Per la Cina, i dazi Usa e Kim sono due facce della stessa medaglia
di BOLLETTINO IMPERIALE di LIMES (Giorgio Cuscito)
La denuclearizzazione della Corea del Nord e i negoziati commerciali sino-statunitensi sono legati a doppio filo. Per questo Pechino riabbraccia P’yongyang.
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Xi Jinping ha accolto Kim Jong-un per la terza volta in cento giorni con due obiettivi precisi.
Primo, consolidare l’allineamento strategico tra Cina e Corea del Nord in chiave anti-Usa all’indomani del vertice di Singapore. Secondo, replicare subito ai dazi annunciati da Donald Trump e sottolineare che – qualora questi entrassero in vigore – Pechino può influenzare negativamente il processo di denuclearizzazione della penisola coreana.
“Come una famiglia”
La Repubblica Popolare aveva ottenuto quello che voleva dal vertice tra Trump e Kim: un allentamento della tensione ma nessuna svolta concreta riguardo lo smantellamento del programma atomico di P’yongyang e la pace tra questa e Seoul.
Come risultato, Pechino è ancora un interlocutore essenziale su entrambi i dossier e, parafrasando Kim, Repubblica Popolare e Corea del Nord sono di nuovo “come una famiglia”.
Il terzo incontro tra Kim e Xi è servito in sostanza a concordare le prossime mosse. Diversi esponenti dei due governi vi hanno partecipato e la copertura mediatica cinese è stata maggiore e repentina rispetto agli incontri di marzo e maggio, entrambi più informali.
La Corea del Nord è ormai una potenza nucleare di fatto, anche se la Cina non lo gradisce. Poiché è improbabile che P’yongyang rinunci definitivamente all’atomica, la Repubblica Popolare deve impedire che Washington la circuisca con aiuti economici e un accordo di sicurezza in chiave anti-Cina.
Per questo, al vertice di Pechino Xi ha intrapreso due strade. In primo luogo, ha ricordato che i valori socialisti fungono da collante tra Repubblica Popolare e Corea del Nord. Anche se i due paesi hanno da tempo intrapreso strade diverse sul piano politico ed economico, Xi è pur sempre il “segretario dello Stato” (guojia zhuxi) e Kim è il “segretario” (weiyuan zhang) del partito dei lavoratori nordcoreano.
In secondo luogo, Xi ha comunicato a Kim che la Repubblica Popolare appoggia lo sviluppo economico e il miglioramento delle condizioni di vita della Corea del Nord. Il concetto era stato espresso dai media cinesi anche nei giorni immediatamente successivi al vertice di Singapore. Kim ha anche visitato il centro di controllo del traffico di Pechino e il parco nazionale per l’Innovazione tecnologica per l’agricoltura, uno dei settori in cui Kim ha attuato delle riforme economiche da quando è al potere.
In effetti la Corea del Nord potrebbe adottare in futuro il modello economico cinese. Lo conferma la presenza di funzionari nordcoreani nella capitale cinese lo scorso mese per studiare la “politica di riforma e apertura” promossa da Deng Xiaoping nel 1978. Xi ha fatto riferimento ai quarant’anni passati dal suo lancio anche durante l’incontro con Kim.
Pechino potrebbe sostenere con maggiore insistenza la rimozione delle sanzioni economiche contro P’yongyang per favorire lo sviluppo economico del paese eremita. Tuttavia, difficilmente vincerà i dubbi di Trump, secondo cui questo provvedimento potrà essere preso solo dopo che il paese eremita non sarà più una minaccia nucleare.
Dazi e controdazi
L’andamento del processo di denuclearizzazione della penisola coreana e quello dei negoziati commerciali sino-statunitensi sono interdipendenti. Basti pensare che a maggio Washington e Pechino avevano congelato la questione per coordinarsi in merito all’incontro tra Trump e Kim.
Due ragionamenti alternativi potrebbero aver condotto Trump ad annunciare tariffe del 25% su merci cinesi per un valore di 50 miliardi di dollari e a minacciarne altre del 10% su beni per 200 miliardi di dollari.
Il primo parte dal presupposto che dopo il vertice di Singapore gli Usa non hanno più bisogno della Cina per ottenere la denuclearizzazione della penisola; quindi ora possono pressarla per ridurre il deficit commerciale. Il secondo ragionamento muove invece dalla convinzione opposta: Pechino influenza ancora P’yongyang; pertanto bisogna farle comprendere che se comprometterà i negoziati tra Usa e Corea del Nord le ripercussioni sui rapporti sino-statunitensi saranno gravi.
In entrambi i casi, la mossa di Trump ha innescato l’immediata reazione cinese. Pechino ha annunciato dazi pari a quelli Usa e Kim è tornato nella Repubblica Popolare prima di quanto ci si aspettava.
Ad ogni modo, le due potenze hanno ancora tempo per trovare un accordo. Infatti, sia le tariffe statunitensi sia quelle cinesi annunciate subito dopo dovrebbero entrare in vigore il 6 luglio.
Inoltre, nelle prossime settimane il Congresso Usa potrebbe chiarire il futuro dell’azienda cinese Zte, la cui sopravvivenza dipende dall’accesso alla tecnologia a stelle e strisce. Il suo caso dimostra che l’obiettivo di lungo periodo degli Usa è ostacolare lo sviluppo tecnologico cinese.
La vicenda potrebbe incidere sull’andamento dei negoziati con la Corea del Nord e dare maggiori indicazioni sulla strategia di Washington per arginare l’ascesa della Repubblica Popolare in questo campo.
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