Alla luce degli eventi che si stanno producendo negli ultimi anni a livello mondiale, molti accademici ed analisti hanno sottolineato come la Crisi economico-finanziaria del 2008 sia stata all’origine di cambiamenti violenti e imprevedibili occorsi in numerosi Paesi. A ben vedere, se è indubbio che i cambiamenti a livello macroeconomico incidano in modo notevole, gran parte degli eventi che si stanno sviluppando a livello globale hanno motivazioni più profonde e complesse. Sarebbe infatti difficilmente spiegabile con la sola ottica dell’economia la Primavera Araba o, ancora, le rinnovate tensioni tra Russia e Stati Uniti e le controversie politiche tra i differenti Stati bagnati dal Mar Cinese Meridionale. Allo stesso modo una sola lettura economica non riuscirebbe a fare luce su altri eventi più datati come ad esempio la guerra nei Balcani negli anni ’90 e i numerosi contenziosi tra i Cina e Unione Sovietica o tra Cina e Vietnam (tutti Stati di matrice comunista) tra gli anni ’60 e gli ’80 del secolo scorso.

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In quasi tutti questi eventi l’economia (intesa come disputa su interessi economici e, in senso più generale, come crescita economica) ha avuto un ruolo di secondo piano. Molto più importanti sembrano invece essere le radici storiche di lungo periodo che hanno plasmato le relazioni tra molti di questi Paesi. La Cina e il Vietnam, ad esempio, posseggono una lunga tradizione di conflitti che risale sino all’epoca medievale del Celeste Impero e, nonostante la breve ma intensa guerra tra Pechino e Hanoi del 1979 fosse stata giustificata in altro modo, è probabile che le sue reali motivazioni abbiano una origine molto più antica. Lo stesso si può dire delle attuali dispute sugli arcipelaghi delle Spratly e delle Paracelso che vedono opposti, oltre al Vietnam e la Repubblica Popolare Cinese, anche le Filippine e la Repubblica di Cina (Taiwan).

Se, parimenti, osserviamo gli sconvolgimenti cui è soggetto il mondo musulmano negli ultimi tre decenni, risulta evidente che le motivazioni e le rivendicazioni economiche siano minoritarie. Se infatti è senz’altro vero che la Primavera Araba ebbe il suo inizio a causa della crisi economica, è altrettanto vero che gli sviluppi successivi abbiano poco a che vedere con essa. È assai più facile ricondurre molte di tali dinamiche a radici storico-culturali peculiari tra cui, la principale, è il risveglio dell’Islam politico. Lungi dal richiedere riforme che vadano in direzione di un sistema liberal-democratico e capitalista, una fetta della popolazione musulmana (sia essa araba o meno) si sta spostando su posizioni che mettono nuovamente al centro della vita pubblica la religione. Nell’epoca della globalizzazione, tale sviluppo potrebbe risultare incomprensibile senza una attenta disamina delle radici dello stesso. Due dei precetti fondanti dell’Islam sono infatti quelli del tawhid (ovvero unicità) e del Din wa dawla (ovvero unione tra religione e politica), concetti che mal si coniugano con un sistema politico di democrazia rappresentativa.

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Analogo ragionamento si può fare per quel che riguarda l’Europa, in cui i movimenti e i partiti identitari stanno prendendo nuovamente piede. In tal caso la spiegazione può essere probabilmente rinvenuta nella sensazione di paura che ampie aree della popolazione stanno vivendo verso i fenomeni del mondo globalizzato. Anche qui la risposta che si cerca sta nelle radici di lungo periodo, nelle tradizioni nazionali, nella sicurezza dello Stato, e non nell’economia. Nonostante tutti questi siano caratteri peculiari ad ogni realtà, essi mantengono un denominatore comune che si può individuare nella ricerca di un appiglio sicuro e solido, rappresentato, appunto, dagli elementi che si rifanno alla tradizione, sia essa religiosa, culturale o politica. In definitiva, possiamo dire che la globalizzazione, intesa come fenomeno economico e politico il cui obiettivo era quello di appianare le differenze particolari e generare una crescita che coinvolgesse tutte le aree del mondo, si sia rivelata nei fatti un elemento intrusivo che ha finito per produrre una reazione di rigetto in ampi strati della popolazione.

In effetti, se è pur vero che le politiche mondiali degli ultimi quattro decenni hanno portato indubbi benefici ad alcune aree del mondo, facendole uscire da uno stadio di stallo attraverso una notevole crescita economica, la Crisi del 2008 ha portato ad una velocizzazione di processi già in nuce tra cui, senza dubbio, la riscoperta delle origini. Tuttavia, come accennato in precedenza, i richiami di lungo periodo non sono esclusivi dei nostri giorni, ma si possono rinvenire in ogni epoca della storia dell’uomo. In particolare, un altro periodo assai paradigmatico in questo senso è stato quello a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, ovvero gli anni che coincisero con la fine della Guerra Fredda e con il crollo dell’Unione Sovietica e del suo blocco.

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In tale frangente infatti si produssero una serie di cambiamenti profondi che ebbero come minimo comune denominatore la rivendicazione di autonomia e dignità culturale, soffocate per lunghi anni sotto la coltre dell’ideologia e della repressione. In questa ottica si può leggere la deflagrazione dei Balcani all’inizio degli anni’90 che altro non è stata, in fin dei conti, che una riedizione più articolata delle Guerre Balcaniche del 1912-13. Le comunità e gli Stati balcanici infatti hanno da sempre combattuto per l’indipendenza, seguendo logiche di matrice storica che collocavano ognuno di loro su un piedistallo di gloria in un passato più remoto (basti pensare che quasi tutti i popoli balcanici fanno rinvenire le proprie origini nazionali ad eventi accaduti nel Medioevo).

Parimenti, il crollo del comunismo ha avuto notevoli ripercussioni anche nel mondo arabo-musulmano. Durante la Guerra Fredda infatti la maggioranza degli Stati arabi (soprattutto quelli rivieraschi mediterranei) furono caratterizzati da regimi laici e socialisti che si ispiravano al panarabismo e che venivano appoggiati economicamente e militarmente da Mosca. Quando l’esperienza sovietica ebbe fine, molti di questi regimi furono soppiantati da nuovi governi che avevano come programma politico il ritorno alle origini religiose. In tal senso sono da leggere ad esempio l’esperienza del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) all’inizio degli anni ’90 del XX secolo, che condusse allo scoppio della Guerra civile algerina e, in tempi più recenti, l’esecutivo dei Fratelli Musulmani di Morsi in Egitto e, seppur in termini minori, l’accesso al governo del Marocco del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (PJD), di ispirazione islamica moderata.

Mohamed Morsi

Mohamed Morsi

In conclusione, è senza dubbio vero che l’economia sia un volano per il cambiamento politico ma, a ben vedere, esistono motivazioni più importanti per spiegare in gran parte gli eventi che caratterizzano il mondo. Come ci insegna la storiografia francese della École des Annales esistono ragioni che riconducono a tempi remoti e che, pur apparendo impercettibili, riescono a plasmare gli eventi molto di più rispetto ad altri elementi che sembrano, in apparenza, decisivi.