La guerra tecnologica tra Usa e Cina passa per le terre rare della Mongolia Interna
di LIMESONLINE.COM (Giorgio Cuscito)
La regione autonoma rappresenta oltre la metà della frontiera tra il nucleo geopolitico della Cina e le minacce provenienti da Nord. I suoi grandi giacimenti minerari possono essere un fattore nello scontro tra Pechino e Washington.
Carta di Laura Canali
Il Bollettino Imperiale è l’osservatorio settimanale di Limes dedicato all’analisi geopolitica della Cina e alle nuove vie della seta. Grazie al sostegno di TELT. Puoi seguirci su Facebook e Twitter.
Questa è la settima analisi di “Cina-Cine”, il ciclo mensile (interno al Bollettino Imperiale) di articoli sulle aree geopoliticamente più rilevanti dell’Impero del Centro. Le prime sei puntate sono state dedicate al delta del Fiume delle Perle, al Guizhou, allo Shaanxi, allo Yunnan, ad Hainan e allo Shandong.
La regione autonoma della Mongolia interna costituisce un cuscinetto strategico per la Cina. Nel corso dei secoli, ha protetto Pechino prima dalle invasioni barbariche e poi dalla minaccia dell’Unione Sovietica. Allo stesso tempo, questo territorio ha rappresentato per secoli un punto di contatto e di contaminazione culturale con la porzione settentrionale dell’Eurasia.
Nella regione, ricca di risorse naturali, si trova il più grande giacimento di terre rare della Cina, primo paese al mondo per riserve di tale risorsa. Ciò rende la Mongolia Interna particolarmente rilevante nel confronto tra Stati Uniti e Repubblica Popolare per il primato tecnologico. Le terre rare sono essenziali per la fabbricazione di diversi tipi di microchip. Ciò spiega perché la loro esportazione non è sinora incappata nei dazi applicati dall’amministrazione Trump. Non è escluso che Pechino si serva del quasi monopolio che ha su questa risorsa per rispondere ai tentativi di Washington di ostacolare le attività economiche di Huawei.
Geopolitica della Mongolia Interna
La Mongolia Interna è la terza area amministrativa più grande della Repubblica Popolare. La regione si sviluppa longitudinalmente tra il margine nordorientale dell’altopiano tibetano e la Manciuria, da cui è separata grazie ai monti Daxingan. A nord, la Mongolia interna si affaccia sulla Russia e sullo Stato della Mongolia. Il confine qui è lungo complessivamente oltre 4 mila chilometri. La frontiera sino-mongola si sviluppa in corrispondenza del deserto del Gobi. A sud invece, la Mongolia Interna confina con le provincie di Heilongjiang, Liaoning, Jilin, Hebei, Shanxi, Shaanxi e Gansu e la regione autonomia del Ningxia.
L’altopiano della regione è orlato da montagne. Il clima è temperato, con inverni lunghi e freddi ed estati brevi e calde. I monti Helan si sviluppano da nord a sud, parallelamente al Fiume Giallo. Tali rilievi costituiscono una barriera ecologica che protegge le pianure centrali a est – culla della civiltà cinese – dall’espansione del deserto Tengger e dalle correnti fredde provenienti dalla Siberia. I monti Helan sono ricchi di carbone. Qui l’intensa attività estrattiva ha determinato l’aumento dell’inquinamento e la degradazione del territorio. Per questo, ora il governo cinese ha deciso di chiudere o demolire diverse miniere.
L’area mineraria di Bayan Obo (ovest della regione) è considerata la “capitale delle terre rare”. Si stima che qui ve ne siano 100 milioni di tonnellate, cioè l’83% di quelle della Cina, che a sua volta possiede il 38% delle riserve mondiali. Si tratta soprattutto di quelle “leggere”, impiegate nello sviluppo di turbine eoliche, auricolari, microfoni, schermi lcd e al plasma, magneti, veicoli ibridi, videocamere, batterie ricaricabili, smartphone e missili guidati.
Le terre rare “pesanti” e “medie” si trovano soprattutto nel Jiangxi. Poco dopo che gli Usa hanno vietato alle aziende americane di vendere componentistica a Huawei, il presidente cinese Xi Jinping ha visitato una fabbrica di lavorazione mentre faceva tappa in questa provincia. Non è escluso che, a causa di un serio aggravamento della competizione sino-statunitense, Pechino decida di far leva sulle terre rare nell’ambito della competizione tecnologica con gli Usa. La Repubblica Popolare rappresenta il 90% dell’offerta mondiale di questa risorsa e da qui è provenuto l’80% delle importazioni americane tra il 2014 e il 2017.
Pechino aveva interrotto temporaneamente l’esportazione di terre rare già nel 2010 nell’ambito di una disputa marittima con il Giappone, che impiega questi materiali nel settore automobilistico. Ciò ha messo in difficoltà la filiera produttiva globale. Diversi paesi – Stati Uniti inclusi – hanno tentato di usare fonti di approvvigionamento alternative a quelle cinesi, senza successo. Vi sono altri giacimenti all’estero cui attingere. Per esempio, Brasile e Vietnam dispongono di 22 milioni di tonnellate di terre rare ciascuna. Negli Usa ve ne sono solo 1,4 milioni. Tuttavia, spesso gli alti costi e il forte impatto ambientale delle attività scoraggiano le operazioni. La statunitense Molycorp aveva avviato i lavori nella miniera di Mountain Pass in California nel 2012 per poi dichiarare bancarotta nel 2015. Ha riaperto i battenti l’anno scorso e ora invia i materiali in Cina per la lavorazione. Tali dati confermano l’attuale interdipendenza tra la filiera produttiva cinese e quella americana.
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Per due secoli, i sovrani cinesi e i nomadi delle steppe si sono contesi il controllo della Mongolia Interna. Non a caso è qui che le diverse dinastie imperiali hanno costruito la maggior parte delle fortificazioni oggi conosciute come “Grande Muraglia”.
Hohhot, il capoluogo, si trova nella parte meridionale della regione ed è stato fondato nel 1550 (dinastia Ming) da Altan Khan. Questi era discendente di Kublai Khan, primo imperatore della dinastia mongola degli Yuan (1271-1368) e nipote di Gengis, a sua volta fondatore dell’impero mongolo. Altan Khan era noto per le sue scorribande. Dopo aver attraversato la Grande Muraglia e saccheggiato Pechino prese il controllo di Karakorum, la vecchia capitale mongola. Nel 1571 ottenne dai Ming dei diritti speciali di commercio e il titolo di “principe di Shunyi”. Altan Khan ebbe anche un ruolo chiave anche nella diffusione del buddismo tra i mongoli grazie all’alleanza con Sonam Gyatzo, capo della scuola di buddismo tibetano Gelug. Tale evento ha avuto un ruolo essenziale per la storia del buddhismo tibetano. Sonam Gyatzo fu il primo a ottenere il titolo di Dalai lama, poi conferito anche ai suoi due predecessori. La parola dalai viene dal mongolo e significa “oceano” o “grande”, mentre in tibetano bla-ma significa “maestro”.
L’assorbimento del buddismo tibetano consentì ai Qing di ottenere la fedeltà dei mongoli orientali. I Manciù controllavano la Mongolia interna e quella esterna, che oggi ricalca lo Stato che separa Cina e Russia. Le due parti assunsero una postura diversa nei riguardi della Cina nel corso del XX secolo. La prima vi rimase vincolata, la seconda proclamò l’indipendenza subito dopo il crollo dei Qing nel 1911.
Il trattato di pace firmato dalla Repubblica di Cina e Unione Sovietica nel 1945 tra le altre cose includeva infatti il riconoscimento della Repubblica del popolo mongola, che fu approvato anche dalla Repubblica Popolare dopo la sua fondazione nel 1949. Questo evento determinò un evidente ridimensionamento dei confini cinesi. Il paese, la cui forma sul finire dell’era imperiale ricordava una “foglia di begonia” (qiuhaitang ye), assunse il profilo del gallo (xiongji).
La perdita della Mongolia ha rappresentato per la Cina una carenza sul piano simbolico e strategico, al punto che Taiwan (che ancora si definisce Repubblica di Cina) per lungo tempo ha identificato con la foglia di begonia il simbolo dell’unità nazionale cinese. Taipei reclamò nuovamente la Mongolia nel 1953 dopo aver annullato il patto con l’Urss. Vi ha rinunciato di fatto, ma non ufficialmente, solo nel 2002. Il governo di Pechino invece ha abbandonato le velleità circa la Mongolia esterna, preferendo introdurre una nuova metamorfosi cartografica: dal gallo alla “torcia infuocata” (huoju), di cui il manico è rappresentato dal Mar Cinese Meridionale, rivendicato nella sua quasi totalità dalla Repubblica popolare.
Tra gli anni Sessanta e Ottanta, la Mongolia interna era una regione militarizzata, a causa del potenziale conflitto tra Repubblica Popolare e Unione Sovietica. L’attuale collaborazione sino-russa in chiave anti-Usa ha consentito a Pechino e Mosca di accantonare le rispettive ambizioni egemoniche in Eurasia e quindi di abbassare la tensione lungo i confini. Lo dimostrano anche le recenti esercitazioni militari congiunte, cui ha partecipato anche lo Stato della Mongolia.
Oggi la Mongolia Interna è abitata dagli han (17,6 milioni), dai mongoli (circa 4 milioni) e da altre etnie minoritarie. Il boom dell’estrazione mineraria e in particolare delle terre rare ha alimentato la crescita esponenziale della regione nei primi anni Duemila. Questo ha determinato tuttavia l’aggravarsi dell’inquinamento ambientale e l’accelerazione del processo di urbanizzazione. Questo a sua volta ha generato il fenomeno delle “città fantasma”, di cui l’esempio più lampante è il distretto di Kangbashi, nella città di Ordos. Ora l’economia sembra stia rallentando, nel 2018 diversi progetti infrastrutturali sono stati sospesi e funzionari della regione hanno ammesso di aver gonfiato i dati economici locali relativi al 2016.
Pechino cerca di alimentare la crescita della regione coinvolgendola nel progetto “Una cintura, una via” (o Belt and Road Initiative). Il commercio tra la Mongolia Interna e i paesi coinvolti nel progetto infrastrutturale cinese è aumentato del 13,6% nel primo quadrimestre del 2019. La maggior parte degli scambi avviene con Russia e Mongolia, grazie alla contiguità geografica. Soprattutto, i treni merci passanti per la regione diretti verso l’Europa sono aumentati del 30% rispetto al 2018, raggiungendo un totale di oltre 2,800 viaggi. Lo sforzo della Cina di spostare le proprie attività nella parte superiore della catena del valore e il futuro boom dei veicoli elettrici e di energie rinnovabili potrebbero accrescere la domanda di domestica di terre rare. Allo stesso tempo, Pechino sta cercando di porre un limite all’estrazione, per non danneggiare eccessivamente l’ambiente.
Tali fattori potrebbero spingere la Repubblica Popolare a esportare quantità inferiori di terre rare e aumentarne le importazioni. Anche per questo, la Mongolia Interna sta diversificando la propria economia, puntando su energie rinnovabili (eolico e solare), attività legate all’elaborazione di dati (il clima temperato è ideale per raffreddare i data center), biotecnologia, manifattura di alto livello e turismo.
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