politici e grand commis, padri della Patria in servizio militante permanente).
Sia quel che sia, arrotondiamo e facciamo che vogliano ottenere comunque un certo gettito, accomodando poi la base imponibile e le soglie di esenzione su questo risultato prefissato. Cioè, poi, in senso quella volta elargitivo, lo stesso metodo usato per la rivalutazione delle quote bankitalia: prima decido quanto voglio erogare di profitti (per modo di dire), alle banche private, poi capitalizzo sulla base di questo livello “a prescindere”. Arrotondando, diciamo che un “monte premi” che si estenda alle attività liquide in mano alle banche (cioè i comodi sostituti di imposta retribuiti a commissione), e forse esteso ai titoli del debito pubblico intestati a persone fisiche (quindi non a soggetti finanziari), – cosa che equivarrebbe a un consolidamento parziale “selettivo” a carico di gente certamente colpevole della “disoccupazione giovanile”- , darebbe una base imponibile “a spanne” di circa 1000 miliardi e un gettito di 150 (scontando, ripetiamo, una certa astuta fissazione delle soglie di esenzione).
Ora 150 miliardi di prelievo patrimoniale sulle attività liquide avrebbero i seguenti effetti:
a) una riduzione dei consumi pari a 13,5 miliardi ALMENO, essendo la propensione marginale USA assunta da Bankitalia alquanto riduttiva, e non correlata alle aspettative che il diverso assetto monetario e fiscale imposto dalla UEM innesca nella creazione di risparmio meramente di “riserva”. Diciamo che più realisticamente si produrrebbe un calo recessivo dei consumi di almeno un punto di PIL;
b) un calo delle disponibilità per il pagamento di crediti in generale e di mutui immobiliari, in particolar modo, innescando un ulteriore incremento delle sofferenze bancarie...
Ciò determinerebbe un quasi esiziale fattore di instabilità del nostro sistema bancario, inducendo o lo Stato a trasferire il gettito di questo prelievo straordinario in salvataggi bancari, o, in omaggio al metodo Cipro istituzionalizzato dalla riforma bancaria UE, a procedere a ulteriori prelievi “forzosi” sui conti bancari privati (o a tutte e due le cose insieme); c) un simultanea ulteriore situazione di minor domanda interna sul fronte immobiliare, che si sommerebbe alla sovraofferta che, autonomamente, è già in corso per via delle politiche fiscali attualmente intraprese, e comunque programmate in ulteriore inasprimento, di crescente tassazione patrimoniale (moltiplicazione dei titoli di imposizione e aumento legislativo delle basi imponibili). Da ciò: crollo dei prezzi immobiliari e aggiuntive insolvenze a catena di ogni forma di credito garantita da tali assets. E quindi sinergia distruttiva col punto b).
E perciò si avrebbe anche un’accelerazione di quella ulteriore perdita di consumi indicata da Stefano come conseguenza della propensione marginale al consumo della ricchezza immobiliare: diciamo, attenendoci abbastanza moderatamente al suo calcolo, e ipotizzando un crollo dei prezzi immobiliari (aggiuntivo) del 10-15% sui valori attuali (già calanti), di un altro punto di PIL.
d) Insomma, solo sui consumi l’interazione distruttiva di una tale intelligente misura fiscale, inciderebbe con una recessione “diretta” di circa 2 punti di PIL (ottimistica e che esclude un effetto panico tra risparmiatori e sistema bancario: lì saremmo alla devastazione. Che però non è ragionevolmente escludibile)”.
10. Ci pare interessante chiudere il cerchio riportando la risposta a una domanda (“perché distruggere l’Italia?”) posta nei commenti seguiti al post appena citato (eravamo a febbraio 2014): “La domanda è molto “essenziale”: il fatto è che loro credono veramente non di distruggere ma di migliorare l’Italia.
La premessa da cui partono è che non c’è posto per l’Italia, nel suo tradizionale sistema industriale e culturale (ormai distrutti, effettivamente) nel mondo liberoscambista finanziarizzato, e che si sia creata una sola via di scampo: quella della compartecipazione assoluta con le mire dei grandi gruppi economico-finanziari che predeterminano gli assetti in Europa e in UE, ciò che implica una riorganizzazione sociale di base conforme ai loro obiettivi (cioè lo schema, già seguito in USA e Germania, del 99% appiattito dalla….curva di Phillips) e salvezza per “loro”: cioè politici esecutori fedeli, executives bancari e industriali, residui che comunque si internazionalizzano, cui verrebbe sostanzialmente garantita una posizione di gestione “in nome e per conto” dei controllori sovranazionali del capitale finanziario.
L’unico elemento di incertezza è se una certa residua governance (una sorta di testa del “drago”) di questo sistema di controllori sarà attribuibile ai tedeschi o agli USA (adde; il che è, ed è sempre stato, v.qui, p.5, a ben riflettere, un falso problema).
Ma gli obiettivi intermedi non mutano di molto, e come ho evidenziato, ormai la partita trascende persino quella della moneta unica.
La sua stessa conservazione o meno dipende dal raggiungimento degli obiettivi di strutturazione ordinamentale di questo predominio finanziario etero-diretto, al cui consolidamento potrà essere sacrificato lo stesso euro, al momento opportuno.
Ovviamente se ciò sarà utile per IL RILANCIO: allo stato cioè il trattato di liberoscambio interatlantico (seguendo lo schema: lo SME era in fondo sacrificabile purchè CONTESTUALMENTE, ne abbiamo la prova nelle date storiche, si avviassero mercato unico, criteri di convergenza e euro)”.
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