La CGIL si risveglia dal sogno europeista: Camusso rifiuta il fiscal compact
di MICRO MEGA (Enrico Grazzini)
Finalmente la CGIL si dà una sveglia! Sarà perché il governo Gentiloni strapazza nuovamente le pensioni, sarà perché a sinistra del PD qualcosa di nuovo nel bene o nel male sta nascendo, ma la novità è che il più grande sindacato italiano con oltre 5 milioni di iscritti non solo manifesta contro il governo che impone l’aumento dell’età pensionabile ma sta cominciando a darsi una mossa anche sul fronte dell’Europa e della falsa ideologia europeista. La CGIL finalmente si schiera con forza contro l’Unione Europea del Fiscal Compact. Il Fiscal Compact è la massima espressione della politica folle e suicida dettata da Berlino via Bruxelles contro le nazioni europee in crisi. E’ una politica di soffocamento delle economie dei paesi periferici dell’eurozona mirata a imporre non solo la disoccupazione e la precarietà del lavoro ma anche la privatizzazione dei servizi pubblici e, alla fine, la svendita dei gioielli nazionali al capitale straniero (vedi nota sul Fiscal Compact1).
Nel recente (15 novembre) convegno della CGIL sul Fiscal Compact e l’Europa, Susanna Camusso, segretaria generale del grande sindacato di sinistra, si è espressa decisamente contro qualsiasi ipotesi di assunzione di questo trattato intergovernativo nella legislazione europea. Infatti, secondo la Camusso, il Fiscal Compact ha effetti nefasti sul mondo del lavoro, sul welfare e sui diritti sociali. “Il tema del Fiscal compact è essenziale perché riguarda non solo lo sviluppo economico, ma anche la democrazia. Il nodo va sciolto entro fine anno – ha spiegato Susanna Camusso, concludendo il convegno sul Fiscal Compact – perché il calendario è inesorabile. Noi diciamo che il Fiscal Compact non deve far parte dei trattati, ma per raggiungere l’obiettivo occorre una significativa politica di alleanza: un Paese da solo non può intervenire, servono più Paesi che devono mettersi insieme. Oggi non ci sono ed è questo il limite odierno”.
Per la CGIL contrastare il Fiscal Compact comporta necessariamente di ripensare complessivamente la sua posizione sulla UE. Infatti l’europeismo cieco e ad oltranza ha purtroppo caratterizzato finora praticamente tutta la sinistra italiana. Ma ora è evidente che le suicide politiche di bilancio imposte dal governo italiano sono dettate a forza dalla UE; neppure Matteo Renzi, il segretario del PD, partito di governo, vuole più il Fiscal Compact perché sa che il paese diventerebbe ingovernabile. E’ ormai chiaro anche ai ciechi che se il sindacato CGIL non inizia a denunciare le politiche contro il lavoro della UE, non può riuscire ad essere incisivo neppure contro le politiche anti-lavoro del governo. Se il sindacato non criticherà pubblicamente e apertamente la politica dell’austerità della UE, sul piano culturale i lavoratori saranno lasciati in balia delle peggiori tesi nazionaliste e xenofobe della Lega e di Forza Italia, per non parlare del neo-fascismo risorgente.
Il Fiscal Compact va quindi respinto. Non si può che essere d’accordo. Del resto ormai la maggioranza degli economisti e dei premi Nobel dell’economia ha sottolineato che il trattato intergovernativo che impone il bilancio in pareggio è deleterio e talmente assurdo da essere inapplicabile2. Su queste questioni hanno discusso nel convegno CGIL alcuni economisti: Laura Pennacchi, Marcello Minenna, Vincenzo Visco; Riccardo Realfonzo; Ronald Janssen, dell’Economic Trade Union Advisory Committee collegata all’OECD. Camusso ha poi tirato le conclusioni del Convegno.
Il dibattito CGIL sull’Europa è stato – forse per la prima volta – non retorico e non celebrativo. Occorre però premettere che la maniera migliore di respingere il Fiscal Compact e la folle politica di austerità è, a parere di chi scrive, l’emissione da parte del governo di buoni fiscali immediatamente convertibili in euro (la cosiddetta moneta fiscale) distribuiti gratuitamente alle famiglie, alla pubblica amministrazione e alle imprese. Grazie all’emissione e all’assegnazione dei titoli di sconto fiscale convertibili in euro, riprenderebbe la domanda, l’economia nazionale e l’occupazione, senza peraltro aumentare il debito pubblico3. Purtroppo questa soluzione – efficace e concreta – nel convegno CGIL non è stata evocata. Speriamo che il futuro porti migliori consigli.
Habermas esalta la Rifondazione Europea di Macron
Il problema vero è che gran parte della sinistra e degli intellettuali progressisti continua pervicacemente a illudersi ancora di potere riformare come per incanto tutta l’Europa. In molti intellettuali prevale l’illusione ideologica della rifondazione europea auspicata dal presidente francese Emmanuel Macron. Una illusione che contamina molti illustri (ingenui) pensatori che testardamente si aggrappano all’ex banchiere della Rothschild per continuare a sognare gli Stati Uniti d’Europa.
Il più illustre e famoso tra i filosofi imbevuti di idealismo europeista è certamente Jūrgen Habermas. In un suo recente intervento su Spiegel, ripreso da Repubblica, il celebrato filosofo ha capovolto la posizione che aveva sempre espresso, cioè che la Germania ha la missione storica di diventare “la forza trainante dell’unificazione europea” perché è la più forte economia e la maggiore potenza al centro del vecchio continente. Ora invece Habermas ha cambiato idea ed è affascinato dalla figura del presidente francese. E quindi affida invece alla Francia il compito di costruire l’Europa unita. A Macron Habermas rivolge un appassionato (e incredibile) peana.
“Raramente le contingenze storiche hanno creato una situazione così chiara come nel caso dell’ascesa al potere di questa personalità così fascinosa (?,ndr), forse irritante, ma in ogni caso fuori dal comune. Nessuno si sarebbe potuto aspettare che un ministro del governo Hollande, senza appartenenza di partito, potesse creare da solo, in modo apparentemente egocentrico, un movimento politico capace di capovolgere l’intero sistema dei partiti. Sembrava un’impresa contraria a ogni buon senso demoscopico. Eppure una persona sola, senza seguito, è riuscita ad ottenere la maggioranza dei voti nel breve spazio di una campagna elettorale di coraggioso confronto, incentrata sull’approfondimento della collaborazione europea e opposta al crescente populismo di destra sostenuto da un francese su tre”.
Habermas chiarisce perché a suo parere Macron è un politico europeista eccezionale: “Ciò che colpisce sono tre tratti caratteristici: il coraggio nella costruzione politica; l’impegno dichiarato di voler trasformare il progetto elitario europeo in un’auto-legislazione democratica dei cittadini; – il modo convincente di porsi di una persona che ha fiducia nella forza della parola che articola il pensiero” Habermas insomma gioisce perché Macron rilancia un’idea forte di Europa «sovrana, unita e democratica ». L’ex banchiere di Rothschild inoltre scatenerebbe l’entusiasmo popolare verso l’Europa Unita – anche se in Francia l’indice di popolarità di Macron è ormai scesa sottoterra!; infine il presidente francese avrebbe il merito di esprimersi in una retorica europeista alta e nobile.
Scrive Habermas: “È nota la formula secondo la quale la democrazia è l’essenza del progetto europeo (?). Detta da Macron essa acquista credibilità (??). Non sono in grado di giudicare l’attuazione delle riforme politiche annunciate in Francia (???). Si dovrà vedere se egli manterrà la promessa “social-liberale” di assicurare il difficile equilibro tra la giustizia sociale e la produttività economica. Come uomo di sinistra non sono un “macroniano” – sempre che esista qualcosa del genere. Ma il modo in cui egli parla dell’Europa fa la differenza”.
Il dibattito sull’euro e l’Europa: le idee di Pennacchi, Minenna, Visco e Realfonzo
Le tesi ultraeuropeiste – peraltro un po’ troppo enfatiche – di Habermas sono state fatte proprie da Laura Pennacchi, coordinatrice del Forum Economia Cgil e presidente della Fondazione Lelio Basso. Pennacchi ha auspicato una nuova e più democratica governance dell’Unione Europea (tesi avanzata anche dall’europeista Sergio Fabbrini, docente della Luiss e editorialista del quotidiano della Confindustria) e si augura una riforma del capitalismo europeo e dell’Europa sulle linee tracciate dal discorso di Macron alla Sorbona.
Tuttavia Camusso ha ricordato che il sindacato italiano ed europeo è schierato non dalla parte di Macron ma dalla parte dei lavoratori francesi che lottano contro le (contro)riforme di Macron, del tutto simili al Job Acts italiano e alla famigerata riforma Hartz introdotta in Germania nella prima metà del decennio scorso dal premier socialista Gerhard Schröder. La riforma Hartz, voluta da Schröder, ha dato l’avvio alle forme esasperate di precarizzazione dei rapporti di lavoro che poi si sono diffuse e sono diventate prevalenti in tutta Europa. E Macron intende seguire in Francia proprio la strada di Hartz/ Schröder. Insomma, secondo Camusso (giustamente) è davvero difficile ipotizzare che l’attuale governo francese rilanci un progetto sociale per l’Europa democratica, un progetto per l’Europa del lavoro.
Marcello Minenna, docente alla Graduate School of Mathematical Finance, ha riproposto il suo progetto di un fondo europeo in grado di innescare (almeno secondo la sua opinione) una nuova fase di sviluppo e di crescita in funzione anti-ciclica. Minenna propone una profonda trasformazione dell’attuale European Stability Mechanism. Propone che l’ESM, l’organizzazione intergovernativa a cui partecipano i 19 paesi dell’eurozona, diventi una sorta di assicuratore europeo: i paesi più rischiosi – come Italia, Spagna e Portogallo – pagherebbero all’ESM un premio assicurativo elevato perché l’ESM garantisca la copertura dei rischi legati al loro debito. Secondo i calcoli di Minenna, in circa sette anni tutto il debito pubblico dell’eurozona potrebbe essere condiviso e protetto dall’ESM. Si realizzerebbe quindi, grazie a questa copertura assicurativa, un primo embrione di eurobond, capace di archiviare definitivamente lo spread e quindi di fornire un’unica curva dei rendimenti governativi nell’area euro.
Il problema di questo progetto è però che non è facile assicurare il nostro debito di oltre 2.300 miliardi di euro: il premio per la copertura e la condivisione del rischio sul debito italiano potrebbe essere troppo elevato. Bruxelles e Berlino difficilmente sarebbero disponibili a garantire, seppure dietro pagamento, il debito italiano che, ovviamente, non controllano. Minenna propone anche che l’ESM così rafforzato sul piano patrimoniale investa nelle regioni più colpite dalla crisi (e dall’austerità) con progetti pubblici-privati, in modo da diminuire i rischi di default e sviluppare la crescita.
Sul piano tecnico il suggerimento può apparire brillante. Tuttavia non è facile che un simile progetto di ingegneria finanziaria vada in porto, anche per motivi politici. E’ molto difficile – per non dire impossibile – che, nelle condizioni attuali, in Germania si formi un governo forte, stabile e collaborativo con l’Italia e con gli altri paesi dell’eurozona cosiddetti periferici. La Germania nazionalista e mercantilista non rinuncerà mai all’enorme surplus della bilancia dei pagamenti e al suo bilancio pubblico in pareggio per aiutare l’Italia e gli altri paesi periferici, di cui peraltro si considera (giustamente) più concorrente che partner. In tutte le sue componenti politiche la Germania è contraria a trasferimenti unilaterali verso i paesi in difficoltà e a condividere i rischi. Difficile quindi in queste condizioni che l’Europa venga rifondata.
La proposta di Minenna è stata accolta con attenzione, ma anche con velato scetticismo, da Vincenzo Visco, presidente della fondazione (bersaniana) Nuova Economia Nuova Società, Nens, ed ex ministro delle Finanze, che ha sottolineato lucidamente come la crisi italiana ed europea non sia affatto superata, e come la Germania e la sua politica di austerità domini ormai la UE. Secondo Visco le elite tedesche si meravigliano che l’Italia non sia già fallita e tutti in terra germanica si aspettano il prossimo commissariamento dell’economia italiana.
Vincenzo Visco, è apparso non solo pessimista ma anche un po’ cinico e rassegnato: ha affermato che, senza l’aiuto (del resto improbabile) di Francia e Spagna, sarà davvero un miracolo smuovere la Germania e sfuggire all’austerità. Per l’attuale esponente di Articolo1-MDP, nonostante le proposte europeiste del liberista Macron, è davvero difficile che l’Italia possa sfuggire alla morsa di Berlino e di Bruxelles.
Camusso ha definito comprensibile il pessimismo di Visco ma non lo ha condiviso. Per Camusso “una modalità tutta tecnocratica di discussione sulle regole di bilancio non va bene”, perché il risultato è che “i forti difendono se stessi aumentando i divari progressivi. Così tornano tutte le forme di nazionalismo immaginabili: una deriva che non riguarda solo i Paesi forti, ma anche tutti gli altri, basti guardare a ciò che avviene nell’Europa dell’Est”.
L’intervento più lucido sul piano dell’analisi economica è stato quello di Riccardo Realfonzo, professore ordinario dell’Università degli studi del Sannio. Realfonzo ha spiegato la politica economica italiana dei governi Renzi/Gentiloni alla luce dei diktat europei e delle regole assurde e inapplicabili del Fiscal Compact. Ha spiegato che la manovra governativa portata avanti dall’ineffabile ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non è espansiva, ma anzi tende a frenare l’economia.
Per diminuire il debito pubblico secondo le regole imposte dal Fiscal Compact, Padoan ha programmato per il 2020 un saldo positivo tra entrate e spese pubbliche (il cosiddetto avanzo primario) pari al 3,3 % del PIL. Si tratta di un gigantesco e insopportabile salasso. Da due decenni ormai l’avanzo primario italiano – che segnala il fatto gravissimo che i contribuenti pagano più tasse di quanto lo stato spende per i servizi ai cittadini, cioè che lo stato depreda i cittadini per servire il debito e pagare tassi di usura al sistema finanziario – vale circa l’1-2% del PIL (dai 20 ai 30 miliardi circa). Questi avanzi non sono però sufficienti a coprire il debito dello stato e quindi lo stato è stato costretto a fare deficit e a chiedere soldi al mercato finanziario per coprire gli oneri del debito stesso (circa 60-80 miliardi all’anno).
Per rompere il circolo vizioso, l’ineffabile Padoan – ha spiegato Realfonzo – intende fare crescere l’avanzo primario dal 1,7% del 2017 al 3,3% circa del PIL del 2020. Ovvero: più entrate e meno spese, cioè più tagli alla spesa sociale, più privatizzazioni dei beni comuni e anche più tasse! Ma le azioni restrittive di bilancio pubblico si riflettono poi negativamente sul PIL. Così, ha concluso Realfonzo, è assai difficile che l’economia cresca: al contrario, con il Fiscal Compact è assai probabile che si vada incontro a una nuova crisi dell’euro.
Le conclusioni della Camusso: il Fiscal Compact va respinto
Il tema del Fiscal compact “è essenziale perché le politiche europee condizionano fortemente quelle del governo” ha affermato nelle conclusioni il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Camusso non è stata tenera con la BCE, ricordando la missiva spedita da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet nel luglio 2012, che imponeva tra le altre cose, la deregolamentazione del mondo del lavoro, la prevalenza dei contratti aziendali su quelli nazionali, il pareggio di bilancio in Costituzione e la privatizzazione dei servizi pubblici. Un programma iperliberista di lacrime e sangue per l’Italia e i cittadini italiani.
“Anche il lavoro sta diventando una politica di competizione sleale: si creano politiche di dumping tra Stati che hanno la stessa moneta, così avviene una forma di competizione. Questo determina per tutti un ribasso delle condizioni di lavoro. I lavoratori in Germania restano in condizioni migliori rispetto all’Italia, naturalmente, ma la tendenza a ridurre la quota di distribuzione di reddito destinata al lavoro vale per tutti gli Stati”.
Camusso ha aggiunto: “Quando si parla di politiche europee si parla di fisco, banche, finanza, ma non compaiono mai le ragioni sociali. Va costruita una nuova soluzione che crei una condizione di vantaggio per tutti i Paesi: bisogna smettere di alimentare le iniquità che oggi ci sono”. La confederazione europea dei sindacati ha costruito una sua ipotesi, ma occorre agire anche in Italia, costruire alleanze con le istituzioni e la politica. Se non si apre una vera discussione, il destino è già segnato, si andrà verso l’ineluttabilità dei processi. Dobbiamo prenderci la responsabilità di essere i soggetti che aprono questa discussione” ha concluso.
Purtroppo però la discussione sull’Europa e sull’euro è già stata aperta, ma a destra, soprattutto dalla Lega di Matteo Salvini, con orientamenti demagogici e xenofobi. Non a caso le idee anti-euro sono già molto diffuse tra gli strati popolari. L’euro non è una moneta amata dal popolo. Si tratta quindi di trasformare la lotta contro l’austerità, contro i diktat dei mercati finanziari e i vincoli dell’euro in una battaglia per la democrazia, contro l’oscurantismo xenofobo e le politiche restrittive del governo.
NOTE
1 Il Fiscal Compact (letteralmente “patto di bilancio”) si chiama formalmente Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria. E’ un accordo approvato con un trattato internazionale il 2 marzo 2012 da 25 dei 28 stati membri dell’Unione europea; non è stato sottoscritto da Regno Unito, Croazia e Repubblica Ceca. È entrato in vigore il 1º gennaio 2013. Il patto contiene una serie di regole, chiamate “regole d’oro”, che sono vincolanti nell’UE per il principio dell’equilibrio di bilancio. Ogni paese, dopo la ratifica del trattato, ha avuto tempo fino al 1º gennaio 2014 per introdurre la regola che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale. Solo i paesi che hanno introdotto tale regola entro il 1º marzo 2014 possono ottenere eventuali prestiti da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità. L’obiettivo, dopo l’entrata in vigore, è quello di incorporare entro cinque anni il nuovo trattato nella vigente legislazione europea.
L’accordo prevede per i paesi contraenti, secondo i parametri di Maastricht fissati dal Trattato CE, l’inserimento in ciascun ordinamento statale (con norme di rango costituzionale, o comunque nella legislazione nazionale ordinaria) di diverse clausole o vincoli tra le quali:
– obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio (art. 3, c. 1),[12]
– obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all’1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL)
– significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL
– impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea (art. 6).
2 Da Wikipedia: I premi Nobel per l’economia Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al presidente Obama, hanno affermato che “Inserire nella costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose”; soprattutto questo “avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito fiscale (per concomitante diminuzione del PIL) e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione.
Questi ammortizzatori sociali fanno dunque aumentare il deficit pubblico, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e quindi del potere di acquisto (che influiscono sul consumo o domanda di beni o servizi)”. Nell’attuale fase dell’economia, continuano, “è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole”.
Nell’appello si afferma che “anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica, perché gli incrementi degli investimenti a elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo”.
Infine si afferma che “un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza”. Critico anche l’economista e premio Nobel Paul Krugman, il quale ritiene che l’inserimento in costituzione del vincolo di pareggio del bilancio possa portare alla dissoluzione dello stato sociale.
3 Vedi sul sito di MicroMega l’eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino. Vedi anche sulla rivista MicroMega 4/2017, Enrico Grazzini “Quando la moneta ufficiale non funziona è il momento delle monete alternative”.
Fonte:http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=23643
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