L’indipendenza che fa male ai lavoratori
L’anticipazione della recessione da parte di Conte ci rivela che in regime capitalista le autorità pubbliche più sono indipendenti più sono permeabili agli interessi padronali.
Le dichiarazioni di Conte, che ha anticipato di un giorno il rilascio ufficiale dei dati congiunturali sull’andamento del Pil da parte dell’Istat, hanno innescato la polemica con Renato Brunetta che dai banchi della c.d. opposizione chiede conto delle “capacità divinatorie” del Presidente del consiglio dei ministri, visto che l’Istituto di statistica, stando sempre al parlamentare azzurro, avrebbe smentito di aver preannunciato i dati a chicchessia.
Questa potrebbe anche sembrare una polemica senza importanza se non nascondesse una questione di una certa importanza. Gli addetti ai lavori sanno perfettamente che per elaborare questo tipo di dati il confronto con persone esterne è indispensabile e che, una volta ultimati i lavori, se ti chiama il Presidente del consiglio (e non solo) non c’è terzietà e autonomia che tenga. Anche perché, da statuto, l’Istat è un Ente pubblico di ricerca “sottoposto alla vigilanza della Presidenza del consiglio dei ministri”.
Ma questa non si sa quanto incauta rivelazione di Conte può far gioco a chi, paventando interferenze governative – magari utilizzando lo spauracchio di quanto successo in Grecia dove i dati venivano malamente truccati – punta a passare nell’Istat e sopratutto fuori, dalla padella della “autonomia” alla brace della “indipendenza”.
Il problema, però, è che questa dell’indipendenza di alcune istituzioni pubbliche rispetto agli organi dello Stato (in particolare governo e parlamento) è un mantra che le grandi istituzioni internazionali, Ocse, Fmi, Ue, ecc vanno ripetendo da oltre trent’anni. E con tanta forza che in Italia, a partire dagli anni novanta del XX secolo e grazie ai governi di centrosinistra, si sono venute creando dodici autorità amministrative indipendenti (le c.d. Authority) [1]. Si noti che dall’elenco (preso da Wikipedia) è esclusa la regina di tutte le autorità indipendenti: la Banca d’Italia.
Stando alla propaganda, il ruolo di dette autorità è quello di tutelare gli interessi pubblici e della collettività in quei settori economici e di rilevanza sociale caratterizzati da numerose categorie di interessi ed operatori. La nomina parlamentare o governativa dei componenti, infine, sarebbe volta ad assicurare l’indipendenza e la terzietà dell’autorità nel suo complesso, rispetto agli interessi degli attori in gioco.
In realtà, l’unica indipendenza che muove la necessità di costruire tali autorità è quella dai poteri pubblici sottoposti a controllo e verifica da parte della cittadinanza. Queste autorità, infatti, avocano funzioni normative (creazione di regolamenti), amministrative (funzioni di controllo e vigilanza) e talvolta giurisdizionali (o paragiurisdizionali) tipicamente appartenenti agli organi rappresentativi dei poteri dello Stato (parlamento, governo, magistratura).
Ma per quanto siano funzionali agli interessi della borghesia – ed in regime capitalista non potrebbe essere altrimenti – il parlamento, il governo e la magistratura che abbiamo noi oggi sono molto più democratici e permeabili alle istanze dei lavoratori di qualunque autorità amministrativa indipendente, il cui funzionamento è talmente tanto trasparente da sparire, come un vetro perfettamente lucidato.
Si pone dunque il problema che i poteri normativi delle autorità indipendenti sono illegali in quanto esercitati senza che esistano norme di legge che ne indirizzino il contenuto. Le leggi istitutive delle autorità amministrative, infatti, si limitano ad autorizzare l’esercizio dei loro poteri regolatori delegando a ciascuna di esse la disciplina sostanziale (vale a dire le decisioni sul merito delle questioni).
Detto in parole povere, non è più l’organo democraticamente eletto (il parlamento) che decide cosa si può o non si può fare e neanche il governo che è legato al parlamento da un rapporto di fiducia ma un’altra autorità non eletta da nessuno ed i cui vertici non sono revocabili ma solo sostituibili a fine mandato.
Questo ennesimo arretramento del diritto borghese, ovviamente di derivazione anglosassone e penetrato in Italia per adeguare il nostro ordinamento a quello europeo, secondo alcuni troverebbe comunque un fondamento legale nelle direttive comunitarie che impongono le privatizzazioni, le liberalizzazioni e dunque la trasformazione dello Stato da “imprenditore” a “regolatore”. Per altri, invece, la sostanziale equiordinazione dei regolamenti delle autorità alla legge non risulta ancora complessivamente giustificata, poiché il diritto comunitario lascia alla giurisdizione nazionale di ciascuno Stato l’organizzazione del rapporto tra le sue fonti interne e quindi il problema tornerebbe ad essere quello di partenza.
Secondo costoro, quindi, e secondo la giurisprudenza amministrativa, il fondamento ultimo della potestà normativa delle autorità amministrative indipendenti sarebbe da rintracciarsi nella partecipazione dei soggetti destinatari dell’atto alla sua formazione. Ma come, queste autorità non dovevano essere indipendenti? Evidentemente no!
Tanto è vero che la giurisprudenza amministrativa ha messo in evidenza l’essenzialità del contraddittorio, ritenuto necessario per produrre non solo gli atti amministrativi (come prevede la legge) ma anche i regolamenti, cosa che la legge vieta espressamente (art. 13 L. 241/1990). In tal modo, secondo la sempre autorevole dottrina, verrebbe a configurarsi una sorta di ‘legittimazione dal basso’ delle Autorità indipendenti e dei loro poteri normativi.
Capito che le autorità amministrative non sono indipendenti dai diretti interessati c’è da capire da chi dipendono. La cosa risulta abbastanza chiara se si vede che a poter intervenire nelle loro faccende sono solo i diretti interessati, vale a dire quei soggetti nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti (positivi o negativi). E col contraddittorio di cui sopra, i soggetti interessati possono prendere visione degli atti del procedimento e presentare memorie scritte, documenti, ecc che l’amministrazione ha l’obbligo di prendere in considerazione. Dunque, sono le lobby di settore a farla da padrone, con tanti saluti a quel minimo controllo pubblico che il proletariato era riuscito a strappare.
L’opera di creazione di autorità indipendenti, tuttavia, non è ancora conclusa. L’obiettivo ultimo, infatti, è quello di delegare ad un’autorità le decisioni in materia fiscale in modo da “depoliticizzarne” le decisioni, sulla scorta di quanto avvenuto con la politica monetaria posta in mano a banche centrali “indipendenti” (dai governi non certo dai mercati). Un obiettivo ambizioso che ha trovato nella creazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio una sua prima attuazione e potrebbe trovare nella progressiva indipendentizzazione dell’Agenzia delle entrate e della riscossione un secondo momento di concretizzazione.
Note
Le autorità amministrative indipendenti al momento sono: L’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), L’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA), L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), La Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (CGS), La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), La Commissione nazionale per le società e la Borsa (CONSOB), Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (GNPL), Il Garante per la protezione dei dati personali (Privacy), L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS).
Fonte: https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/l-indipendenza-che-fa-male-ai-lavoratori
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