La Riace del sindaco Lucano è davvero un modello positivo?
di BARBADILLO (Giorgio Arconte)
Il sindaco di Riace Domenico Lucano
È da giorni ormai che la propaganda radical-chic ci martella continuamente sul “caso Lucano”, il sindaco di Riace (RC) attualmente sotto indagine e costretto dalla magistratura a misure restrittive (leggi qui e qui). L’obiettivo è quello di far apparire Mimmo Lucano come una vittima, un martire, colpevole solo di aver creato un “modello” di integrazione e di sviluppo economico nel suo paese. Ma le cose stanno davvero così? Proveremo, col semplice uso della ragione e del buonsenso, a dimostrare che il “modello Riace” non è proprio così virtuoso come vorrebbero farci credere nonostante le nobili intenzioni – o presunte tali – che hanno animato il sindaco riacese e tutto il movimento a suo sostegno. Ci permettiamo il beneficio del dubbio sulle “nobili intenzioni” perché il confine con gli intenti ideologici spesso è molto sottile.
Riace modello di sviluppo economico?
Riace è un piccolo Comune calabrese che, come tanti altri del Meridione d’Italia, da decenni soffre un processo di spopolamento con tutte le disastrose conseguenze annesse. Le cause di tutto ciò sono diverse ma si possono sintetizzare qui in una cronica mancanza di opportunità lavorative che costringe giovani e meno giovani a cercare un futuro nell’industrializzato nord Italia o in Europa. Nel censimento Istat del 2017, però, è risultato che a Riace gli stranieri rappresentano ben il 26%, un quarto su un totale della popolazione che conta circa 2.300 unità, mentre nel 2011 gli abitanti erano poco meno di 1800. Pare, quindi, che la tendenza all’esodo sia stata invertita grazie alla politica dell’accoglienza imbastita da Mimmo Lucano, ma già questo “successo” non convince: su quale principio, infatti, una comunità può risorgere semplicemente attraverso la deportazione (qui è opportuno usare questo termine) di masse straniere? Senza considerare il fatto che queste masse con il tempo inevitabilmente andranno a sostituire la popolazione autoctona, perciò non è nemmeno corretto parlare di integrazione; Riace (come qualsiasi altro paese simile) non riuscirà realmente ad invertire il suo processo di caduta se, invece, non si aggrediscono prima tutte quelle problematiche strutturali che lo stavano portando alla desertificazione demografica e che inevitabilmente riprenderà. Tolto il sistema dell’accoglienza approntato da Mimmo Lucano, a Riace non c’è nulla! Basta sfogliare le Pagine gialle per accorgersi che a Riace non esistono aziende in nessun settore, né privati in questi anni hanno investito nel borgo reggino risorse per creare un mercato interno ed esterno. Tutto regge su progetti umanitari interamente sovvenzionati dallo Stato, quindi dai contribuenti italiani, senza alcuna prospettiva di crescita né di autosufficienza e con un Comune che annota sul suo bilancio oltre 2miliodi di € di deficit. Si sta parlando, quindi, di un sistema che non solo non è capace di creare sviluppo economico, ma addirittura crea debito e si regge interamente su un principio assistenzialista che è una delle principali cause d’impoverimento del territorio riacese e di tutto il Meridione. Tutto questo porta ad una sola conclusione: Riace non è un modello di sviluppo economico! Ma non è nemmeno un modello di integrazione se a queste masse straniere non vengono presentate opportunità per entrare nel mondo del lavoro ma vengono semplicemente impiegate in attività a carico dello Stato e senza alcuna prospettiva se non quella di impiegare il tempo e magari costruire servizi mediatici e propagandistici.
Veniamo allora al secondo interrogativo: Riace è un modello etico? Senza approfondire per ragioni di spazio, un modello economico assistenzialista già di per sé non è un paradigma positivo perché oltre a non incentivare l’iniziativa imprenditoriale e la creatività personale, crea dipendenza e lassismo. Ma non c’è solo questo. Scorrendo le pagine dell’indagine, si nota che la gestione del Comune di Riace si è svolta quanto meno con un atteggiamento di approssimazione e, dalle intercettazioni, anche con ostentato spregio nei confronti delle regole e delle leggi. In questi giorni sentiamo ricorrere l’adagio che il fine umanitario giustificherebbe l’uso di ogni mezzo, anche al di là di ogni ordinamento giuridico, ma c’è da chiedersi se esiste davvero una giustizia senza una legalità. Certo, le leggi sono sempre in evoluzione, ed in un contesto democratico si fa sempre in tempo a cambiare quelle ingiuste, se davvero ingiuste, ma non è di questo che si sta parlando in questi giorni. Anzi, nel “caso Lucano” si sta assistendo ad una vera e propria volontà sovversiva che di per sé, in una democrazia, dovrebbe essere automaticamente stigmatizzata e delegittimata. Invece, per la piazza scatenata a favore di Mimmo Lucano, affiancata dal solito giornalismo progressista e da una parte della Chiesa cattolica, le irregolarità ed un Comune verso il dissesto finanziario sarebbero dettagli irrilevanti e minimizzati come “reati umanitari”. C’è da chiedersi, allora, se davvero tutte le associazioni che operano nel settore del sociale e dei migranti, solo per il fatto di operare per il prossimo possano ritenersi al di sopra di ogni legge. Una tale prospettiva, però, segna la fine dell’uguaglianza di tutti i cittadini, la morte dello “Stato di diritto”, ed aprirebbe solo al caos con prevedibili derive caratterizzate da abusi certamente poco “umanitari”. Tra l’altro, questa caciara mediatica è da ritenersi un vergognoso schiaffo verso tutti quegli operatori sociali che quotidianamente lavorano con sacrificio e nel rispetto della legalità raggiungendo anche risultati di altissimo profilo ma completamente ignorati dai media. Dovrebbero essere questi i modelli etici da prendere a riferimento.
A fronte di quanto sopra ragionato, è lecito pensare che chi sta realmente strumentalizzando i migranti non sia l’attuale governo (tra l’altro è bene ricordare che tutto è cominciato sotto il governo Renzi con un’indagine avviata dall’allora ministro degli Interni Marco Minniti oggi candidato a segretario del PD, e all’epoca tutto stranamente taceva), ma sono élite fortemente ideologizzate che hanno tutto l’interesse a destabilizzare la società promuovendo una lotta fra poveri in sostituzione dell’ormai obsoleta lotta di classe. Come sosteneva Carl Schmitt:
“Il concetto di umanità è uno strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche ed è, nella sua forma etico-umanitaria, un veicolo specifico dell’imperialismo economico”…
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