Iran: dialogo con USA possibile solo se Washington mostra “rispetto”
di SICUREZZA INTERNAZIONALE
Il presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha fatto intendere che il suo Paese potrebbe aprirsi al dialogo con gli Stati Uniti, ma solo se Washington si mostrerà “rispettosa”, e Teheran, a ogni modo, non verrà portata ai negoziati con le pressioni.
A renderlo noto, nella giornata di sabato 1 giugno, è stata l’agenzia di stampa statale semi ufficiale Fars, la quale ha riportato le seguenti parole pronunciate da Rouhani: “Siamo per la logica e il dialogo se l’altro lato si siede rispettosamente al tavolo negoziale e segue le leggi internazionali, non se emana l’ordine di negoziare”. Tali frasi sono state proferite dal presidente iraniano in occasione di un discorso rivolto ad alcuni atleti connazionali. Oltre a ciò, Rouhani ha sottolineato che i recenti commenti del presidente americano, Donald Trump, sono andati a calare per vigore e convinzione rispetto a quelli con cui, l’anno precedente, aveva incoraggiato un cambiamento di regime per Teheran: “Lo stesso nemico che ha dichiarato l’anno scorso di mirare a distuggere la Repubblica Islamica dell’Iran, oggi afferma esplicitamente di non voler fare alcunché al nostro sistema”.
Lunedì 27 maggio, Trump aveva affermato: “L’Iran ha la possibilità di essere un grande Paese con la stessa leadership… Non stiamo cercando un cambiamento di regime, ci tengo a chiarire questo punto”.
“Se restiamo fiduciosi nella guerra contro l’America, vinceremo”, ha concluso il capo di Stato iraniano.
La massima autorità religiosa del Paese, il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, mercoledì 29 maggio, aveva affermato che il Paese non avrebbe negoziato con Washington. Rouhani, d’altro canto, aveva precedentemente lasciato intendere che i negoziati sarebbero stati possibili, qualora gli USA avessero sospeso le sanzioni su Teheran.
Il clima di tensione tra i due Paesi è alto, a seguito dei recenti avvenimenti. Il mese di aprile 2019 ha visto una nuova escalation delle ostilità tra Washington e Teheran. Il 22 aprile gli Stati Uniti hanno annunciato la decisione di non concedere più esenzioni dalle sanzioni agli ultimi 8 compratori di petrolio rimasti alla Repubblica Islamica. Gli USA assicuravano, però, che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti avrebbero aumentato la produzione per mantenere stabile l’output e il prezzo del greggio. In risposta, i Guardiani della Rivoluzione iraniani hanno minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz. Allo stesso tempo, il ministro iraniano del Petrolio ha dichiarato che i Paesi del Golfo stavano sovrastimando le loro capacità di produzione petrolifera. Il mese di maggio è stato ancora più teso. Il 6 maggio, il Consigliere per la sicurezza nazionale USA, John Bolton, ha riferito che gli Stati Uniti stavano schierando la portaerei Abraham Lincoln e una task force di cacciabombardieri nel Golfo, in risposta “a una serie di segnali preoccupanti di escalation” da parte dell’Iran. Due giorni dopo, l’8 maggio, Teheran ha annunciato che non avrebbe più rispettato le limitazioni imposte dall’accordo sul nucleare del 2015, a causa della crescente pressione americana contro la Repubblica Islamica e del mancato intervento dei Paesi europei a tale riguardo. A complicare ulteriormente il quadro, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno subito una serie di attacchi contro mezzi navali e infrastrutture legate alla produzione di greggio nel Golfo Persico, nelle giornate del 13 e 14 maggio. Le forze ribelli sciite yemenite, gli Houthi, tradizionalmente sostenuti dalla Repubblica Islamica nella loro rivolta, hanno rivendicato la responsabilità degli assalti. Teheran ha, tuttavia, affermato di non essere coinvolta in nessun modo in tali eventi, nonostante le accuse dell’Arabia Saudita. Infine, mercoledì 15 maggio, Washington ha ordinato allo staff diplomatico non essenziale di lasciare l’Iraq, poiché la situazione era troppo tesa. “Se l’Iran vuole una guerra, sarà ufficialmente la sua fine” ha riferito Trump, in un tweet pubblicato il 19 maggio, volendo mettere in guardia il regime iraniano dalle conseguenze delle minacce che continuavano ad arrivare contro gli USA. Il tweet è giunto a seguito di un attacco contro la capitale irachena di Baghdad, avvenuto la stessa domenica 19 maggio, e che ha colpito la cosiddetta Zona Verde, dove si trovano edifici governativi e rappresentanze diplomatiche, con un razzo Katiusha. L’assalto si è verificato a pochi metri dall’ambasciata americana in Iraq. Un corrispondente dell’emittente emiratina al- Arabiya ha confermato: “Tutti gli indizi dimostrano che l’attacco mirava all’ambasciata americana”. A seguito di tali attacchi e scontri verbali, la tensione, nell’area, rimane estremamente alta.
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Consultazione delle fonti inglesi e redazione a cura di Claudia Castellani
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