Nella notte di mercoledì, ora italiana, abbiamo assistito all’ennesima strage avvenuta negli Stati Uniti, dove in un liceo della Florida sono stati uccisi 17 studenti e feriti a decine per mano di un ragazzo diciannovenne armato con un AR-15 d’assalto; arma che ha potuto comperare liberamente grazie al tanto caro “second amendment” statunitense. Un atto di follia, che deve però far riflettere soprattutto sul mercato delle armi mondiale che non vede solo il monopolio dell’NRA, ma che pian piano si potrà spostare anche nei litorali europei.
E stato reso noto infatti l’accordo dell’ 11 dicembre siglato a Bruxelles, formalizzato come European Defence Fund : un provvedimento che avrà il compito di promuovere la competitività, sviluppare l’innovazione e garantire un supporto concreto alle aziende ed industrie militari dei paesi membri dell’Unione Europea, con il pretesto di difendersi dalle minacce esterne all’Unione che, secondo i politicanti, non accenneranno a diminuire nel lungo periodo.
L’Europa, infatti, si impegna per un progetto a lungo termine di sviluppo e acquisizione di materiali bellici, con un piano di spese e co-finanziamento annuale che passerà da 500 milioni nel 2019 ad 1 miliardo nel 2020. Oltretutto, la difesa comune sarà garantita da un fondo europeo di 5,5 miliardi di euro l’anno che dovrà servire come trampolino di lancio dell’economia europea. La politica nazionale si fonde con il mercato economico bellico, dominato da industrie che hanno sofferto di una crisi quasi impalpabile durante questi anni. Secondo il rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Reserach Institute), in tutto il mondo si è speso una cifra intorno ai 1.686 trilioni di dollari in armi solo nel 2016, in aumento dello 0,4% rispetto all’anno precedente. Il distacco incolmabile con le super potenze economiche come gli Stati Uniti (611 miliardi) o la Cina (215 miliardi) deve essere utile per ridimensionare le aspettative con cui guardiamo alle spese dei paesi dell’eurozona. La Russia ha avuto una spesa di 69 miliardi, ed è stata appena seguita dalla Francia con 55 miliardi, Regno Unito a 48 e Germania con 41. E l’Italia? Quasi 28 miliardi.
Un nuovo sbocco del capitalismo industriale, dunque, trainato dalla paura di un conflitto che non viene combattuto sul territorio ma da cui dobbiamo metterci comunque al “riparo”. L’evoluzione naturale del capitalismo, descritta da Deleuze e Guattari nel lavoro monumentale dei Mille Piani, racconta proprio di questo aspetto quasi psicologico in cui la globalizzazione è divenuta parte principale o elemento trainante. La definizione di globalizzazione, descritta da Tosun e Knill (2017), recita come un monito, nel quale è evidente un “ intensificata versione di interdipendenza tra gli stati guidata da una liberalizzazione economica”. Il neo-liberismo d’assalto, in cui gli interessi delle industrie si fondono con quelli dei diversi stati, creando un giro economico che porterà guadagni impressionanti alle aziende, ma con l’oscura previsione di non portare benefici a quella popolazione che deve essere “protetta”. La protezione di un futuro di pace che passa dagli investimenti negli armamenti bellici.
L’accettazione dei movimenti di interdipendenza sono la chiave per poter osservare come al cittadino europeo non interessi come e quanti soldi vengano spesi nei confronti della difesa, proprio perché siamo stati portati a fare propria quella paura, quello stato psicologico di accettazione di fronte all’ennesimo nuovo metodo di arricchimento per i soliti volti noti. Potremmo parlare per esempio di Finmeccania, ora chiamata Leonardo (della quale lo Stato italiano ne possiede il 30%), che sempre secondo il rapporto del SIRPI non si muove dal nono posto mondiale per vendita di armi dal 2005. O di come Fincantieri abbia acquistato il 50% di Stx, un’azienda d’oltralpe che produce armamenti bellici per la marina militare.
In un momento in cui l’Italia scivola negli ultimi posti in Europa come spesa nella ricerca, nell’istruzione, nella sanità pubblica, effettivamente era necessaria una spinta economica da parte dell’Unione Europa per aiutare i capitani d’industria bellici.
Ma, d’altronde, quando il popolo è affamato, che mangi brioches.
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