Premesso che proprio un secolo fa Benedetto XV firmava la lettera apostolica Maximum Illud, il segretario di stato vaticano Parolin ne ricorda l’essenza: le missioni non sono un’estensione della cristianità occidentale, ma l’espressione di una Chiesa che vuole essere veramente universale. E quella lettera era un messaggio rivolto anzitutto alla Cina.
Per capire appieno occorre tener presente che c’è un passato non tanto ignorato, quanto rimosso. È quello del cristianesimo cinese, un cristianesimo che si esprimeva attraversi simboli tutti suoi, peculiari, come l’unione del fiore di loto e del crocifisso. Questo cristianesimo è stato dimenticato, come la sua felice convivenza nei secoli antichi, precedenti i grandi concilii che definirono la famosa ortodossia bizantina, poco incline – per così dire- ad accettare chi da allora divenne eretico. Questa storia dimenticata dimostra come il cristianesimo dei primi secoli, fiorente in tutto l’Oriente, anche in Cina, abbia saputo vivere e convivere con sistemi filosofici diversi da quello greco e latino. La vita culturale cristiana dimostrò a quel tempo di poter essere profonda e ricca in contesti filosofici e culturali non “europei”, ma buddhisti, confuciani e ancora.
La grande storia nestoriana non ha oggi epigoni, eppure ha un grande valore, un significato globale che non va trascurato, anzi, andrebbe riscoperto. Un passo necessario per avviare questa riscoperta non è certo quello di tornare al nestorianesimo, ma capire la non estraneità della fede cristiana a universi filosofico-culturali diversi dal nostro. Immaginare confini come “antemurales christianitatis” lo impedisce. Un messaggio universale non può avere confini, neanche politici. Discutere un sistema a partito unico, ad esempio, è naturale per una religione che crede nella pluralità di ogni identità e non può accettare confini alla libertà di pensiero. Proprio per questo la libertà religiosa in Paesi simili è fondamentale, perché è una premessa per arrivare alla libertà di pensiero. Concepire invece una Chiesa come nemica di un sistema e soprattutto alleata dei suoi nemici è il peggior viatico all’assolutizzazione del sistema a partito unico, o del pensiero unico. È poi di superiore valore questo discorso se riferito al caso cinese dove l’imperatore, poi segretario generale generale del partito, è il figlio del cielo. E che il figlio del cielo riconosca il vescovo di Roma a capo della Chiesa cinese è un fatto gigantesco.
Si può considerare l’apertura vaticana alla Repubblica Popolare Cinese come la più grande sfida culturale del tempo presente, la più grande opportunità offerta al cristianesimo di farsi nuovo collante di una fratellanza universale. Va letta così, a mio avviso, la prefazione del cardinale Pietro Parolin, segretario di stato vaticano, al nuovo libro di padre Antonio Spadaro, “La Chiesa in Cina, un futuro da scrivere.” Per scrivere qualsiasi futuro bisogno tener presente presente e passato, e così il cardinale Parolin osserva correttamente: “Senza nulla tralasciare del tesoro spirituale delle comunità cattoliche locali, e specialmente facendosi carico delle gravi sofferenze e incomprensioni vissute dai cattolici cinesi nel corso di tanti anni, siamo chiamati a fare memoria e, insieme, a scrivere una pagina nuova per il futuro della Chiesa in Cina”.
Questo futuro è innanzitutto cura per i cristiani che ci sono e infatti il cardinale Parolin aggiunge: “Proprio al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina, l’8 settembre 2018 il Santo Padre Francesco ha accolto nella piena comunione i restanti sette Vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio. Così, dopo tanti decenni, tutti i Vescovi in Cina sono oggi in comunione con il Sommo Pontefice”, sottolinea, ricordando anche la successiva partecipazione, per la prima volta, di due vescovi della Cina continentale al Sinodo dell’ottobre scorso. La Chiesa in Cina ha bisogno di “unità”, di “fiducia” e di “un nuovo slancio pastorale”. Quindi restano problemi aperti, non a caso l’accordo sulla nomina dei Vescovi del 22 settembre 2018 è ancora provvisorio. Per Parolin l’urgenza è il cammino dell’unità non ancora interamente compiuto e la riconciliazione tra i cattolici cinesi e le rispettive comunità. Da qui l’urgenza anche in Cina – dice – dell’avvio di un “cammino serio di purificazione della memoria”.
Traspare qui un problema evidente: chi ha ostacolato o ostacola il cammino non certo facile di questo disgelo ha a cuore la situazione e la vita reale dei cristiani cinesi e dei loro connazionali o la trasformazione del cristianesimo cinese in un’ideologia? Il dubbio è reso legittimo dal fatto che un’intesa non può avere un orizzonte limitato all’oggi, alla miglior cura del presente: la Santa Sede si augura di poter collaborare con la Cina anche sui temi della pace, dell’ambiente, dell’incontro tra le culture, “favorendo la pace e aspirando al bene dell’umanità”. La Chiesa “non dimentica il sacrificio di tanti suoi figli in Cina, ma proprio guardando al loro esempio si interroga sui modi più opportuni per raggiungere coloro che ancora non conoscono la Buona Novella e si attendono una testimonianza più alta da parte di quanti portano il nome cristiano”.
“L’urgenza dell’evangelizzazione offre anche una prospettiva capace di superare molte questioni particolari indirizzandole verso un approccio unitario, in cui teologia, diritto e pastorale – non esclusa pure la diplomazia – si fondano in modo creativo e costruttivo. È sotto gli occhi di tutti che, anche oggi, la sollecitudine del papa per la Chiesa e il Popolo cinesi incontra ancora resistenze e opposizioni.” Che alcune di queste resistenze e opposizioni siano presenti tanto nel regime cinese quanto nelle gerarchie è evidente. Gli opposti sono sovente molto diversi, ma i loro nemici sono facilmente gli stessi.
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