Belt and Road Initiative: una nuova forma di relazioni internazionali
di MARX XXI (Fabio Massimo Parenti)
In questo contributo ragioneremo sulle implicazioni dell’iniziativa d’interconnessione intercontinentale cinese a partire da due domande.
Espansionismo cinese in Africa o nuove forme di cooperazione?
La Cina in Africa e la Belt and Road
Diciotto anni di cooperazione Cina-Africa stanno producendo un cambiamento sostanziale delle condizioni materiali dell’Africa.
Calcolando l’insieme dei flussi di capitali cinesi verso l’estero, fenomeno piuttosto recente per la Repubblica popolare, dopo l’Asia, prima in assoluto, è l’Africa ad aver percepito il grosso delle sue risorse finanziarie, superiori a Europa e Usa dove pure gli investimenti cinesi sono aumentati considerevolmente. Etichettare questo espansionismo cinese come “neocolonialismo” dimostra la non conoscenza della storia cinese e soprattutto delle sue modalità di proiezione internazionale. L’Africa è inserita nell’iniziativa della “Belt and Road”, che nella pratica nasce prima ancora del suo lancio ufficiale. Molti collegamenti euroasiatici e investimenti in questa direzione avevano già preso forma prima del 2013.
Per la Cina la BRI è un progetto comune che non dovrebbe essere concepito come cinese tout court. Non è un caso che le più recenti iniziative d’investimento promosse da Usa, Giappone, India e Australia, così come il piano strategico di interconnessione europeo, lanciato pochi mesi fa, vengono visti dai cinesi come una emulazione positiva e costruttiva del senso della BRI. Una sorta di compartecipazione attiva per realizzare una “comunità umana dal destino condiviso”. Per comprendere a fondo questo punto bisognerebbe approfondire la diplomazia cinese e il significato attribuito alla cooperazione internazionale. Cerco di sintetizzare alcuni aspetti di questa cooperazione cinese con la slide seguente, dove si mette in evidenza un obiettivo supremo rispetto ai bisogni economici cinesi: la stabilizzazione di macroregioni e continenti tramite la promozione dello sviluppo, scevro da discriminanti ideologiche. Inoltre, nella stessa slide e in quella successiva vi sono indicate le nuove tratte ferroviarie che favoriscono interconnessione interna, condizione necessaria per la nascita di moderni mercati regionali africani.
Si consideri inoltre che questa modalità di proiezione all’estero nasce dai successi conseguiti dalla Cina al livello domestico, in materia di centralità degli investimenti fissi in infrastrutture per lo sviluppo dei mercati interni e un più generalizzato sviluppo economico-sociale.
Ciò si evince da una serie di strategie che progressivamente si sviluppano, attraverso una articolata pianificazione pluriennale, verso l’esterno. Ecco un’altra slide che sintetizza alcuni passaggi dell’evoluzione istituzionale.
Nel 2017 i leader africani ed europei si sono riuniti in Costa d’Avorio per rafforzare i legami politico-economici e affrontare le linee di cooperazione per il futuro. Nel 2018, la Cina ha ospitato il vertice FOCAC a Pechino per indirizzare ulteriormente le direzioni di cooperazione. Il nuovo piano di investimento per i prossimi tre anni consta di altri 60 miliardi di investimenti in vari settori economici.
Comparare Europa e Cina in Africa
Sia l’UE che la Cina hanno avuto relazioni storiche con l’Africa, entrambi hanno bisogno delle sue risorse e, soprattutto, della sua stabilizzazione. Tuttavia, i percorsi relazionali sono stati radicalmente diversi: schiavitù, colonizzazione, evangelizzazione e sfruttamento senza sviluppo nel primo caso; anti-colonialismo, anti-imperialismo, lotta per l’indipendenza nazionale nel secondo caso.
La strategia congiunta Africa-UE, definita nel 2007, ha cercato di sviluppare una visione condivisa e principi comuni. Il quadro della cooperazione internazionale tra l’UE e i paesi ACP è un’altra forma attraverso cui l’Europa si è relazionata all’Africa in molti campi sin dagli anni Cinquanta. In entrambi i casi, le dichiarazioni sulla parità di partenariato e sui processi decisionali comuni non hanno mai corrisposto a una reale reciprocità.
Durante secoli di contatti con l’Africa, non possiamo individuare l’inizio di un vero sviluppo in termini di industrializzazione e modernizzazione. La precedente conquista e colonizzazione ha sostituito, in fase post-coloniale, l’ingresso economico e militare degli Stati Uniti e nuove forme di sfruttamento occidentale attraverso la supremazia tecnologica e i mezzi finanziari. Tutti gli interventi occidentali in Africa sono stati legati a condizionalità politico-economiche e a varie forme di interferenza negli affari interni dei singoli paesi. Per ricevere aiuti o prestiti ogni paese è stato obbligato a seguire determinate condizioni politiche preliminari.
Le crisi del debito sovrano in Africa nel corso degli anni Ottanta e Novanta, e in altri paesi di recente indipendenza, derivano da questa modalità di gestire l’internazionalizzazione del sistema creditizio, centrato sul dollaro, sin dalla fine degli anni Settanta. Sfortunatamente, lasciare l’Africa in condizioni di dipendenza dall’Europa è stata una strategia. Altrimenti, non si può capire perché l’Europa non si sia mai impegnata nella costruzione di infrastrutture di base per collegare internamente le regioni africane. Altrimenti, non si può capire perché non sia stato sostenuto lo sviluppo di alcun collegamento aereo autonomo. Altrimenti, non si può comprendere l’entità del sottosviluppo se non consideriamo, ad esempio, il controllo militare e finanziario di Parigi, anche sotto forma di emissione di valuta, ancor oggi nell’Africa occidentale. Per non parlare del più recente intervento “umanitario”, sotto l’etichetta della “responsabilità di proteggere”, che ha distrutto la Libia e favorito la diffusione del terrorismo.
“Dopo l’indipendenza africana, l’Europa sta ancora tentando di dominare l’Africa attraverso la cultura, la lingua, la religione, la finanza e la tecnologia – ha scritto il generale in pensione Giorgio Spagnol. Non c’è dubbio che l’Africa è ancora una volta alla fine della partnership Europa-Africa. Definendo e imponendo modelli politici per la gestione dei paesi africani, l’Europa sembra determinata a mantenere il modo in cui il partenariato Africa-Europa è attualmente strutturato”.
Contrariamente, se guardiamo all’approccio cinese all’Africa, abbiamo un senso di cooperazione concreta. Di maggiore reciprocità. Abbiamo evidenza di un diverso modello di cooperazione che potrebbe diventare un riferimento per il mondo intero, e in particolare un’opportunità per l’Europa di cooperare in modo diverso con l’Africa, integrando le azioni cinesi.
Prime ferrovie, satelliti, programmi di formazione congiunti, investimenti in campo ambientale, copiosi investimenti in scuole, ospedali, zone economiche speciali, ecc. Alla ricerca del soddisfacimento dei suoi bisogni – terra, materie prime, energia, mercati – la Cina sta stabilendo relazioni reciprocamente vantaggiose con molti paesi africani, come riconosciuto, tra i molti, dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ha dichiarato: “la cooperazione tra Cina e Africa è fondamentale per il successo africano e contribuisce allo sviluppo globale e alla pace”.
Mettere in atto piani per lo sviluppo e la stabilizzazione dell’Africa è fondamentale sia per la Cina che per l’Europa, è l’unica vera risposta strutturale alle crisi migratorie, alla diffusione del terrorismo e al sottosviluppo. È allo stesso tempo una grande opportunità, ma basata su un diverso approccio culturale, che implica il rispetto reciproco. L’Italia, al centro del bacino del Mediterraneo, alla periferia europea, ai confini africani, europei e asiatici, ha espresso e proposto una nuova piattaforma di cooperazione dell’UE con la Cina in Africa. Il mio auspicio è che l’Italia possa essere in grado di influenzare l’UE in questa direzione, come nell’intenzione ufficiale del sottosegretario Michele Geraci e dell’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi.
La Belt and Road Initiative: minaccia od opportunità per i porti europei?
Dovremmo essere consapevoli che il sistema internazionale sta attraversando un processo di grandi cambiamenti, caratterizzato da “movimenti tettonici” di natura geo-economico-politica, data la loro intensità e natura strutturale. Due esempi: nel 1995, la quota globale del traffico merci Europa-Asia era del 27% e quella transpacifica del 53%; dopo 20 anni, questi numeri sono rispettivamente del 42% e del 44%. In secondo luogo, nel 2001 la macro regione mediterranea ha assorbito il 34% del traffico proveniente da Suez, nel 2016 questa quota è salita al 56% (Fardella e Prodi 2017). Siamo di fronte ad un chiaro e strutturale riequilibrio nella geografia economica globale. Allo stesso modo, possiamo trovare cifre interessanti anche nel campo dell’energia e dei settori finanziari (si veda, ad esempio, Parenti 2010, 2018). Non è un caso che la Cina si stia muovendo dal Pireo ai Balcani, dalla Turchia all’Algeria, dalla Spagna all’Italia(?). Con numerose acquisizioni di porti mediterranei (si vedano le varie acquisizioni https://infogram.com/porti-cinesi-in-europa-1hxj481x5m152vg). In questo quadro l’Italia è indietro, ma potrebbe ancora cogliere il treno se fosse in grado di avere piani nazionali e una politica a una sola voce, in queste materie strategiche che, appunto, richiedono sistema e non solo la buona volontà dei singoli. Taranto era in trattativa, poi bloccata per via di inefficienze locali e assenza di piani nazionali. Livorno è stata oggetto di interessi cinesi, ma ahinoi si è preferito al momento continuare a dar spazio ad un uso militare non alternativo, come si evince dal sostegno ai traffici del programma del Pentagono Marittime Security. Traffici che riforniscono le armi alle guerre mediorientali tramite l’Arabia Saudita. Trieste ha trattative aperte e lì sembra si stiano muovendo passi rilevanti per attrarre investimenti cinesi; idem per Genova. L’unica acquisizione di rilievo al momento è quella del 40% del porto di Vado Ligure. Gli interessi cinesi verso l’Italia, spesso disattesi a causa di inefficienze italiche, potrebbero arrecare numerosi vantaggi se adeguatamente intercettati, altrimenti, è meglio l’immobilismo, poiché si rischierebbe di svendere senza mettere a valore nuove partnership strategiche. E non dimentichiamo che in primavera Xi Jinping arriverà in Italia anche per parlare di BRI.
*L’autore è professore associato di Geografia (ASN) e docente internazionale all’International Institute Lorenzo de’ Medici, Firenze, dove insegna Global Financial Markets, Globalization and Social Change, China’s Development e War and Media. E’ anche membro del CCERRI, think tank, Zhengzhou, e EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinanza e geopolitica, Egea, tradotto anche in inglese. Su twitter @fabiomassimos
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