L’Europa En Marche!
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Andrea Muratore)
L’Europa fa quadrato attorno a Macron, vincitore di misura del primo turno delle elezioni francesi: la reazione di Berlino e Bruxelles all’esito del voto è stata di aperta soddisfazione. In ogni caso, la partita resta apertissima: la storia dice infatti che, quando a scendere in campo è l’Europa, difficilmente i francesi si compattano elettoralmente in suo favore.
Il terremoto, come preventivato, c’è stato, ma la Quinta Repubblica non esce completamente rasa al suolo dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, che si prevedevano oltremodo insidiose, e la debacle conseguita da Les Republicains e dal Parti Socialiste, rimasti congiuntamente esclusi dal ballottaggio per la prima volta nella storia, va letta in parallelo al repentino endorsement accordato da François Fillon e Benoit Hamon a Emmanuel Macron, che precedendo di stretta misura Marine Le Pen al giro di boa si incammina verso la sfida decisiva del 7 maggio come emblema della continuità del sistema. Il dato politico sostanziale, che vede il passaggio al secondo turno di due candidati inizialmente accreditati come outsider e forti dell’appoggio di movimenti atipici come il Front National e En Marche!, si scontra con l’altrettanto rilevante tema della polarizzazione radicale venutasi a creare tra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, mai come oggi portavoce di due anime della Francia, contrapposte ma dinamicamente in interazione. Tale polarizzazione, percepibile dalla semplice consultazione della mappa dei risultati elettorali, inerisce ognuna delle grandi tematiche che hanno animato la campagna elettorale: il ruolo geopolitico della Francia, i piani per il rilancio dell’economia, la scottante questione del lavoro e, soprattutto, la centrale tematica del rapporto con l’Europa.
Ed “Europa” sarà la parola chiave che guiderà la scelta di molti elettori nella giornata del 7 maggio; nei loro interventi conclusivi, nella serata di domenica, Le Pen e Macron hanno infatti posizionato definitivamente la loro barricata. Se Marine Le Pen ha rilanciato il tema dell’unità dei “patrioti”, spalleggiandosi con il richiamo all’imponente figura del Géneral De Gaulle, Macron invece ha fatto proprio dell’Unione Europea, una volta di più, il suo cavallo di battaglia. E alla chiamata di Macron, le istituzioni europee e i loro principali garanti non hanno fatto mancare la loro risposta: il secondo turno presidenziale si preannuncia sin dal momento dell’ufficialità dei contendenti come un’elezione non neutrale, data l’importanza della posta in gioco. Inusuale, ad esempio, è stato il passo del Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker, che ha espresso le sue personali congratulazioni a Macron per il risultato ottenuto, seguito a breve distanza dal Ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel e dal portavoce di Angela Merkel Steffen Seibert.
Macron è consapevole di essere stato investito del ruolo decisivo di portavoce di un’Europa asfittica che ha individuato nel giovane ex Ministro dell’Economia trentanovenne il volto nuovo per presentarsi, almeno nella sua facciata, come favorevole al rinnovamento. Gli europeisti e gli “euro-tiepidi” fanno quadrato attorno a Macron: e nel caldo abbraccio dell’endorsement, che coinvolge al tempo stesso la Cancelleria federale di Berlino, la declinante socialdemocrazia dei leader del Parti Socialiste, le tasse sui robot di Benoit Hamon e il thatcherismo gallico di Fillon, vengono livellate tutte le contraddizioni interne alla campagna di Macron, uomo dell’élite che, dopo aver modellato l’intera campagna elettorale attorno al suo volto, vede paradossalmente la sua corsa verso il ballottaggio diventare meno indipendente. Se Francesco Cancellato, nel suo articolo per Linkiesta, prospetta una possibile coalizione parlamentare che, dopo le legislative, veda En Marche! “architrave del sistema” e unificatore delle istanze dei due grandi partiti tradizionali, la sensazione è che in caso di vittoria di Macron la realtà possa essere assolutamente opposta e che, al contempo, il supporto di Berlino e Bruxelles non sia stato garantito tanto nell’ottica di un rafforzamento della struttura dell’Unione Europea in caso di ingresso all’Eliseo di Macron quanto in prospettiva di un consolidamento di uno status quo che oggigiorno vede la Francia annaspare nell’Europa a trazione tedesca.
Di queste contraddizioni non sembrano accorgersi i commentatori dei principali media internazionali: dall’editoriale del Guardian, che parla di “vittoria della speranza”, all’intervento di Massimo Nava sul Corriere della Sera, la chiave di lettura comune insiste sulla sottolineatura del risultato di Macron come patrimonio comune europeo, su un senso di malcelato autocompiacimento per un esito finale che (a torto) si ritiene già scritto e su una sostanziale sottovalutazione del notevole risultato conseguito da Marine Le Pen, che con poco meno del 22% dei consensi ha nettamente sopravanzato il risultato conseguito dal padre nel voto presidenziale del 2012. Al tempo stesso, non viene concesso l’onore delle armi a Jean-Luc Mélenchon, posizionatosi quarto ma depositario di oltre il 19,5% delle preferenze, e sostanzialmente sminuito da chi, come Marco Imarisio, parla di “inutile exploit”, non trattenendo una fondamentale contrarietà per la decisione del leader di La France Insoumise, che ringraziando i suoi sostenitori ha rifiutato di esprimere una preferenza univoca in vista del ballottaggio. Scelta certamente lucida e giustificabile con una duplice motivazione: da un lato, Mélenchon punta a un risultato positivo nelle elezioni amministrative di giugno e sa che sul piano politico la coerenza paga; dall’altro, un endorsement immediato a Macron sarebbe stato ingiustificato tenendo presente le radici su cui La France Insoumise ha costruito il suo consenso, in gran parte sovrapponibili con quelle del Front National, su cui non è detto che non possano convergere quote cospicue dei consensi di Mélenchon.
La chiave per capire quanto, fondamentalmente, la contesa per il ballottaggio sia ancora aperta sta proprio nella consultazione dei risultati conseguiti dai candidati in alcune delle aree simbolicamente più importanti per l’elezione presidenziale francese: nei dipartimenti atlantici del Nord, del Passo di Calais, della Somme e della Senna Marittima, regioni costituenti l’equivalente francese della Rust Belt, sono stati proprio il Front National e la France Insoumise a cogliere la maggiore quota di consensi da un elettorato caratterizzato da una matrice fondamentalmente simile. Elettorato che ora, in vista del ballottaggio, potrebbe essere spinto in maniera imprevedibile dalla crescente radicalizzazione del posizionamento politico dei due candidati su un tema fondamentale come l’Europa; il complesso dei candidati anti-mondialisti (Le Pen, Mélenchon, Nicolas Dupont-Aignan, Lassale e Philippe Poitou) ha raccolto al primo turno il 43% dei consensi. Tali voti, chiaramente, non si tramuteranno automaticamente in consensi per Marine Le Pen al ballottaggio, ma testimoniano l’esistenza di un notevole sentimento di disaffezione per una visione dell’Europa, dell’economia liberista e della globalizzazione che Macron propugna in maniera patinata, scintillante e, sotto certi aspetti, semplificata. E se l’Europa abbraccia Macron, non è detto che la Francia contraccambi: un consolidato di risultati che vanno dal 48,96% di voti contrari alla ratifica del Trattato di Maastricht nel 1992 alla netta stroncatura del progetto di Costituzione Europea da parte dei cittadini nel 2005 testimonia come nei casi in cui a scendere in campo sia l’Unione Europea il Paese transalpino reagisca con un forte irrigidimento. Nulla è scontato e tutto può ancora succedere: dopo il primo, attesto terremoto elettorale, la Francia si prepara a un ballottaggio che, al di là del risultato che riserverà, sarà caratterizzato da una carica emotiva paragonabile alla sua capitale importanza politica.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/leuropa-en-marche/
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