“La situazione in Europa peggiorerà. Perché Brexit è stato solo l’inizio”
di GLI OCCHI DELLA GUERRA (Roberto Vivaldelli)
John J. Mearsheimer è uno dei più importanti e influenti studiosi di relazioni internazionali al mondo. Distinto professore di Scienze Politiche presso l’Università di Chicago, Mearsheimer è un noto esponente della scuola del realismo politico contemporaneo, che ha radici e tradizione in Machiavelli, Hobbes, fino a capisaldi del Novecento come Edward Hallett Carr, Hans Morgenthau, Kenneth N. Waltz.
Nel suo celebre lavoro The Tragedy of Great Power Politics del 2001 (in italiano: La logica di potenza. L’America, le guerre, il controllo del mondo) Mearsheimer ha definito la teoria strutturale del “realismo offensivo”, secondo la quale le grandi potenze “sono impegnate principalmente a studiare il modo di sopravvivere in un mondo in cui non esiste alcuna agenzia che le protegga l’una dalle altre”, quindi in un sistema sostanzialmente anarchico.
Lo scorso settembre, lo studioso americano ha pubblicato The Great Delusion. Liberal Dreams and International Realities(Yale Press University) la cui pubblicazione ha generato un grande dibattito negli Stati Uniti, tant’è il Financial Times lo ha inserito tra le più importanti opere del 2018. Secondo il professore, sposando l’egemonia liberale dopo la fine della Guerra fredda, la politica estera degli Stati Uniti è stata un fallimento dietro l’altro. Ciò è dovuto a una visione distorta della politica internazionale. Abbiamo raggiunto Mearsheimer per parlare del suo ultimo lavoro, della politica estera dell’amministrazione Trump e del futuro dell’Unione europea.
Professore, The Great Delusion. Liberal Dreams and International Realities è un lavoro che riflette sulla politica estera adottata dagli Stati Uniti dalla fine della Guerra fredda ad oggi. Nel libro, spiega come l’egemonia liberale sia stata un’enorme delusione. Cosa ha portato gli Stati Uniti ad abbracciare questa strategia profondamente ambiziosa?
Ci sono una serie di fattori che hanno portato gli Stati Uniti a perseguire l’egemonia liberale. In primo luogo, l’avvento dell’unipolarismo significava che gli Stati Uniti non avevano più grandi potenze rivali, perché erano per definizione l’unica grande potenza del sistema. Dato il loro immenso potere, non dovevano più impegnarsi in politiche di balance of power. Non dovevano più agire secondo i dettami del realismo, e quindi erano liberi di perseguire una politica estera ideologica. Ciò non sarebbe stato possibile né in un sistema bipolare, come quello che abbiamo avuto durante la Guerra fredda, né nel mondo multipolare in cui ci stiamo ora muovendo. L’unipolarismo, in breve, ha permesso agli Stati Uniti di perseguire l’egemonia liberale. Secondo, gli Stati Uniti sono un Paese profondamente liberale che crede che la democrazia liberale sia il miglior regime politico possibile e che se tutti i Paesi del pianeta fossero democrazie liberali, il mondo sarebbe un posto molto migliore. Questo tipo di pensiero ha dato un forte impulso a fare una crociata per diffondere la democrazia liberale in tutto il mondo. Terzo, gli Stati Uniti e i loro alleati dell’Europa occidentale pensavano che sarebbe stato abbastanza facile diffondere la democrazia liberale, perché credevano che le persone che vivevano in stati autoritari volevano invece vivere in una democrazia. Quindi, una volta rovesciato dal potere un leader autoritario come Saddam Hussein, sarebbe stato facile trasformare l’Iraq in una democrazia liberale. In breve, gli Stati Uniti erano pronti ad adottare l’egemonia liberale perché era estremamente potente, e allo stesso tempo erano convinti che sarebbe stato facile diffondere la democrazia liberale, che avrebbe dovuto essere la panacea per gran parte dei problemi del mondo.
L’élite della politica estera americana ha preso coscienza degli errori commessi negli ultimi 30 anni?
Non c’è dubbio che molte persone nell’establishment della politica estera americana comprendano che l’egemonia liberale è stata un fallimento. Ci sono semplicemente troppe prove del fallimento di tale politica. Basta guardare tutte le morti e il caos che gli Stati Uniti hanno contribuito a creare nel Grande Medio Oriente. È davvero sorprendente quanto poco successo abbiano avuto gli Stati Uniti nel diffondere la democrazia liberale in quella regione. Inoltre, quasi tutti riconoscono che l’”engagement” con la Cina è fallito, e che sebbene l’espansione della Nato e dell’Ue abbia avuto alcuni successi iniziali, poi si è scontrata contro un muro in Georgia nel 2008 e in Ucraina nel 2014. Il risultato sono le relazioni velenose tra la Russia e l’Occidente. È anche importante sottolineare che da quando Donald Trump ha ricoperto la carica di presidente nel 2016, ha costantemente sottolineato i fallimenti dell’egemonia liberale. E ha vinto le elezioni! Se poi l’élite della politica estera abbia appreso le giuste lezioni dai suoi errori passati, questa è un’altra questione.
Lei sostiene che la democrazia liberale sia probabilmente la migliore forma di governo ma il liberalismo in politica estera è pericoloso. Perché?
In The Great Delusion ho sottolineato che la democrazia liberale è il miglior tipo di sistema politico nel mondo e che sono molto grato di essere nato e cresciuto negli Stati Uniti. Tuttavia, penso che il liberalismo come sistema politico e il liberalismo come politica estera, siano due cose diverse. Una politica estera come l’egemonia liberale è destinata a fallire perché invariabilmente si scontra con il nazionalismo e il realismo, che sono forze molto più potenti del liberalismo. Ad esempio, il nazionalismo è un’ideologia che privilegia i concetti di autodeterminazione e sovranità. Gli Stati-nazione (e viviamo in un mondo pieno di Stati-nazione) non amano l’idea che altri Paesi interferiscano nelle loro politiche interne. Basta pensare a quanto gli americani si arrabbino quando sentono dire che la Russia ha interferito nelle elezioni presidenziali del 2016. L’egemonia liberale, tuttavia, richiede che gli Stati Uniti interferiscano nelle politiche dei Paesi di tutto il pianeta. Chiede agli Stati Uniti di fare ingegneria sociale su larga scala, invadendo e conquistando Paesi, se necessario. Questa politica con ogni probabilità rischia di generare risentimento e resistenza che alla fine la indeboliranno. E per ragioni realistiche, la Russia resisterà all’espansione della Nato. Potrei aggiungere che l’egemonia liberale fa male alla democrazia liberale sul fronte interno. Nello specifico, questa politica altamente ambiziosa porta a guerre interminabili e alla costruzione di uno “Stato di sicurezza nazionale” sempre più potente, che sicuramente minerà le libertà civili all’interno degli Stati Uniti.
L’emergere della Cina come grande potenza e il risveglio della Russia obbligheranno gli Stati Uniti a tornare al realismo?
L’ascesa della Cina e la rinascita della potenza russa negli ultimi anni hanno messo fine al “momento unipolare” e hanno portato all’emergere del multipolarismo. Ciò significa che il realismo è tornato e che Cina, Russia e Stati Uniti dovranno competere tra loro per il potere. Significa anche che l’egemonia liberale è effettivamente finita come grande strategia, dal momento che gli Stati Uniti non sono più liberi di perseguire una grande strategia basata sull’ideologia. Ora devono concentrarsi sulla politica di balance of power.
In Teoria della politica internazionale, Kenneth N. Waltz sostenne che la transizione dall’ordine multipolare a quello bipolare favorì l’integrazione europea. Nel 1990 lei scrisse Back to the Future: Instability in Europe after the Cold War. Il futuro dell’Europa sarà nel nome di una maggiore integrazione o di una probabile disgregazione?
Non credo che il futuro dell’integrazione europea, che in realtà significa il futuro dell’Ue, avrà molto a che fare con il passaggio attuale dall’unipolarismo al multipolarismo. Credo che l’Ue sia nei guai e che la situazione possa peggiorare, non migliorare, nel tempo. Parte del problema è l’euro, che non funziona bene senza l’integrazione fiscale e politica – e questo non accadrà. Un altro aspetto del problema è la libera circolazione dei popoli all’interno dell’Ue, che tende ad alimentare il nazionalismo. La Brexit, ad esempio, è stata causata in buona parte dall’infelicità britannica per il gran numero di europei dell’Est che si erano trasferiti in Gran Bretagna. E se ci sarà un’altra ondata di rifugiati in Europa, ciò causerà enormi problemi. Molti europei ritengono inoltre che i loro Paesi abbiano consegnato troppa autorità o sovranità a Bruxelles, che non è responsabile nei confronti degli elettori nei vari Paesi europei. In sostanza, esiste un “deficit democratico” che genera ostilità verso l’Ue, specialmente quando non sta andando bene economicamente. Non penso che l’Ue si disintegrerà, ma è in seri guai e non sembrano esserci molte soluzioni praticabili sul tavolo.
Ultima domanda sull’Iran: Teheran rappresenta una minaccia diretta per gli Stati Uniti come sostengono alcuni liberali e neoconservatori?
L’Iran non è una minaccia diretta per gli Stati Uniti. Non è nemmeno una minaccia indiretta. Primo, l’Iran non ha armi nucleari e ha firmato un accordo con le maggiori potenze mondiali che rende impossibile per Teheran sviluppare armi nucleari nel prossimo futuro. Secondo, l’Iran non ha missili che possano colpire la popolazione degli Stati Uniti. Terzo, l’Iran ha forze convenzionali deboli, che non possono essere utilizzate contro gli Stati Uniti o in qualsiasi altro Paese del Medio Oriente sotto l’ombrello della sicurezza americana. In quarto luogo, l’Iran non rappresenta una seria minaccia per attaccare un altro Paese nella sua regione. Non ha lanciato una guerra contro un altro Paese nemmeno una volta nei tempi moderni, e non ci sono prove che stia ora preparando l’offensiva contro i suoi vicini. In quinto luogo, l’Iran non è la fonte del problema del terrorismo americano. Nella misura in cui un singolo Paese merita questo titolo, questo è l’Arabia Saudita, non l’Iran. La verità è che sono gli Stati Uniti che rappresentano una minaccia diretta per l’Iran, non il contrario. L’amministrazione Trump, come fortemente suggerito da Israele e Arabia Saudita, ha la pistola puntata sull’Iran. L’obiettivo è il cambio di regime, e ci sono molte evidenze che dimostrano che gli Stati Uniti potrebbero impiegare la forza militare per raggiungere questo obiettivo.
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