La partecipazione politica: i partecipanti esterni.
di ALDO GIANNULI
Nel quindicennio immediatamente successivo alla guerra, in Italia (ma anche in Germania o Francia) lo spazio della partecipazione politica era quasi totalmente assorbito dai partiti politici o in forma diretta (con l’iscrizione e il voto) o indirettamente (attraverso la partecipazione all’associazionismo caudatario a partire dai sindacati).
Poi, man mano, l’associazionismo collaterale si autonomizzò (come i sindacati) o si estinse più o meno in fretta. Con il sessantotto (ma, in fondo, la prima traccia si trova già nelle “magliette a righe” del luglio sessanta) esplosero i movimenti sociali spontanei, spesso in aperta competizione con i partiti e, sulla loto scia, nacquero una miriade di associazioni di vario tipo (culturale, ambientale, sessuale, pacifista, di interesse di categoria, di volontariato eccetera) tutti più o meno distanti da ciascun partito.
Pur non considerando il caso particolare dei sindacati, oggi in Italia ci sono molti più iscritti a questo genere di organizzazioni che ai partiti i cui iscritti non raggiungono complessivamente il milione, mentre le varie organizzazioni di volontariato ne raggruppano circa il triplo.
Questo ha modificato il funzionamento complessivo del sistema in almeno due direzioni: da un lato questo ha privilegiato la domanda politica settoriale a scapito delle strategie complessive, dall’altro, ha indebolito i partiti creando canali di trasmissione alternativi della domanda politica-.
D’altra parte le stesse associazioni hanno una limitatissima capacità di influenzare il voto dei propri aderenti, anche perché spesso essi partecipano a più organizzazioni che, magari, danno indicazioni contrastanti. In passato, le associazioni avevano il loro canale di contatto con i partiti attraverso il gioco delle correnti democristiane o socialiste, mentre, nel caso del Pci, la dinamica passava piuttosto attraverso il gioco delle diverse istanze regionali o provinciali o direttamente in rapporto con la segreteria nazionale.
Oggi questo passa attraverso una molteplicità di forme, dalla formazione di partiti tematici (i radicali con i diritti civili, i verdi con l’ambiente, la Rete con il movimento antimafia , l’Idv come partito di supporto alla magistratura ecc e in fondo anche il M5s è stato, almeno in partenza, questo con la sua polemica sull’onestà) o attraverso manovre trasversali ai diversi partiti, o con la presentazione di proposte legge di iniziativa popolare o domande di referendum (per tutti si pensi a quello sulle trivelle del 2016).
L’insieme di queste fenomenologie finisce per modificare il comportamento degli stessi partiti che si affidano sempre più al ruolo del loro capo pro tempore, scambiato per un capo carismatico che, in realtà, dura assai poco.
Dei partecipanti esterni fanno parte anche gli “osservatori esterni”, assai meno numerosi ma, per certi versi, più influenti: giornalisti ed intellettuali realmente indipendenti (questi sono proprio pochi), ma anche varie figure di influencer che vanno da quella tradizionale del docente, o dell’organizzatore culturale ecc a quella più recente, ma discretamente numerosa dei blogger o di quanti agiscono attraverso i social, e, sempre più spesso, si tratta di attivisti non legati ad alcun partito ma ciascuno in grado di influenzare alcune centinaia di persone (quando non migliaia).
Questa forma di partecipazione politica ha conosciuto una forte espansione grazie al web ed in particolare attraverso i social media e sembra destinata a diventare sempre più rilevante, alimentando nuove forme di minoranze attive.
Anche questo ha modificato il funzionamento della politica: da un lato ha indebolito i media tradizionali (giornali stampati in testa, ma anche le edizioni web devono vedersela con una concorrenza agguerritissima), dall’altro ha reso molto più fluido ed imprevedibile il comportamento elettorale.
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/la-partecipazione-politica-i-partecipanti-esterni/
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