Dagli eventi dell’estate del 2015, con la vittoria del No al referendum sulle misure di austerità e la successiva capitolazione del governo greco con la firma di un nuovo memorandum, la Grecia è via via sparita dalle cronache dei media italiani, salvo riapparire di tanto in tanto in maniera distorta a seconda degli interessi politici in campo, che fossero quelli degli organi di propaganda del governo greco o quelli opposti dei media italiani, interessati ad infierire sulla prima esperienza di governo “di sinistra radicale” all’interno dell’eurozona affinché non se ne ripetano di simili e magari di più radicali e determinate a portare la lotta sino in fondo.
Ma cosa sta accadendo in Grecia e quali sono le questioni principali che animano l’opinione pubblica qui? Molto ruota intorno alla politica estera, data la posizione geografica della Grecia, paese di confine dell’Unione Europea e vicino dei paesi balcanici ma, soprattutto, della Turchia di Erdogan, che sotto la guida del “sultano” sta esercitando una politica aggressiva ed espansionistica ai danni anche della Grecia. Erdogan in una recente visita ad Atene ha violato le normali regole di cortesia diplomatica sostenendo la necessità di rivedere i confini sia di terra che di mare con la Grecia ed ergendosi a protettore della minoranza di etnia turca residente in Tracia (regione di confine tra Grecia e Turchia), la quale alle scorse elezioni regionali ha organizzato un proprio partito identitario che si è posizionato al primo posto, prima di tutti i partiti nazionali greci.
Mentre i greci, impoveriti dalla crisi, si spostano nelle città e generalmente fanno pochi figli, i turchi della zona incrementano il loro numero con famiglie numerose e lentamente guadagnano terreno. Vi è poi la questione del nome “Macedonia” che appartiene alla regione greca con capoluogo Salonicco, al 99% corrispondente all’antica Macedonia di Alessandro Magno, ma che generalmente all’estero è ritenuto appartenere soprattutto alla Repubblica Jugoslava di Macedonia.
La Grecia ha sempre rifiutato di riconoscere tale nome e benché i tribunali internazionali le abbiano dato ragione, imponendo alla FYROM di cambiare nome, la questione è lontana dall’essere risolta. Il nuovo primo ministro della piccola repubblica yugoslava si è offerto di dirimere una volta per tutte la questione con il governo greco trovando una sorta di mediazione (ad esempio con il nome “Nuova Macedonia”) ma il popolo greco, indipendentemente dall’orientamento politico, non ne vuol sapere e ha organizzato due manifestazioni oceaniche a Salonicco ed Atene per aumentare la pressione sul governo greco perché non ceda, con tanto di Chiesa ortodossa al seguito.
Con chi si è posizionata la Turchia? Ovviamente con la repubblica jugoslava. Questa guerra surrettizia con la Turchia, che ha radici molto antiche e che riempie le cronache quotidiane con invasioni dello spazio aereo e navale greco da parte dell’esercito turco, non può che influenzare la politica estera ed interna del paese ellenico, il quale ad esempio ha la spesa militare più alta in Europa in rapporto al numero di abitanti. Che raccontare infine della situazione politica ed economica?
Sebbene i numeri mostrino una ripresa dell’economia (ma i maliziosi potrebbero sostenere che dopo una guerra, perché questi sono stati gli effetti delle durissime misure di austerità imposte al paese, si cresce per forza), trainata dal fortissimo settore turistico (agevolato dalle crisi politiche in Turchia ed Egitto), la disoccupazione è ancora altissima e, nonostante le promesse del governo di porre fine all’austerità, il memorandum firmato nel 2015 presenta degli aspetti peggiorativi rispetto ai precedenti, tra cui le privatizzazioni di alcuni asset pubblici e la cessione della gestione di porti e aeroporti.
Chi si è preso la maggior parte della torta? Germania, Francia, Cina e in piccola parte Italia. Strano eh? Inoltre l’inutile battaglia intrapresa dal governo Tsipras contro la Troika nel 2015 ha costretto lo Stato greco ad instaurare il “capital control”, che perdura tuttora e che ha danneggiato enormemente la già provata economia greca provocando la chiusura di numerose aziende che commerciavano con l’estero, o avevano bisogno di finanziamenti dalle banche per continuare a lavorare.
Insomma tra mediazione e lotta ad oltranza, per la quale serviva un piano per l’uscita dall’eurozona, il governo greco ha scelto una via di mezzo disastrosa. Infine, la situazione politica è molto meno definita di quel che appare all’estero: gli alleati di governo di Tsipras sono un partito di destra ultraconservatore e clericale che blocca quasi ogni tipo di riforma per contrastare i privilegi di ricchi, armatori, Chiesa ed esercito; vi sono riciclati in praticamente tutti i partiti; si vocifera di un accordo avvenuto tra governo e Alba Dorata, per cui il primo abbia agevolato la libertà dei leader incarcerati del partito neo-nazista in cambio di pace sociale (Alba Dorata è praticamente sparita dalle strade); le vecchie dirigenze di Nea Demokratia e Pasok (che sta riorganizzando l’area moderata) oltre al governatore attuale della Banca Centrale Greca, sono state colpite dallo scandalo Novartis, che getta ombre di pesante corruzione sulla vecchia classe politica greca con il governo che cerca di approfittarne per guadagnare consenso.
Come tutto questo si rifletterà sulle elezioni politiche è tutto da vedere. Probabilmente si voterà anticipatamente a fine anno poiché Alexis Tsipras, sicuramente abile nella gestione del consenso e nella creazione di una certa narrazione di “resistenza” del popolo greco, vorrà capitalizzare l’evento simbolico dell’uscita della Grecia dal commissariamento prevista ad agosto e anticipare l’entrata in vigore nel 2019 di alcune clausole del memorandum (produrrà effetti vincolanti fino al 2022) che prevedono un aumento delle tasse e un ulteriore taglio delle pensioni.
E il taglio del debito tanto sbandierato dal governo greco? Per il momento, e ancora una volta, solo parole. Già in passato sono stati effettuati congelamenti, allungamenti delle rate e anche il più grande taglio di debito pubblico mai avvenuto nel mondo quando governava Nea Demokratia. Non sembra che possa essere la via d’uscita dalla crisi tanto sperata.
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