Autogestione versus homo oeconomicus
di SINISTRA IN RETE (Sandro Moiso)
Nei primi giorni di febbraio, Wall Street (quella che potremmo definire ancora come la Borsa di riferimento a livello mondiale) ha perso in sole due sedute 1.700 punti. Nella prima seduta la Borsa è arrivata a perdere il 6 per cento e 1.500 punti in pochi minuti, in quello che, secondo gli esperti di Market Watch, potrebbe essere il peggior calo giornaliero di sempre per la Borsa americana.
In un periodo di apparente tranquillità e crescita del mercato azionario, ma sostanzialmente turbolento in termini di investimenti e speculazioni, ciò potrebbe costituire un effetto non del tutto imprevisto e non così catastrofico.
Quello che colpisce, però, in questo caso è l’unanimità con cui tutti i commentatori economici, gli analisti finanziari ed esperti di vario genere, hanno messo al primo posto tra le cause dell’improvvisa caduta degli indici di borsa e dei valori azionari l’inflazione salariale risalita ai massimi da gennaio 2014, seguita dal timore di una nuova stretta della Fed sui tassi di interesse a marzo. Inflazione salariale ovvero aumento, spesso ancora soltanto previsto, dei salari.
Uno strano paradosso in base al quale se l’economia “va bene” il mercato azionario scende. Secondo Josh Barro: “Siccome l’economia sta migliorando e le imprese si stanno espandendo, la maggiore capacità produttiva porterà a un taglio dei prezzi per mantenere i propri clienti. E come conseguenza si dovranno pagare ai lavoratori salari più alti per gestire questa maggiore produzione.
Questa maggiore concorrenza per lavoratori e clienti significa prezzi più bassi, salari più alti e minori profitti per le aziende1
E’ davvero la prima volta in cui, in tanti anni di attenzione all’andamento economico dell’attuale modo di produzione, mi capita di vedere così spudoratamente dichiarato qual è il vero motore di ogni intrapresa economica e quale il suo avversario più indesiderato: profitto individuale (o di impresa) da una parte e miglioramento delle condizioni economiche di una parte consistente della società dall’altra. In altri termini l’interesse dell’1% contro quello del 99%. Anche se, è evidente, è l’implacabile forbice tra salari e profitti a ridisegnare ogni volta, e anche solo in prospettiva, il conflitto sociale. In altre parole lavoro salariato versus capitale.
Le “spontanee dichiarazioni” appena citate dimostrano la spudoratezza raggiunta negli ultimi anni dai rappresentanti politici, mediatici ed economici degli interessi del capitale di cui, pur rimanendo semplici funzioni, danno per scontato il predominio degli interessi e dei profitti su quelli della rimanente, e maggioritaria, umanità. Salariata o meno, occupata o meno. Arroganza che raggiunge, proprio qui in Italia, il suo massimo in alcune pubblicità per l’iscrizione ad alcuni licei, là dove si dovrebbe iniziare a formare la futura classe dirigente, in cui le scuole superiori si vantano, sul sito del Ministero della Pubblica (?) Istruzione, così: “Qui niente poveri né disabili né immigrati”.2
Per aggiungere poi al danno anche la beffa, però, occorre segnalare che nella realtà, come ha scritto Maurizio Ricci :
“L’82 per cento dei lavoratori americani continua a non vedere, ormai da due anni, la busta paga gonfiarsi di colpo. I salari di questi lavoratori, mese dopo mese, aumentano ad un ritmo che è la metà di quello registrato prima della crisi: 2 contro 4 per cento.
A fare saltare verso l’alto, a gennaio, la massa totale dei salari è bastato quello che si sono messi in tasca non i lavoratori in generale, ma manager e dirigenti. Il Wall Street Journal calcola che gli stipendi della fascia più alta di dipendenti sono aumentati, nell’arco del 2017, del 5 per cento. Lo 0,8 per cento in più solo a gennaio. Quanto basta per rinfocolare le polemiche sulla crescente ineguaglianza dei redditi.
Ma, forse, neanche di tutti i dirigenti. Scavando più a fondo, il Financial Times conclude che l’effetto busta paga di gennaio è, in buona misura, il risultato dei bonus generosamente distribuiti, a fine anno, nel settore finanziario. Al quotidiano della City non sfugge l’ironia della situazione: lo scossone in Borsa scatenato dagli operatori per il timore dell’inflazione è il risultato diretto dei generosi bonus che gli stessi operatori hanno intascato per aver cavalcato, nei mesi precedenti, il frenetico boom generato dall’assenza di inflazione”.3
Diventa così particolarmente interessante, se non addirittura necessaria, la lettura del testo pubblicato, pochi mesi or sono, da Elèuthera che pone al centro dell’attenzione il conflitto tra gli interessi egoistici dell’homo oeconomicus, così almeno come i teorici di vari modelli economici vogliono prefigurare il tratto distintivo dell’agire umano, e quelli della società nel suo insieme. Nel fare questo gli autori non possono naturalmente limitarsi agli aspetti economici dei rapporti intessuti all’interno della società per cui una parte significativa del testo, dichiaratamente di ispirazione anarchica, affronta anche i rapporti di potere e di organizzazione che si affiancano ai primi, giungendo ad una radicale critica dello Stato, in tutte le sue possibili forme.
Rovesciando la logica dell’”io” (dell’interesse egoistico individuale) in quella del “noi” (dell’interesse comune razionalmente gestito), gli autori oppongono all’homo oeconomicus l’homo reciprocans, scegliendo una delle definizioni che si danno all’interno della letteratura economica alternativa. Letteratura economica alternativa che, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non appartiene soltanto al circuito dell’antagonismo, ma si manifesta in un gran numero di riviste, anche “istituzionali”, che vanno dal Journal of Behavioral and Experimental Economics (derivato dalle ricerche pubblicate agli inizi degli anni Settanta del XX secolo nel volume Research in Experimental Economics, a cura di Vernon L. Smith, e da quelli successivi pubblicati nella stessa collana) fino all’American Economic Review e a Nature e Science. A riprova dell’attenzione che anche il mondo accademico dimostra nei confronti di tutti i “possibili” comportamenti all’interno di una gestione delle risorse economiche e produttive considerata troppo spesso come univoca e scontata.
“L’economia sperimentale consente di investigare il comportamento umano in date condizioni simulate in cui avviene l’interazione tra due o più controparti: fra le molte situazioni su cui si indaga – la motivazione delle scelte, la definizione delle preferenze e perfino le questioni di ordine morale – vi sono anche quelle dell’altruismo e della volontà di cooperazione. La metodologia sperimentale fa riferimento appunto a esperimenti che realizzati in laboratorio riproducono degli scenari, quindi problemi in versione semplificata e in condizioni controllate. Sulla coerenza, adeguatezza ed efficacia degli esperimenti in economia […] vi sono dubbi e cautele, sostanzialmente non diversi da quelli che si avanzano nei confronti della ricerca sperimentale nelle scienze dure, riconducibili alla difficoltà di isolare le cause in laboratorio. Per l’economia si aggiungono altre e proprie difficoltà, alla pari di quanto avviene con le altre scienze sociali, imputabili alla non spontaneità del contesto umano”4
Il testo così indaga, in particolare nel quarto capitolo attraverso l’uso della teoria dei giochi applicata in tali contesti sperimentali, e comprova l’effettiva razionalità e i benefici derivanti dal comportamento dell’homo reciprocans, in opposizione alle teorie economiche dominanti che si ostinano a ritenere razionali soltanto i comportamenti collegati all’egoismo individuale. Giungendo così, ma tale considerazione è qui soltanto una semplificazione dovuta alla necessità di condensare in poche righe un discorso altrimenti ben più complesso, a definire un’”autogestione” delle risorse economiche che può liberamente manifestarsi soltanto all’interno di un modello in cui sia completamente assente lo Stato ovvero quell’insieme di rapporti di potere e di dominio che intervengono pesantemente nella definizione della normalità dell’agire economico basato esclusivamente sull’interesse individuale.
Nella forma-Stato odierna:
“Ogni barriera è crollata, ogni maschera caduta. Il government si dispiega nella sua potenza per mezzo di gruppi trasversali di potere, corporations, eserciti transnazionali, milizie private, agenzie finanziarie, climatiche, sanitarie.
Gli zapatisti dicono che l’idra capitalista ha perso alcune teste: lo Stato nazionale,il mercato interno, la politica classica, le frontiere nazionali, le classi politi che locali, la piccola e media impresa. Ne ha guadagnate altre però, tra cui quelle del consumo e dei poteri finanziari transnazionali con cui oggi le entità statali sono indebitate per alte percentuali del loro prodotto intero lordo. Il capitalismo non si è fatto più solo modo di produzione ma modo di vita.
La trasformazione dello Stato è data da una parte da una sua degenerazione, dalla perdita cioè delle sue caratteristiche di legittimità e costituzionalità così come delle sue prerogative di regolazione e garanzia, e dall’altra da un suo aumento di potenza, uno strabordare delle modalità coercitive pronte a invadere sfere prima non regolate gerarchicamente. Al ritirarsi dello Stato regolatore, garante e costituzionale fa da contraltare l’accrescimento dello Stato come dominio e government, che guadagna a sé spazi attraverso un meccanismo di accumulazione e per mezzo di attori anche formalmente non statali che occupano mercati «incivili». Il terzo datore di lavoro al mondo, dopo Wal-Mart e Foxconn, è la britannica Group 4 Security (G4S), corporation che sviluppa tecniche di controllo dell’ordine pubblico e di repressione del dissenso negli Stati Uniti e nel Medio Oriente e alla quale è appaltata la costruzione di recinzioni e muri (tra Messico e Stati Uniti, tra Cisgiordania e Israele), carceri private, scuole-blindate, centri di detenzione per migranti, così come la loro deportazione.”5
“L’autogestione, con le sue pratiche di organizzazione orizzontale di gruppi sociali, è chiamata così ad opporsi ai molteplici piani del government che, slegati da qualsiasi legittimità democratica, dominano progressivamente la vita sociale, secondo modalità transnazionali gerarchiche, oppressive e falsificanti. Lo fa dando spazio e consistenza a una volontà di libertà in grado di creare forme più o meno durature di organizzazione sociale, solidali, orizzontali e «acefale», che si oppongono alla ricerca esclusiva dell’interesse personale, alla sublimazione della competizione, all’assoggettamento psichico e fisico, in definitiva al dominio.”6
Soprattutto
“trasforma tutta la vita e i suoi ritmi: richiede infatti impegno e tempo quotidiani. Ma non è totalitaria. Non limita cioè il pluralismo e la possibilità di dissenso, tanto più che si occupa di porzioni, o settori, di società (al plurale), realizzando quanto le è possibile qui e ora, evitando accuratamente di provare a imporsi come modello che debba essere accettato da tutti. Non fa opera di colonizzazione.”7
I network economici e mediatici, il dominio delle agenzie finanziarie e delle banche, delle milizie privatizzate e delle compagnie energetiche potrà essere messo in discussione, pertanto, non dal risorgere dello Stato nazionale e dei suoi (orrendi) confini, ma soltanto dal dispiegarsi di una miriade di comunità libere, autogestite e confederate tra di loro nel pieno rispetto delle proprie autonomie. Autentiche macchie di leopardo distribuite su una tavola dal colore potenzialmente unico che, come tarli di libertà e uguaglianza sono destinate a corroderla e a farla crollare, insieme alle fasulle discipline economiche spacciate per scientifiche che ne sostengono e giustificano gli orientamenti repressivi . Come tante esperienze recenti, dal Chiapas al Rojava e dalla Val di Susa a Notre-Dame –des-Landes, hanno iniziato a fare.
Naturalmente il testo di Guido Candela, già docente di Politica economica e attuale professore Alma Mater nel Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Bologna e Rimini, e Antonio Senta, ricercatore presso il Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Trieste e membro del comitato scientifico dell’Archivio Famiglia Berneri-Chessa di Reggio Emilia, amplia ancora moltissimo gli argomenti fin qui trattati e molti altri ancora ne propone, e proprio per tale motivo si pone come un testo di grande interesse anche per tutti coloro, come il sottoscritto, che non professano esclusivamente la fede anarchica.
Fonte: https://www.sinistrainrete.info/societa/11698-sandro-moiso-autogestione-versus-homo-oeconomicus.html
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