Scienza e potere
di ESQUIRE (Massimo Sandal)
I difensori dei vaccini che si arroccano in posizioni di sprezzante superiorità, sono animati da sincero spirito scientifico o da una rabbia classista e antidemocratica?
Pochi giorni fa il medico e giornalista Roberta Villa raccontava un episodio curioso. Una giornalista di destra americana muore a soli 28 anni per una encefalite, complicazione dell’influenza H1N1: episodio raro, ma succede. Non era vaccinata contro l’influenza, ma questo è normale, perché i vaccini per l’influenza non sono raccomandati a tutti ma solo a chi ne ha effettivamente bisogno. Sulla stampa italiana questo viene misteriosamente strumentalizzato: l’encefalite diventa meningite, un tweet probabilmente sarcastico di quando la giornalista aveva 19 anni viene riesumato per presentarla come antivaccinista, e tutta la storia è bella confezionata come la vendetta del karma. Una fake news costruita ad arte, strumentalizzando la morte di una ragazza per creare una parabola pro-vaccini.
Fermi tutti. Non eravamo a favore dei vaccini perché il fatto che i vaccini siano uno strumento essenziale di salute pubblica è, banalmente, vero? Non erano quegli altri a sfruttare notizie false? Perché dover difendere le ragioni della scienza mistificando i fatti, un atto che della scienza dovrebbe essere l’esatto opposto? Non è un caso. Questo episodio, di per sé irrilevante, è il canarino nella miniera che rivela qualcosa di profondamente marcio nel modo in cui la scienza oggi è discussa e usata nel panorama culturale italiano. Ma per capirlo dobbiamo fare molti passi indietro.
Debunking, populismo e classe disagiata
Oggi in Italia la narrativa dominante nella comunicazione della scienza è il debunking. Una narrativa negativa, in difesa, in cui non si parla tanto di cosa la scienza sia o faccia, ma di confutare cosa non è scientifico. Il debunking come lo intendiamo oggi nasce negli anni 70 in USA in risposta all’ondata di interesse sul paranormale di quegli anni (se pensate che il credito diffuso di fandonie pseudoscientifiche sia una novità recente vi sbagliate di grosso), con la fondazione del CSICOP (Committee for Scientific Investigation of Claims of the Paranormal) nel 1976: l’equivalente italiano, il CICAP, viene fondato grazie a Piero Angela nel 1988. Dal focus sul paranormale il debunking si sposta man mano sui temi pseudoscientifici di moda in ciascun momento storico, tanto che nel 2013 il CICAP cambia nome, da Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, a Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze.
Fin qui, tutto a posto. Sebbene ci siano seri dubbi sul fatto che il debunking, di per sé, possa cambiar le menti e i cuori, il debunking fatto bene è un utilissimo punto di riferimento. Ma, mentre i debunker si occupano serenamente di maghi e sindoni in Italia, come nel resto del mondo, succede qualcosa. Sono gli anni Zero: la crisi colpisce l’intero ceto medio, che si vede rubare definitivamente le aspettative delle magnifiche sorti e progressive. Non è tanto che siamo tutti un poco più poveri, ma è che non saremo mai più ricchi.
Non saremo più ricchi dei nostri genitori lavorando meno, saremo meno ricchi lavorando peggio e di più. Il diritto del lavoro si sbriciola, il precariato è uno tsunami, invece di frenare il neoliberismo accelera e passano l’austerity, i Jobs Act. Priva di riferimenti ideologici la classe piccolo e piccolissimoborghese ronza di rabbia cieca e confusa come un nido di calabroni colpito da un pugno. Seguono il primo Beppe Grillo che incontrano. Sorgono i populismi. Come tutti i populismi, cercano capri espiatori a cui addossare la colpa della propria sconfitta: la Casta, Soros, l’Europa, i migranti.
C’è un’altra classe che perde precipitosamente senso, benessere e prestigio: quella che Raffaele Alberto Ventura ha chiamato la classe disagiata. È la classe di coloro che hanno studiato nella speranza di un posto sociale ed economico di tutto rispetto, a cui è stato insegnato che studia studia e qualcosa arriverà, che hanno accumulato lauree e dottorati per trovarsi, nel mercato sovra saturo della crisi, con un pugno di mosche: insegnanti precari, freelance che sopravvivono dei risparmi familiari, laureati in filosofia che fanno marketing per tirare avanti. Sono delusi, sorpresi, sconfitti e incazzati. E anche coloro che ce l’hanno fatta sentono eroso il proprio prestigio sociale. Esattamente come il gregge dei populismi, i disagiati hanno bisogno di un nemico a cui addossare la propria rovina.
Il populismo glielo consegna: il popolo stesso. Siamo la gente il potere ci temono: ma santocielo se la temono davvero. Lo spauracchio dell’ignoranza al potere ingoia la sinistra. La gente, che rivendica con la bava alla bocca quel posto sulla scala sociale che gli era stato promesso e si vede negato, diventa l’equivalente degli zombie di The Walking Dead. Non che non ci sia del vero in tali timori: del resto ci sono i Toninelli e i Di Maio tra le massime cariche dello stato, al momento. Ma se prima l’ignoranza e la rozzezza potevano essere questioni da risolvere, sintomi di mancanze da riempire nel tessuto educativo del paese, ora sono marchio di infamia personale. Non leggi, non capisci, non sai, soprattutto non credi a chi ha un pezzo di carta? E ciò nonostante vuoi voce in capitolo sui problemi che ti riguardano, cerchi risposte ai tuoi dubbi? Sei un nemico. E i nemici si delegittimano, si demonizzano e si annientano. Non è un caso che un tizio che si è fatto una carriera sui social mettendo alla gogna l’ignoranza altrui si firmi Signor Distruggere.
Si crea il mito dell’analfabetismo funzionale, si crea la narrazione dei “somari” che vorrebbero sostituirsi agli “studiati”. Tutto falso (Erik Boni ha scritto un buon debunking, ironia della sorte, della leggenda dell’analfabetismo funzionale in Italia; e la fiducia e alfabetizzazione scientifica sono state in costante aumento fino al 2016, registrando solo ora una leggerissima flessione), senza contare il fatto che la fiducia nelle pseudoscienze non ha nulla a che fare col livello di istruzione (anzi, può perfino aumentare con l’aumento delle conoscenze e degli strumenti cognitivi, come dimostrano gli studi di Dan Kahan).
La scienza non è più un sapere di liberazione, non è quello che permette a Winston Smith di ricordare che due più due fa quattro: di colpo il grido di battaglia è la scienza non è democratica. Superficialmente nel banale senso per cui non si decidono le costanti fisiche ad alzata di mano, ma implicando neanche tanto per il sottile che la scienza deve restare in pugno a una élite, che dirime mentre tutti devono solo ascoltare e subirne le conseguenze. Non sorprende che sia, seppure collocata spesso “a sinistra”, una narrativa di destra. Come ha riassunto su Facebook il ricercatore Giulio Valentino Dalla Riva si tratta di:
1) un costante richiamo ad una “età dell’oro” che è più restaurazione che conservazione;
2) una continua messa in discussione del suffragio universale;
3) la richiesta di un ORDINE sociale e civile molto gerarchico, e la rimozione di ogni disturbo.
È una guerra tra poveri, in cui il debunking diventa manganello. È facile, perché il populismo del resto va a braccetto con tutte le possibili assurdità, dalla biowashball al negazionismo dell’Aids, e di per sé denunciare lo scontro folle con la realtà dei fatti va benissimo. È effettivamente una deriva pericolosa. Ma lo scopo non è più convincere, creare una consapevolezza del fatto che, beh, la biowashball non lava e l’Aids esiste.
Credere o meno alle bufale, o anche solo usare una grammatica traballante, sono lo shibboleth per identificare il nemico (e viceversa infatti le destre populiste si riapproprieranno di questi marchi di cafonaggine, con i post appositamente sgrammaticati e i memi malamente fotoshoppati che vengono distillati dai social media manager di Salvini). E siccome le linee dello scontro sono politiche, la sedicente difesa della scienza non è più neutrale, ammesso lo sia mai stata. Diventa un modo per giustificare e accreditare quelle che non sono più (solo) affermazioni scientifiche, ma (anche) un sistema politico ed economico. Quello che finora era in simbiosi con la classe intellettuale, e che sta vacillando.
Blasta la gente! Vota la scienza!
Da qui si capisce finalmente anche perché il blasting sia il modulo comunicativo che imperversa in tali situazioni, e del perché chi lo mette in discussione non solo non viene ascoltato ma viene considerato una sorta di traditore, di quinta colonna. Il burionismo non è solo questione, come finora credevo, di nervi che saltano o di ingenuità comunicativa. È che a nessuno interessa aiutare le vittime delle pseudoscienze a uscire dalla loro condizione. Perché guadagnarsi la loro fiducia e cercare di ragionare con loro (quando è possibile) significherebbe dover ammettere che, sebbene le risposte siano sbagliate, spesso le domande vanno prese in considerazione.
Significherebbe dover dire che, sì, i vaccini funzionano, ma è giusto chiedersi se l’industria farmaceutica faccia tutto per il nostro bene o meno, e che anzi sarebbe cosa buona guardarci insieme; se magari non ci fossero modi alternativi di impostare la produzione di farmaci, se addirittura non bisogni cambiare il modello sociale, economico, politico. Ma fare questo va totalmente contro l’obiettivo ideologico di fondo: distruggere il nemico per preservare lo status quo economico e gerarchico. Non è un caso che tempo fa un celebre immunologo abbia contattato infuriato la redazione di una testata con cui collaboro solo perché (senza mai citarlo o alludervi) avevo osato scrivere che un partito politico non dovrebbe usare come slogan “vota la scienza”. Stavo attaccando quell’identità tra scienza e obiettivo ideologico, ed è chiaramente il sacrilegio massimo.
Un paio di delucidazioni. Innanzitutto, anche se mi rendo conto alcuni miei lettori staranno chiamando la neuro, non sto inventando una teoria del complotto. Nell’ipotesi che espongo non esiste nessun piano malvagio e anzi, difficilmente tutto questo avviene consapevolmente. Semplicemente leggiamo istintivamente il mondo secondo le nostre credenze e i nostri filtri, e ci difendiamo da ciò che minaccia la nostra identità. In parole povere, se crediamo che il Sistema sia il Male e questo cerca di iniettarci roba, istintivamente detesteremo e diffideremo di questa roba che ci inietta. Se crediamo che invece il Sistema sia il Bene, e qualcuno lo mette in discussione, istintivamente faremo le barricate contro coloro che prendono decisioni per contestarlo. E gli esseri umani sono bravissimi a usare tutto l’arsenale intellettuale, culturale e cognitivo a disposizione per difendere la propria struttura profonda di credenze e di identità.
Di norma infatti accade involontariamente. Qualche anno fa Mariano Tomatis su Giap! smascherava la presunta neutralità di certo debunking che per esempio, volendo parlare di organismi geneticamente modificati, avallava neanche troppo implicitamente il modello brevettuale e industriale ad essi soggiacente. Tomatis denunciava proprio la difficoltà, per chi fa debunking, nel rendersi conto della cornice ideologica che orienta una apparente obiettività. Per fortuna il nostro lavoro diventa facile quando queste strutture ideologiche emergono esplicitamente. Capita che ve lo dicano in faccia: per esempio nell’articolo “L’antivaccinismo è la malattia senile dell’antimercatismo” Carmelo Palma, su Strade, fa una diagnosi di per sé ineccepibile del problema:
Chi pensa che i vaccini facciano male o che l’olio di palma sia più nocivo di altri ingredienti alternativi, in generale, non mette affatto in discussione il metodo sperimentale della scienza moderna, ma non crede alla neutralità dei responsi che una scienza “in conflitto di interesse” fornisce sulle questioni economicamente più sensibili e dunque politicamente più sospette. […] La campagna contro i vaccini nasce da questo humus culturale e psicologico, non da un ripudio aprioristico del sapere scientifico, che si ritiene però subordinato e ormai “dominato”, come i destini della salute e della stessa natura umana, dalla potenza impersonale e annichilente del denaro.
Per poi concludere:
Se questa è la sfida, per convincere gli italiani che l’industria della salute non è, in sé, un male e che sarebbe meglio tornare tutti a vaccinarsi non basta un didascalico ripasso, a reti unificate, delle lezioni di Galileo, al posto dei deliri di Red Ronnie. Occorre difendere il mercato, prima che i vaccini.
“Occorre difendere il mercato, prima che i vaccini”. Sono i momenti in cui, per un attimo, la pinna del capodoglio emerge dall’oceano. È interessante anche vedere come i fogli liberisti quali appunto Strade, nel momento in cui denunciano veementemente l’antivaccinismo, non si facciano problemi a ospitare anche articoli dove si fa spallucce sul cambiamento climatico, anche qui con affermazioni del tutto limpide sui reali motivi di tali posizioni: “In un momento comunque delicato per l’Occidente, imporre nuovi vincoli alle attività industriali vuol dire distruggere posti di lavoro, rallentare la crescita”. A Strade ospitano certamente anche articoli in sintonia con il consenso scientifico sul cambiamento climatico. Ma il solo fatto che un articolo del genere sia tuttora tollerato come un punto di vista legittimo, parte di un fantomatico “dibattito” (Salvo di Grazia coniò il geniale termine fintoversia) la dice lunga su quanto, in certe aree “razionaliste” stia a cuore la scienza rispetto al modello ideologico soggiacente.
Un altro esempio di dichiarazione esplicita, non così smaccatamente consapevole ma comunque assai rivelatrice, è apparsa poco tempo fa in un post proprio di Salvo di Grazia alias MedBunker, uno dei primi e più noti debunker di argomento medico in Italia. Riporto il post di Di Grazia interamente, per capirci.
La società civile si basa su un concetto semplice e vincente. Ognuno contribuisce al benessere di tutti facendo ciò che sa fare meglio. Il fornaio fa il pane, il medico cura, l’ingegnere progetta case e il muratore le costruisce. Per questo sono nate le città, le comunità e la società civile moderna.
Ultimamente però l’appiattimento dei livelli sociali e la voglia di rivincita di chi si sente sfruttato hanno creato uno strano fenomeno. Medici che fanno gli stregoni, casalinghe che parlano di vaccini, ragionieri che dicono come curarsi. Ognuno si reinventa una competenza che non ha, nessuno vuole sentirsi meno capace dell’altro, tutti sanno tutto.
E non va bene.
Non conviene a nessuno, è rischioso, va contro ogni logica, va contro l’interesse del singolo e della società. Ma fondamentalmente è molto stupido. Non ci sono prove scientifiche a riguardo ma i segnali di un progressivo aumento della stupidità nelle persone sono sempre più evidenti.
L’ultima evidenza è di queste settimane. In un film televisivo che si svolge nel futuro i protagonisti devono vivere con gli occhi bendati per evitare di guardare degli spiriti maligni pericolosi. Fanno tutto a occhi bendati. Film di successo.
Tanto successo che negli USA in tanti sono finiti in ospedale perché hanno iniziato a fare le cose di ogni giorno bendati. Si bendano apposta per sfida, per gioco. E si fanno male. Qualcuno è caduto, altri hanno battuto la testa, si sono feriti. C’è chi ha fatto il video mentre guida bendato e chi passeggia bendato. Il sintomo più preoccupante a questo punto non è tanto la stupidità, qualche segnale di epidemia era già presente ma una nuova tendenza: lo stupido fa cose stupide e non vede l’ora di farlo vedere a tutti. Che è un ulteriore segno di stupidità.
Per questo motivo, se proprio non si riesce a tacere quando non si conosce un argomento, almeno non lo fate sapere in giro, non parlatene nei social, parlatene allo specchio con voi stessi, fate finti convegni a casa vostra. Se pensate di conoscere un argomento meglio di un esperto state probabilmente sbagliando e rischiate di passare per stupidi. Usate la furbizia. Registrate degli applausi, vestitevi da Cicerone ma smettetela di parlare di argomenti che non conoscete. Che sia medicina, economia o biologia, basta.
Lasciate che ognuno faccia il proprio lavoro.
Buon week end!
Quello di MedBunker può sembrare un discorso assolutamente ragionevole che ripete una banalità: ognuno faccia quel che sa fare. In realtà è un manifesto politico chiarissimo, mostruoso nel suo classismo reazionario. Prendiamo una frase come “Ultimamente però l’appiattimento dei livelli sociali e la voglia di rivincita di chi si sente sfruttato hanno creato uno strano fenomeno”: sapesse, Contessa! Il problema non è quindi che ci siano fasce di popolazione meno istruite, o che le persone possano cadere preda di credenze assassine.
No, il problema principale, secondo di Grazia, è che ci sia appiattimento dei livelli sociali e voglia di rivincita di chi si sente sfruttato. Il problema è che la società di oggi è troppo egalitaria. Che si stava meglio quando si stava peggio e ognuno stava al suo posto, senza grilli per la testa. Se non fosse che ora sta “aumentando la stupidità” (ovviamente non è affatto vero e di Grazia stesso afferma di non avere uno straccio di prova al riguardo, ma questo chiaramente non importa: fa parte della narrativa).
Attacco allo status quo e veri problemi
Potremmo comunque accettarlo a denti stretti se fosse vero che sono le “casalinghe che parlano di vaccini” il problema. È sconcertante per un divulgatore: ma sembra che di Grazia, invece di voler dare alla casalinga gli strumenti intellettuali per parlare di vaccini con cognizione di causa, desideri caldamente che la casalinga stia muta mentre lui monologa. Al di là del dispregio per delle casalinghe che – orrore! – osano parlare di un tema che riguarda la salute propria e dei propri figli (non sostituirsi al medico, non decidere politiche sanitarie, no: parlare, semplicemente), di Grazia dovrebbe ricordare che le credenze pseudomediche e pseudoscientifiche nascono e sono alimentate da medici o scienziati di cui le persone si fidano.
Volete un elenco? Gli omeopati sono, ahinoi, medici. Di Bella era un medico. Wakefield, padre dell’antivaccinismo contemporaneo, non solo era medico ma aveva pubblicato il legame vaccini-autismo su Lancet, la prima rivista di medicina mondiale. Vannoni non era un medico ma Andolina, il suo braccio destro, sì. Eccetera. A onor del vero Salvo di Grazia accenna ai “medici che diventano stregoni”, ma restano lì, come fossero un accidente sullo stesso piano. Mentre sono la questione chiave: sono loro a convincere le casalinghe delle fregnacce. Ma questo MedBunker non può dirlo troppo apertamente, non può ammettere che siano loro il problema.
Ci si potrebbe inoltre chiedere come mai di Grazia, che è medico e non sociologo, si spinga in tali analisi da bar di sociologia, se il suo mantra è che ognuno parli di ciò che sa. La contraddizione si scioglie se ricordiamo che il primo scopo profondo della barricata “pro-scienza”, a livello individuale, è il mantenimento del proprio ruolo sociale. Quando un medico legge che qualcuno va dall’omeopata o sceglie di non vaccinarsi certamente ha un sussulto per il problema di salute pubblica, ma ne ha uno più viscerale per il fatto che il suo ruolo in società, gerarchicamente in alto, cessa di essere universalmente riconosciuto. Gli viene tolta legittimità. Per questo, all’occhio di un Salvo di Grazia, non esiste alcun contrasto tra il concetto per cui “solo gli esperti possono parlare” e il lanciarsi in excursus di dubbia validità senza la minima preparazione. Non è l’essere esperto nel senso di possedere conoscenze effettive che conta davvero, ma il loro essere esperti come ruolo nella società. È autodifesa.
Una ulteriore controprova è guardare di cosa non si parla. C’è un tema gravissimo quasi completamente ignorato nel dibattito pubblico anche se tutti gli specialisti concordano sia uno dei principali rischi presenti e futuri per la salute globale, ed è la crescente resistenza agli antibiotici dei batteri patogeni. Resistenza che sta rendendo nuovamente letali infezioni e procedure mediche che, grazie agli antibiotici, erano diventate banali. Quasi nessuna industria farmaceutica sta facendo una ricerca seria in merito per ottenerne di nuovi, perché gli antibiotici non sono un farmaco dal significativo ritorno economico: li prendi una settimana ed è andata. I farmaci che creano guadagno sono quelli che si assumono costantemente, per una malattia cronica, ad esempio. Vendere gli antibiotici esistenti non è un problema, ma fare costosissima ricerca e sviluppo per nuovi antibiotici non attira l’industria. Il risultato è una bilancio mostruoso: settemila morti all’anno solo in Italia.
Ma la questione è tragicamente indigesta a entrambi i fronti. Chi difende la medicina ufficiale dovrebbe trovarsi costretto ad ammettere che l’ignavia delle case farmaceutiche sta effettivamente mettendo in pericolo l’umanità per mere questioni di calcolo economico. Chi ne diffida dovrebbe ammettere che sarebbe molto utile se le odiate industrie farmaceutiche producessero pillole medicinali. Il risultato netto è che il tema è pressoché dimenticato. Se i vari debunker e difensori della scienza avessero veramente a cuore la salute pubblica, dovrebbero essere in questo momento con i forconi sotto le industrie farmaceutiche per costringerle a cercare nuove molecole: l’impatto delle mancate vaccinazioni, al confronto, è uno zerovirgola.
La verità è che, ovviamente, a nessuno importa dei vaccini. A nessuno, né pro né contro. I vaccini sono un pretesto. Come sono un pretesto gli ogm, l’omeopatia e tutti i temi su cui si fanno crociate pro e contro “la scienza”. La scienza è semplicemente stuprata e usata come fantoccio, bersaglio mobile sulla terra di nessuno dello scontro ideologico in atto. Antivax e consimili sono, per una certa parte culturale italiana, l’equivalente dei migranti per i fan di Salvini. Sono un bersaglio assolutamente minoritario, la cui effettiva pericolosità – visti i numeri in gioco – è del tutto secondaria.
Ma antivax e migranti sono lo stesso troppi, sono i barbari che assediano la nostra civiltà. Utilissimo capro espiatorio, sacrificabile da una mentalità brutale per cui è sempre colpa di qualcun altro, qualcuno che è sempre guarda caso vittima (perché chi cade nella trappola delle pseudomedicine danneggia per primo sé stesso e i suoi familiari). E i capri espiatori si creano con la propaganda. Come, per esempio, falsificando la morte di una giornalista di ventotto anni sul fuoco della rabbia di un’intera parte di società. Che, a dispetto dei titoli di studio che si stringe al petto, ha perso gli strumenti per guardarsi dentro, per capire cosa le è successo: riesce solo ad urlare contro un nemico immaginario mentre affonda con esso tra le stesse fiamme.
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