Festeggiano e tirano sospiri di sollievo. I visi sorridenti di Moscovici ed Eukleidīs Tsakalōtos (Ministro delle Finanze greco) fanno pensare a una buona notizia, l’Eurogruppo ha raggiunto un accordo sull’uscita della Grecia dal programma di aiuti iniziato nel 2010:
- la Grecia può posticipare di 10 anni il pagamento dei 110 miliardi di euro di prestiti ricevuti dal fondo salva-Stati Efsf, in questo consiste l’alleggerimento del debito;
- l’FMI esce dai creditori, ma rimarrà nel comitato di sorveglianza e si rende disponibile a offrire ancora la sua assistenza tecnica;
- l’Eurogruppo pagherà 15 miliardi di euro, che serviranno a chiudere il debito con l’FMI e che, in parte, confluiranno in un capitale da usare in caso di altri shock futuri;
- la Germania ha ottenuto che alcune misure di riduzione del debito siano subordinate all’ennesima sorveglianza del Paese impegnato in ennesime altre riforme.
Il comunicato dell’Eurogruppo ha l’obiettivo di alimentare la narrazione di una Grecia uscita dal tunnel.
La Grecia lascia il programma di aiuti con un’economia più forte, ottenuta grazie alle riforme, ed è importante che prosegua nello sforzo di riforma.
Eppure, come immaginiamo, nessuno di voi si sentirà sollevato dalla notizia, men che meno lo saranno i Greci.
Oltre il danno, la beffa. Udo Bullmann, capogruppo dei socialdemocratici al Parlamento europeo, parla di una Grecia « che può riprendere il destino nelle proprie mani ».
Ma quale destino può aspettarsi un Paese senza sovranità monetaria, annientato dalle riforme, in balia dei mercati, spolpato dei suoi asset e che ha sottoscritto di mantenere un surplus del 3,5% del PIL fino al 2022?
Ci si può riprendere il destino con le mani legate e in un sistema, come quello dell’Eurozona, che ha insito il meccanismo di continui shock?
Pierre Moscovici, al termine dell’Eurogruppo, ha commentato così:
È un momento storico ed eccezionale, la crisi greca finisce stasera in Lussemburgo.
Appunto, in Lussemburgo. Ma non ad Atene.
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