Il Truman show tra no, ni e si. Il principio-obiettivo di (non) effettività
di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
- Sono ben contento di dare spazio alla sintesi, giuridicamente ineccepibile, che Duccio e Dario hanno delineato con questo loro botta e risposta nei commenti al precedente post. Si tratta della definizione di problematiche giuridiche e di elementi essenziali,”costitutivi” della nostra situazione politico-istituzionale, che riassumono un percorso di analisi fenomenologica intrapreso fin dagli inizi in questo blog.
E’ quindi con un certo “orgoglio” che vi riporto la loro sintesi; è chiaro che molti argomenti sono noti e sviluppati, da Basso e Mortati, così come da altri, come Calamandrei, o Di Vittorio, fin dagli anni ’50: non di meno è importante che la loro riemersione da un ambiente “di base diffusa” possa indicare almeno la speranza di un recupero della cultura giuridica democratico-costituzionale:
“Duccio: Mi azzardo a dire che è ormai l’intero ordinamento giuridico a non essere più tale, cioè ordinamento.
In primo luogo, se la gran parte delle norme viene creata al livello comunitario, cioè fuori dalla sede naturale del Parlamento, la Costituzione perde necessariamente quel ruolo di guida dell’attuazione del programma economico sociale in essa iscritto.
Potrà al più, anche senza negarne formalmente il ruolo di fonte sovraordinata, fungere da parametro esterno in base al quale operare il consueto controllo ex post, eventuale e “a risorse vincolate”, da parte della Corte Cost., di singoli ‘pezzi normativi’ di un indirizzo politico determinato da organismi internazionali, che ovviamente non contemplano, né sono tenuti a farlo, il programma economico costituzionale.
Altro aspetto, strettamente conseguente, della dissoluzione dell’ordinamento sta nella mancanza di tassatività delle norme, il cui contenuto generico e indeterminato trova un chiarimento o talora una specificazione adatta soltanto “al caso concreto” nelle normazioni “secondarie” recate dagli organi dell’esecutivo.
Un terzo aspetto, anch’esso ampiamente trattato sul Blog e correlato agli altri, si verifica con il supino riconoscimento del carattere giuridico vincolante erga omnes a ‘norme interne’ degli operatori privati in posizione dominante a livello internazionale.
Che siano le norme di Basilea, giù giù fino ai mille protocolli e attestazioni di qualità su processo aziendale e prodotto.
In tutto ciò, il legislatore italiano non tocca palla, e nemmeno ne avrebbe le capacità. Infatti, in un circolo vizioso a velocità crescente, l’assenza o la perdita di capacità ‘interna’ (in tutti i poteri costituzionali e settori della società) legittima e rende necessitato il ricorso “allo straniero“.
Dario: Potremmo dire che oggi l’Italia è in Europa un vero e proprio territorio annesso, considerando l’attuale assetto giuridico-economico che si è venuto a instaurare.
Non credo che si possa neanche parlare di un rapporto sul modello Stato (Europa)-Regioni (Stati membri), lo troverei troppo “concessivo” (NdQ: dire “ampliativo”, rispetto alla riconoscibilità di compiuti caratteri come “indipendenza” e “sovranità”).
Direi invece proprio un rapporto di Impero-Province. Gli ordinamenti interni, concordo, di fatto non esistono più, salvo quello della Germania, e l’esercito europeo su cui oggi si spinge molto costituirebbe il passo finale perfezionante di quest’annessione.“
- Fissata questa traccia riassuntiva, familiare (ormai spero) alla buona parte dei lettori del blog, appare utile fare un collegamento all’attualità: rileggete con attenzione e rendetevi conto del perché il Truman Show delle prossime elezioni sia descrivibile in questi termini:
Il voto, attesa la incomprensibilità, da parte dell’individuo comune-elettore, della realtà normativa naturale – secondo il criterio di legittimazione neo-liberista e internazional-mercatista di ogni possibile “Rule of Law”– è solo un processo subordinato di ratifica delle decisioni “impersonali” del mercato.
- Il che dovrebbe porvi al riparo sia da eccessive illusioni e aspettative, sia da una rassegnazione passiva che può discendere solo dalla mancata conoscenza del fenomeno di avvenuta de-sovranizzazione democratica.
Dovrebbe essere chiaro come il sole (e naturalmente non lo è, a livello di coscienza diffusa: e sappiamo pure perché) che, note queste informazioni, le nostre scelte sono limitate a quelle operabili in un simil-referendum: cioè al respingere o meno questa radicale irrilevanza del voto sulla formazione dell’indirizzo politico (qui, p.6):
“Oggi un residuo lumicino di speranza per evitare tutto questo, passa per una rigorosa rivendicazione della vostra autonomia di giudizio, per la libertà del vostro voto: per un no che, questa volta, non possa essere beffardamente vanificato.
Perché, come ormai dovreste aver imparato, un “no” non preceduto dal risveglio e dalla mobilitazione delle coscienze (p.2), dall’aver coltivato “lo spirito di scissione” gramsciano (inteso come chiara presa di distanza che non ammetta compromessi e paure), può sempre essere vanificato.
E questa con ogni probabilità potrebbe essere l’ultima volta che un “no” potrete ancora (utilmente per voi) esprimerlo. Almeno all’interno dei parametri democratici che, con eccessiva di prigrizia, si tende a dare per scontati”.
- Poi “come” esprimere questo “no”, in questo caso, si chiarisce con un metodo “per esclusione” (qui, p.8):
Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità. da PensieriParole
cioè si è costretti ad operare adattando il criterio, ricostruttivo della verità fattuale, di…Sherlock Holmes, come criterio selettivo della propria manifestazione di volontà. Lo so: è poco, ma coi fatti compiuti non si può polemizzare; solo tentare di cambiarli da adesso in poi.
- E dunque, si può operare basandosi su un’evidenza indicativa della “aliquota” di impossibile che possa essere eliminato (qui, p.7):
“se un certo assetto socio-economico è divenuto istituzionale, cioè salvaguardato da norme che, ci piaccia o meno, sono considerate ad applicazione inderogabile, ogni “metodo” di espressione politica che sia realmente manifestabile, non può che condurre a contenuti istituzionalmente compatibili con tale assetto.
Se così non fosse, d’altra parte, e un nuovo gruppo politico arrivasse, in opposizione a ciò, a rendersi rilevante elettoralmente e incompatibile con l’assetto (de-sovranizzato e de-costituzionalizzato), sarebbe dichiarato illegittimo: dapprima con le buone, cioè in via mediatica, e fino a che non si auto-sconfessi e si dichiari pro-istituzione, cioè pro-UE; poi con le cattive, procedendo all’instaurazione di procedimenti penali a carico dei suoi promotori e attivisti.
Ah: se poi il partito oppositivo fosse “vecchio”, cioè trasformatosi da una precedente e diversa “identità”, recherebbe al suo interno tracce di pregressa compromissione e istituzionalizzazione tali e tante da non poter, a sua volta, che svolgere un’azione limitabile a priori: la sua “espansione” sarebbe comunque difficoltosa e rallentata e avrebbe comunque bisogno di alleanze.
E queste alleanze, non essendoci possibilità di “nuovo” effettivamente incompatibile con il sistema istituzionalizzato, sarebbero giocoforza con parti del sistema stesso…
5.1. I risultati operativi raggiungibili con questo criterio, dunque, sono sostanzialmente riducibili a due opzioni:
- a) un voto oppositivo di tipo residuale “puro” (un vero “no” non equivocabile), cioè portando alle sue rigorose conseguenze il criterio utilizzabile (senza alternative). L’inconveniente consisterebbe nella sua irrilevanza quantitativa rispetto alla formazione dell’indirizzo politico (rebus sic stantibus altamente probabile). Ma tale formazione, come abbiamo visto, è già estranea all’esito del processo elettorale e quindi, fin dall’origine, il senso del voto poteva, e può essere, solo quello di segnalare una “non-effettività“ del sistema che preannunci e, soprattutto, induca un’evoluzione verso la sua implosione. Che equivale, peraltro, al ripristino della legalità costituzionale.
- b) un voto oppositivo a significato strutturalmente compromissorio (cioè un “ni”) e ad esito non solo incerto (“ni” interpretabile arbitrariamente da chi se ne appropria) ma, in concreto, potenzialmente trasformabile in un “sì” (cioè con ribaltamento degli effetti della volontà a cui era originariamente diretto il voto).
Tertium non datur.
Almeno nell’ambito del quadro che si presenta attualmente.
Fonte: http://orizzonte48.blogspot.it/2018/01/il-truman-show-tra-no-ni-e-si-il.html
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