Dopo i partiti i «NEUTRALI» Think Tank?
Presentiamo un breve e interessante articolo di Gianni Vattimo che dovrebbe convincere anche i più tenaci sostenitori delle teorie del "voto utile" o della "scelta del meno peggio" o del "Berlusconi non lo si può far governare" che in Italia si è formato un "partito unico delle due coalizioni", del quale hanno fatto parte – è bene precisare – , prima di esserne espulsi, anche i partiti della cosiddetta sinistra radicale. Condividiamo l'analisi di Vattimo. Non il timore secondo il quale le cose resteranno a lungo così come sono adesso. In noi prevale la speranza (che non è più irragionevole del timore) che gli spiriti forti e liberi del popolo italiano, anche superando false e artificiali differenze, residuo del passato, formino, in tempi non troppo lunghi, il partito alrnativo al partito unico delle due coalizioni e caccino i mercanti dal tempio.
di Gianni Vattimo
Fonte Il Manifesto
Sabato 26 settembre si è tenuto a Torino un convegno in ricordo di Ugo Spagnoli, un grande giurista comunista che fu anche membro della Corte costituzionale.
Alla tavola rotonda che concludeva la mattinata (tema «Politica e cultura») parlano Martinazzoli (un intervento «fuori dal coro», molto personale e intenso) e poi D'Alema e Fini. Le voci del futuro, si pensa. Ma che futuro. Il futuro delle fondazioni, anzitutto quelle che fanno capo all'uno e all'altro dei due interlocutori. Non si capisce però perché non potrebbero essere una fondazione sola (o forse lo stanno diventando?). Sia D'Alema sia Fini parlano della necessità di lasciarsi alle spalle l'epoca delle ideologie, convocando uomini di cultura a un lavoro di riflessione che aiuti a trovare soluzioni per i problemi concreti del paese. Il modello sono i think-tank statunitensi, da cui provengono – dice D'Alema – le idee che ispirano i due grandi partiti, democratico e neo-conservatore; e che ora hanno travasato alcuni dei loro cervelli migliori (quelli democratici, si suppone) anche nel governo Obama.
Anch'io quando sono andato al governo, dice D'Alema, mi sono portato alcune persone della mia fondazione. Ma perché sono meglio dei partiti? Perché, secondo entrambi gli interlocutori, le fondazioni sono centri di studio non inficiati da appartenenze, ideologie prestabilite, ortodossie di alcun genere. Insomma, un terreno dove domina una sorta di neutralità «scientifica». Ciò che si chiede alla cultura è elaborare soluzioni – giuridiche, economiche, sociali – che possano diventare progetti di legge capaci di mettere il paese in grado di rispondere alle «nuove sfide» (Fini), supponiamo principalmente tecnologiche e non certo relative alla qualità della vita, giacché in questo campo non ci sfida mai nessuno.
Naturalmente l'idea di unificare le due fondazioni – Italianieuropei e Fare futuro – non è stata presa in considerazione. Ma perché, visto che il solo criterio post-ideologico che le ispira è l'efficacia «tecnica» delle soluzioni che riescono a inventare? Non siamo più nell'epoca delle ideologie, dicono tutti e due. È un'epoca definitivamente tramontata, inutili le nostalgie. Siamo, si capisce, nell'epoca del potere personale: una fondazione è mia o tua, chi ci lavora ed eventualmente ci fa carriera (fino a seguire il capo al governo) non è soggetto che al beneplacito di chi la dirige (e che procaccia i fondi per fondarla), niente meccanismi di partito, elezioni primarie o terziarie. Non è una fondazione (sua) anche Forza Italia o Pdl che si chiami?
L'assoluta sincerità di D'Alema e Fini in questo dialogo non è davvero in questione, diversamente da quello che possiamo pensare del Cavaliere. Ma è tanto più preoccupante perché quello a cui pensano è una progressiva neutralizzazione di ogni conflitto politico, in cui tra l'altro (né D'Alema né Fini hanno accennato alla politica estera) il quadro mondiale in cui stiamo viene dato per normale, immutabile, e noi (intellettuali, destra, sinistra, confindustria, Vaticano…) abbiamo solo il compito di far funzionare «meglio», il «sistema Italia» così come è e, temiamo, sempre (ancora a lungo) sarà.
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