Perché non ho firmato l’appello di Camilleri ed altri per la Storia.
di ALDO GIANNULI
Qualche settimana fa, Andrea Camilleri, Tullia Segre e Andrea Giardina hanno lanciato un appello in difesa della Storia nel quale, dopo aver lamentato la crescente marginalizzazione della materia e rivendicata l’importanza formativa di essa, proponevano il pristino della traccia di Storia agli esami di Stato, l’aumento delle ore dedicate alla Storia nell’orario scolastico, il potenziamento degli studi storici nell’Università.
Con l’appoggio di Repubblica l’appello ha raccolto centinaia di migliaia di forme con l’adesione di buona parte degli organi di governo di molte università (chissà se se ne ricorderanno al momento di dividere le risorse fra i vari dipartimenti…)
Pur sollecitato da più parti ad aderire, ho negato la mia firma perché, pur condividendo le intenzioni dei promotori che chiedono il riconoscimento del valore culturale e formativo della Storia, ritengo che si tratta di una iniziativa tutto sommato inutile, destinata a lasciare il tempo che trova.
Reintrodurre la traccia di Storia all’esame di Stato? Si va bene, ma se poi la sceglie l’1% degli studenti a che serve? Non sarebbe il caso di chiederci perché i ragazzi mostrino così poco interesse per la materia?
Aumentare le ore dedicate alla Storia nell’orario settimanale? A parte il fatto che dovremmo chiarire se si tratta di aggiungere una o due ore in più al totale o sostituite ore destinate ad altre materie e quali, a che serve se i ragazzi si annoiano e gli insegnanti non sanno cosa insegnare salvo ripetere la solita solfa vecchia di più di mezzo secolo?
Potenziare gli studi storici nelle università? Si, ma se poi serve a selezionare un ceto accademico sprovvisto delle conoscenze necessarie a fare storia nell’epoca della globalizzazione, a che serve?
Una trentina di anni fa è stato istituito il corso di laurea di Storia che è stato un fallimento totale (basti leggere cosa ha scritto in proposito Paolo Prodi): i futuri storici non fanno un esame di diritto, di economia, di scienza della Politica, di relazioni internazionali, non sanno cosa sia la Geopolitica, hanno una spolveratina di sociologia, antropologia, psicologia e, quando va bene, un po’ di demografia, e che storici pensate che vengano fuori?
Il disinteresse dei ragazzi, la marginalizzazione della materia, eccetera sono la conseguenza di una causa più profonda: questo insegnamento della Storia, per come è impartito, per i programmi ministeriali e per gli argomenti scelti poteva andar bene (forse) nel 1970, ora è semplicemente inservibile. I ragazzi si annoiano giustamente perché questa Storia non risponde ad alcuna delle domande che hanno in testa. Loro vogliono capire in che Mondo vivono e cosa gli sta accadendo intorno e vi sembra che questo insegnamento risponda a queste domande?
La Storia, correttamente intesa, è la spiegazione del presente e vi pare che questo insegnamento risponda a questo scopo?
Questo tipo di insegnamento è la risultante alluvionale dei diversi obiettivi che sono stati attribuiti alla materia nei primi cento anni di unità nazionale: formare alla religione della Patria, poi formare il cittadino democratico dotato di un bagaglio culturale critico. Ora tutto questo non esiste più. Lasciamo perdere la “religione della Patria” e mettiamola in termini più accettabili di formazione dell’identità nazionale: ma che significa nazione nel mondo della globalizzazione?
Personalmente sono convinto che la Nazione abbia ancora una funzione politica rilevante, ma certo non possiamo intenderla come lo si faceva 70, 60, 50 anni fa. E la dimostrazione abbastanza eloquente mi pare sia stato il penoso naufragio delle celebrazioni del centocinquantesimo. E pour cause: cari amici, come stanno insieme la retorica dell’identità nazionale con quella dell’europeismo?
Quanto poi alla formazione del cittadino democratico (e, sperabilmente, antifascista) va bene, ma che significa nel mondo degli incessanti flussi migrativi, dei grandi apparati tecnocratici, del depotenziamento dello Stato nazionale, del super potere delle multinazionali e della finanza? Né possiamo seriamente sostenere che i capitoli di manuale dedicati alla storia di genere, dell’ambiente, dei giovani ecc. (posto che si arrivi a svilupparli nel corso dell’anno) servano a granchè.
Certo che la Storia ha un valore educativo si eccezionale importanza, ma questo, nel mondo attuale, segnato dall’ossessione del breve periodo, dal continuo bombardamento informativo e dal contemporaneo deperimento delle strutture formative del pensiero ecc. significa riconquistare il senso del lungo periodo, educare i giovani a pensare che il rimedio di oggi facilmente può diventare il problema di domani, che le decisioni momentanee possono avere conseguenze nei decenni a venire destinate a pesare sulle nuove generazioni.
Ma noi abbiamo ancora un insegnamento della Storia a carattere prevalentemente evenemenziale che destina poca attenzione alle tendenze. Noi abbiamo bisogno di una storia meno attenta a giudicare e più attenta a capire: siamo sicuri che il compito della storia sia quello di formulare, come diceva Croce (uno dei principali responsabili del ritardo culturale della nostra storiografia), il “giudizio morale”. Sai che grande servizio all’Umanità facciamo mettendo il voto in condotta a chi è morto da secoli! La Storia nel nostro tempo deve avere al suo centro la ricerca dei nessi causali per cui il Mondo è come è. E, a questo fine, l’adorata analogia che è la figura metodologica regina della storiografia tradizionale, servea poco e niente. Mentre è più utile la comparazione.
Il nostro insegnamento ha ancora un carattere prevalentemente euroecntrico (con l’aggiunta di un po’ di storia russa ed americana) ed ignora quasi totalmente Cina, India, Indonesia, Congo, Nigeria, Brasile, Argentina, Messico ecc. Vi sembra proponibile nel mondo attuale?
Il nostro insegnamento ha una dominante politica ed ideologica, il che in una certa misura è giusto (lungi da me l’idea della morte delle ideologie!) ma non si può fare ignorando società, cultura, economia ecc. e, peraltro va fatto con molto distacco laico che sesso proprio non si coglie.
Ovviamente, se non vogliamo fare un carico insostenibile, per ogni cosa nuova che mettiamo dobbiamo togliere qualcosa del blocco precedente. Se la valigia è piena e vogliamo mettere il vestito buono, dobbiamo toglere il maglione pesante che assorbe troppo spazio. Ovviamente non mi passa per la mente di dire che aboliamo la storia antica e medievale e studiamo solo la storia moderna e soprattutto contemporaneamente: non dico queste asinate. Il problema è quello di dare un insegnamento snello, asciutto, per grandi linee, riducendo alcuni aspetti particolari a pochissime righe e altri sopprimerli proprio?
Insomma, siamo sicuri che abbia ancora senso dare tanto spazio alla guerra giugurtina, al Gracchi, alla lotta per le investiture, a tutta la serie infinita di guerre europee fra il XVI ed il XVIII secolo? Magari una veloce cronologia può bastare con gli opportuni rinvii per lo studente che voglia approfondire (che è quello che dovremmo augurarci che accada come massimo obiettivo del nostro insegnamento). Poi ci sono quelle cose che proprio possiamo saltare: pensate che possa importare qualcosa all’abitante del XXI secolo di Matilde di Canossa, di Fra Dolcino, di Ciro Menotti, di Tito Speri, di Enrico Toti, eccetera?
Noi abbiamo bisogno di una storia per grande tendenze di sviluppo dei diversi modelli di civiltà (almeno i più importanti da comparare) con limitatissima attenzione ai singoli avvenimenti da scegliere solo quando davvero centrali.
Abbiamo bisogno di restituire alla storia il suo carattere naturalmente interdisciplinare reagendo agli eccessi specialistici degli ultimi decenni.
Soprattutto abbiamo bisogno di insegnare ai ragazzi un modo di pensare per il quale lo studio dei problemi del presente esige lo scavo dell cause nel tempo, a volte anche remoto. Per capire la proposta della via della seta che fanno i cinesi e che alcuni pensano essere solo un progetto commerciale, occorre capire le linee di sviluppo della loro storia e del loro modo di pensare e magari risalire sino a Confucio e Mencio. Quel che conta non è che i ragazzi si inzeppino la testa di nozioni che non capiscono a cosa servono, ma che imparino un modo di pensare e si sentano stimolati nella loro curiosità.
Ma voi pensate che i nostri storici siano disposti ad affrontare questa discussione? Cordialmente vostro,
Fonte:http://www.aldogiannuli.it/perche-non-ho-firmato-lappello-di-camilleri-ed-altri-per-la-storia/
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