SPY FINANZA/ I giochi di guerra tra Usa e Russia in Europa
di IL SUSSIDIARIO (Mauro Bottarelli)
L’Europa torna a essere terreno di battaglia tra gli Stati Uniti e la Russia. Sul tema tra l’altro l’Italia non sembra avere una linea chiara.
Prendetemi pure per matto, ci sono abituato e non mi offendo più da tempo ma io ho una quasi certezza. Però, ve la sottopongo in forma dubitativa, tanto per un eccesso di cautela: e se il cosiddetto “sovranismo globale” fosse, esattamente come Wall Street, ormai giunto al suo picco e già in fase discendente? E se, proprio come la Borsa quando la bolla si è espansa al massimo e rischia di esplodere, i rischi maggiori li presentasse proprio adesso, nella sua fase di declino, se non controllata? Provo a spiegarmi. E lo farò partendo dalla stretta cronaca, ovvero dalla vittoria alla presidenziali brasiliane di Jair Bolsonaro, burattino nelle mani delle forze armate e delle lobby di potere del Paese.
Non mi dilungherò, non conoscendo così bene la politica dell’America Latina da poter lanciarmi in dotte analisi post-voto e vi mostro soltanto due grafici: il primo, che ho già pubblicato, fa riferimento alla situazione politica in vista del voto presidenziale attraverso un sondaggio di fine agosto, prima dell’accoltellamento di Bolsonaro e della parziale sospensione della campagna, quantomeno quella nelle piazze e porta a porta. Nessuno avrebbe scommesso più di tanto su di lui. Eppure, da allora, una marcia trionfale, scandita dall’attentato più strano della storia recente e da un abuso dei social network in favore del candidato dell’estrema destra, supportato in maniera più che palese anche dalla seconda rete televisiva del Paese, Record TV, controllata dalla potente Chiesa evangelica brasiliana cui Bolsonaro si è convertito nel 2016, con tanto di “battesimo” nelle acque del Giordano.
E guardate in contemporanea con l’approssimarsi del voto dello scorso 9 ottobre la mole di acquisti di debito Usa compiuta dalla Banca centrale brasiliana, proprio nel periodo estivo in cui tutti lo scaricavano, Cina, Russia e Giappone in testa. Strano, non vi pare? Oppure una spiegazione c’è: nei gangli della macchina statale brasiliana opera quello che possiamo definire un Estado profundo, un Deep State sudamericano che persegue una sua agenda, parallela e invisibile. E che, magari, ha fatto in modo che Lula prima e Wilma Rousseff poi non potessero fare quello che esso riteneva “danni” alla struttura socio-politica e di potere del Paese: non è un caso che il numero due di Bolsonaro sia lo stesso capo delle Forze armate che minacciò pubblicamente un golpe militare, se la Rousseff non si fosse dimessa.
Nulla che stupisca: dal Dittatore dello Stato libero di Bananas di Woody Allen in poi, sappiamo come funziona l’America Latina. Una dependance degli interessi statunitensi, i quali non solo impongono propri uomini al governo per tutelarli, ma, in caso contrario, fanno in modo che gli avversari vengano eliminati. E contrario fa rima con Contras, la più grande operazione di destabilizzazione e contro-guerriglia della Cia nel Continente. Non sono complottismi, solo realtà. Storica. Accertata. Ammessa addirittura con orgoglio da personaggi come Henry Kissinger o, per restare nell’ambito noto al grande pubblico italiano, Edward Luttwak. Pensate che ora Bolsonaro si metta a cacciare e deportare gay per le strade (nella patria del Carnevale e dei suoi eccessi) e imponga leggi che vietano alle donne di lavorare o guidare l’automobile, stante la sua conclamata misogenia (spesso maschera per altre inclinazioni)?
Non diciamo idiozie, Bolsonaro non è Duterte. È un fantoccio che serve come parafulmine folkloristico-mediatico di ciò che realmente i poteri forti che intendono controllare la lettera “B” dei Brics vogliono perseguire: profitto. Punto. E controllo geopolitico sulla Regione, visto il sempre maggiore interesse di Cina e Russia per il devastato Venezuela di Maduro e il suo petrolio. La faccia triste dell’America cantava Enzo Jannacci riferendosi al Messico, ma utilizzando quel Paese e le sue nuvole come metafora dell’intera America Latina: bene, ora Washington controlla il Brasile. E l’ultima cosa che vorrà è uno Stato autoritario che reprima le libertà civili, perché le “colonie” devono riflettere lo spirito da Disneyland globale che Washington vuole irradiare, sedicente faro di democrazia e libertà, ma, di fatto, nazione in mano a un complesso bellico-industriale che il libero mercato non sa nemmeno cosa sia, con buona pace degli Henry Ford e di chi ha fatto grandi gli Usa che furono.
Eppure, Jair Bolsonaro è visto come un sovranista, un orgoglioso portatore di primazia nazionale: di fatto, è un proxy del vassallo a stelle e strisce. Nulla più. Ciò che vi dico da sempre: le élites utilizzano queste maschere alla Donald Trump e i loro stregoni alla Steve Bannon (non a caso, ormai di casa in Italia) per fare ciò che a loro non sarebbero più concesso, dopo il disastro del 2007. E, così facendo, ottengono anche lo scopo di tornare “vergini”, visto che le nuove crisi che giungeranno come conseguenza di questi esperimenti “populisti” faranno rimpiangere e richiamare a gran voce i tecnici, gli esperti, i responsabili. Insomma, le stesse élites che si pensava di aver scacciato con il voto. Poveri illusi. Guardate questi due altri grafici adesso.
Il primo ci mostra come Donald Trump, esattamente come gli orologi rotti che due volte al giorno segnano l’ora esatta, questa volta non abbia poi tutti i torti a voler rimettere pesantemente in discussione la presenza Usa nel Trattato di non proliferazione nucleare con la Russia. Vladimir Putin, infatti, fra il 2010 e il 2016, ultimi dati ufficiali disponibili, ha letteralmente speso l’impossibile per il rinnovo dell’arsenale nucleare russo, passando dai 6,9 miliardi di dollari di otto anni fa ai 10,8 del 2016. E la conseguenza? È stata lenta e silenziata dalla natura stessa di democratura della Russia, nazione poco incline al riconoscimento delle dissidenze, spesso per oggettive ragioni vista la loro natura, i loro scopi e i loro finanziamenti: il supporto popolare di Vladimir Putin è in calo.
Certo, resta molto alto, ma per qualcuno che è rimasto stabilmente sopra l’80% per anni, nonostante crisi politiche, geopolitiche, del rublo e del prezzo del petrolio, significa qualcosa: ovvero, la macchina della propaganda e del consenso si è inceppata. O, quantomeno, non è più infallibile come un tempo. E cosa l’ha fatta grippare? Semplice, una sorta di Fornero alla russa: la riforma delle pensioni, il fatto che i russi comincino a dire di essere stufi di fare sacrifici economici per soddisfare le fregole da Dottor Stranamore del loro leader, intento a spendere solo per armamenti ed esercito, quasi fossimo a un passo dalla guerra. O, magari, ci siamo. Perché mentre noi guardiamo la realtà senza vederla, altrove si muovono le pedine sulla scacchiera. Peccato che quella scacchiera si chiami Europa.
Nel mese di ottobre che si conclude oggi, infatti, la base aeronautica statunitense di Ramstein, in Germania, ha ricevuto il carico di munizionamenti maggiore dal 1999, anno dell’attacco contro la Serbia di Slobodan Milosevic per la crisi in Kosovo. Approssimativamente si parla di 100 container contenenti munizionamento di ogni tipo, la cui dislocazione in Germania a detta del Dipartimento della Difesa Usa rappresenta “una rapida risposta contro le minacce perpetrate da attori aggressivi nell’area”. Leggi, la Russia. Tutto questo sta accadendo oggi, a poche ore di volo o addirittura di automobile da Milano. O Roma. O Napoli. Fanno i loro war games in casa nostra, esattamente come fanno in America Latina o Putin sta facendo in Siria.
E noi, come Governo italiano, cosa facciamo? Un giorno stiamo con Trump, un altro andiamo da Putin per farci comprare i Btp. Un giorno rivendichiamo sovranità energetica, l’altro compriamo il carissimo Lng statunitense e diamo il via libera al Tap su pressione d’Oltreoceano, dove il Nord Stream 2 che porta il gas russo direttamente proprio nella Germania militarizzata ai massimi dagli Usa, bypassando la “colonia” ucraina, proprio non va giù del tutto. Ma anche qui, al netto dei sondaggi e dell’opposizione inesistente, a destra come a sinistra, vediamo che in questi giorni le divaricazioni fra Lega e M5S su sempre più argomenti di importanza dirimente, non ultimo il ruolo di Mario Draghi e della Bce, stanno ampliandosi.
Il ministro Salvini, l’uomo dal “me ne frego” facile, da qualche giorno appare sempre più raziocinante, quando si tratta di questioni delicate e strategiche, lasciando i toni da curva sud alle questioni prettamente elettorali dell’ordine pubblico e dell’immigrazione. Insomma, nasci sovranista-incendiario ma muori (politicamente, ovviamente) pragmatico-pompiere. In attesa che certe amicizie d’Oltreoceano garantiscano prima delle Europee l’arrivo per via aerea di un regalo speciale, l’estradizione di Cesare Battisti dal Brasile di Jair Bolsonaro, provincia di Washington DC.
Attenzione, il sovranismo è stato solo un morphing delle élites per tornare a essere socialmente ed elettoralmente accettate, ma, come quando si maneggiano esplosivi, ora occorre enorme cautela, perché uno scossone può sempre capitare. La transizione verso un governo più moderato è ormai iniziata, ma ricordiamoci sempre di essere, per scelte irresponsabili, fra l’incudine e il martello di Uds e Russia, entrambi blanditi per ragioni elettoralistiche e che ora, però, in Germania stanno mostrando reciprocamente davvero i muscoli. Dovremo probabilmente decidere da quale parte stare. E tremo alla sola idea che lo debba fare un Governo che annovera Danilo Toninelli e i suoi tunnel fra i suoi ministri.
Attenzione, la bolla politica sovranista sta per esplodere, manca poco. E potrebbe fare molti più danni di quanto si pensi possa avere già fatto. L’establishment scalpita per tornare al suo posto, le basi per una nuova crisi finanziaria globale che mandi in reverse la contrazione monetaria delle Banche centrali ci sono tutte adesso, basta accendere la miccia. Dopo il voto di mid-term di martedì prossimo negli Usa, capiremo qualcosa di più. Attenzione, poi, al fenomeno dei Verdi in una Germania sempre più colonia militare degli Usa e con una sinistra ufficiale sempre più residuale, istituzionalizzata, liberale e polverizzata: la Baader-Meinhof nacque in un contesto simile.
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