Libia, una guerra tutta europea Perché l’Italia non deve perdere
di GLI OCCHI DELLA GUERRA (Luciana Coluccello)
Non c’è nessun altro posto nel mondo che sia così importante per la nostra politica estera come la Libia, dicono gli esperti di politica internazionale. La crisi libica, però, non fa notizia. Forse perché abbiamo sentito così tanto parlare di migranti rinchiusi nei lager libici, e di tragedie sulla rotta Libia-Italia (l’ultima l’altro ieri, quando un gommone è affondato e solo tre, di almeno 120 persone che erano a bordo, si sono salvate) che ormai siamo assuefatti.
Eppure, come italiani, dovremmo interessarci molto seriamente alla stabilizzazione di quel territorio che, nei giorni scorsi, ha visto le milizie rivali tornare a scontrarsi, venendo meno al “cessate il fuoco” imposto dall’Onu lo scorso settembre. Dovremmo, perché, come ha sostenuto senza giri di parole il professore della Luiss Germano Dottori durante il convegno “Libia, ieri, oggi domani”, organizzato il 17 gennaio scorso da Omega (Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica e Antropologia): “La guerra in Libia è stata una guerra contro l’Italia. Anche contro l’Europa, ma principalmente contro l’Italia”. Quell’Italia che l’anno prima, nell’agosto del 2010, aveva stretto accordi importantissimi con il colonnello Gheddafi e l’anno dopo si è vista costretta a bombardarlo: “D’altro canto, se non l’avesse fatto, l’Alleanza Atlantica, di cui anche noi facciamo parte, avrebbe bombardato anche i nostri impianti Eni – ricorda Dottori. Il governo italiano ha, quindi, reagito alla primavera libica adeguandosi agli eventi, prestando la propria forza militare a un progetto diretto contro i suoi interessi nazionali. Grazie a questa scelta siamo rimasti in partita, ma non nelle condizioni di essere noi i principali protagonisti del processo di cambiamento e di ricucitura del Paese”.
Terrorismo e sicurezza, migranti, energia. Se ci stanno a cuore questi temi, dovrebbe eccome starci a cuore anche quello che succede nella pancia libica. In questo senso, il convegno organizzato da Omega è stato un ottimo spunto di riflessione. Qualche posizione discordante, come è giusto che sia. Ma tutti, dagli inviati di guerra Alberto Negri e Ugo Tramballi, al medico fondatore di Amsi, Foad Aodi, all’esperto di Studi Strategici Germano Dottori, erano d’accordo su un punto: “La vera partita in Libia è una partita europea, o meglio intra-europea”. Una partita il cui esito “determinerà chi comanda in Europa”, soprattutto in un momento in cui l’amministrazione Trump preferisce non sporcarsi le mani direttamente, ma gioca da remoto, attraverso gli attori regionali, Arabia Saudita in primis.
La situazione sul campo
La questione più calda in questi giorni è quella del Fezzan (regione già interessata dal “Movimento della rabbia” che chiede più sicurezza e migliori servizi per il sud della Libia), su cui il governo di Tripoli (guidato da Fayez Al Saraj, sostenuto dall’Unsmil, la missione Onu in Libia) e quello di Bengasi (guidato dal generale Khalifa Haftar) sono intervenuti in modo diverso.
Il primo ha cercato di portare più interventi di stampo umanitario (come l’invio di carburanti e medicinali, sempre scarsi in quell’area, o la riattivazione delle centrali elettriche). L’azione di Haftar, invece, è stata più militare. Il dominus della Cirenaica (area a ridosso dell’Egitto) ha dato ordine di prendere il controllo nella zona sud-ovest della Libia al fine di “tutelare la sicurezza dei residenti da terroristi e gruppi criminali”. Considerata la presenza, in quella zona, di risorse strategiche come acqua, gas e soprattutto pozzi petroliferi, va da se quello che potrebbe essere in realtà il vero obiettivo dell’operazione.
In questo quadro frammentato, il piano dell’inviato Onu Ghassan Salamé era convocare l’Assembla Nazionale entro la fine di gennaio, con lo scopo di stabilire un dialogo tra i massimi esponenti della società civile.
Ma quanto è verosimile nell’immediato questa soluzione diplomatica? “Per niente”, sostiene Alberto Negri, secondo cui “è anche difficile che si riescano a tenere le elezioni parlamentari e il referendum costituzionale entro la primavera”.
L’operazione militare di questi giorni nel Fezzan ha rafforzato Haftar. A questo punto ci sono due possibilità. O Haftar diventa ancora più potente, e quindi potrà sedersi ad un tavolo diplomatico. Oppure persegue una soluzione militare di forza. Teniamo contro, però, che queste operazioni non sempre hanno successo in Libia, ed espongono il paese alle destabilizzazioni che abbiamo conosciuto in questi anni, Daesh in testa”.
Il ruolo dell’Italia in Libia
L’Italia, come al solito, troppo tardi si è accorta che doveva corteggiare anche attori diversi da Saraj. Forse perché, come è già successo su altri teatri, anche questa volta non avevamo una strategia politica ben definita a monte, ma ci siamo limitati ad adattarci alle scelte fatte da altri, con vantaggi evidentemente marginali per il nostro Paese.
Dice, a tal proposito, l’esperto di politica estera Ugo Tramballi: “La politica degli ultimi tre governi che si sono succeduti, più che essere una strategia è un’accusa ai francesi. É vero che francesi e inglesi hanno destabilizzato il territorio. Però i francesi almeno nel frattempo hanno fatto la loro politica. Accusarli, è un’autoassoluzione che nasconde il nostro errore fondamentale: per troppo tempo abbiamo sostenuto solo una parte, quella di Sarraj, governo legittimato da Ue e Nazioni Unite, mentre però sul campo c’era altro. E la Francia l’ha capito bene: da una parte sostiene Haftar, dall’altra, facendo parte di Ue e Nazioni Unite, rimane vicina a Sarraj”.
Tramballi pone poi un problema di credibilità della nostra politica estera. “Il vero ministro degli Esteri per i nostri interlocutori internazionali non è Enzo Moavero Milanesi, ma Matteo Salvini. Che però propone politiche commercialmente diverse da quelle del Movimento 5 Stelle. Risultato: perdiamo ulteriormente di credibilità. La continuità in una politica estera è fondamentale, e per i grandi Paesi è secolare. Per questo la Francia continua ad essere una grande potenza anche quando non lo è più. Se non c’è continuità in politica estera non sei credibile. Quindi, devi accettare che non puoi portare a casa quello che vorresti riguardo, ad esempio, il tema migranti”.
Rincara la dose Dottori: “Non bisogna dimenticare, infatti, che se l’Italia ha riconquistato qualche posizione in Libia, è grazie al fatto che la Francia si è trovata ad affrontare grandi problemi al suo interno, vedi i gilet jaunes che stanno scuotendo in profondità la società francese”. “Ciò che rende molto diversa la nostra politica in Libia rispetto a quella della Francia – continua il prof. Dottori – è che noi siamo presenti in quel territorio perché lì abbiamo Eni, lì c’è il petrolio. L’interesse nazionale francese, invece, è estendere a un territorio cruciale come la Libia l’area di Africa settentrionale sotto la loro preponderante influenza geopolitica. Controllerebbero, così, gli approvvigionamenti energetici che dall’Africa raggiungono l’Europa meridionale, bilanciando quello che fa la Germania con le forniture di gas e non solo”.
In sostanza, mentre i francesi usano i soldi per acquisire potere, agli italiani interessa l’utile economico. Un approccio che verrebbe da definire miope. “Ma fa parte della nostra cultura”, conclude Dottori: “Per noi la posta è economica, per altri è politica. Pensiamo alla Germania, che sarà tra i primi Paesi a riaprire la propria ambasciata a Tripoli, e non è un caso. Hanno bisogno di esserci, controllare da vicino quello che succede. Per questo la partita in Libia è intra-europea. E per questo noi dobbiamo rimanere pienamente ingaggiati. Siamo in una fase di debolezza, per quanto possiamo contare su un lontano appoggio degli americani. Ma possiamo usare altre leve per trarre i nostri vantaggi, quanto meno nella lettura dei processi: capiamo meglio quella società, nel bene e nel male tra noi e la cultura araba c’è molta più contiguità di quanta non ce ne sia tra loro e molti altri Paesi europei”.
Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/67183-2/
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