Taglio del numero dei parlamentari: un risparmio per la Democrazia?
di IL MEDITERRANEO (Davide Grisi)
Ridurre il numero dei parlamentari è il decimo punto del Piano di Rinascita Democratica, sequestrato nel 1985 a Licio Gelli, al tempo a capo della loggia massonica P2. Vediamo di capire perché.
“10) È necessario inserire, nel primo calendario utile della Camera dei deputati, la riduzione del numero dei parlamentari, avviando contestualmente un percorso per incrementare le garanzie costituzionali, di rappresentanza democratica, assicurando il pluralismo politico e territoriale.”
Anche nel programma del nuovo Governo PD-M5S, al decimo punto, permane la proposta di taglio del numero dei parlamentari.
Al di là delle teorie complottiste, che vedono in questo progetto, un tentativo di portare a compimento un altro punto del Piano di Rinascita Democratica, sequestrato nel 1985 a Licio Gelli, al tempo a capo della loggia massonica P2; quali benefici porterebbe una simile riforma, fortemente voluta e a più riprese propagandata dai 5 Stelle, con l’appoggio, almeno a parole, di altre forze politiche, se venisse portata a compimento?
Secondo quanto più volte affermato dal capo politico del movimento e neo Ministro degli esteri Luigi Di Maio e dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Riccardo Fraccaro (M5S), i risparmi sul bilancio dello stato passando da 630 a 400 il numero dei deputati, e da 315 a 200 il numero dei senatori, sarebbero di 500 milioni di euro a legislatura, ovvero 100 milioni l’anno, ma sarà davvero così?
Analizzando i bilanci di Camera e Senato del 2018, scopriamo che la spesa sostenuta per i compensi dei parlamentari, ammonta a 225 milioni di euro, per essere precisi 144.905.000 euro per i deputati e 79.766.000 per i senatori. Ogni parlamentare ha quindi un costo medio di circa 230-240 mila euro annui, al lordo delle tasse.
Il risparmio lordo che si otterrebbe, portando il numero dei parlamentari da 945 a 600 unità, sarebbe quindi di 81 milioni di euro l’anno, 405 milioni a legislatura, cifra già diversa di quella dichiarata dai vertici politici del Movimento. Se non bastasse e volessimo essere ancora più precisi, da quegli 81 milioni di risparmio lordo, andrebbero scalate le tasse e i contributi versati dai parlamentari allo Stato, ovvero circa il 20%. Ciò porterebbe il risparmio netto, intorno ai 65 milioni di euro anno, 325 a legislatura. Una cifra ulteriormente inferiore di quella propagandata dai 5 Stelle.
Se ora volessimo percentualizzare questo risparmio sul bilancio pubblico dello Stato, per avere una misura di paragone, scopriremmo che si tratta di poco più dello 0,007%. Ciò non toglie che l’esigua dimensione non giustifichi questi risparmi, ma siamo sicuri che tagliare il numero dei parlamentari non significhi tagliare la rappresentanza e con essa la Democrazia?
Per cercare di rispondere a questa domanda, vogliamo come prima cosa confrontare il numero dei parlamentari italiani, con il numero dei parlamentari delle altre democrazie europee, posto in rapporto al numero di abitanti: scoprendo che l’Italia, è già in linea con la maggior parte degli altri Stati d’Europa, ed in molti casi al di sotto della media.
Ma questa tabella potrebbe essere fuorviante per la nostra analisi, in quanto, solo 12 Paesi dell’Unione Europea, oltre all’Italia, hanno una “camera alta”: Austria, Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Spagna. Fra questi, solo in Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Spagna i cittadini ne eleggono direttamente i membri.
Per questo, secondo il Servizio Studi della Camera «non è possibile procedere ad un raffronto» fra le “camere alte” «in quanto in gran parte dei casi i componenti […] non sono eletti direttamente dai cittadini e rappresentano istanze di altro tipo» rispetto al ruolo del Senato nell’ordinamento italiano.
Quindi, un raffronto più veritiero, può essere fatto solamente prendendo in esame le “camere basse” dei parlamenti, ovvero la Camera dei Deputati per quanto riguarda quello italiano. Scoprendo che anche in questo raffronto, l’Italia, è già in linea con gli altri Stati.
Volendo andare ancora più a fondo, potremmo provare a confrontare gli stipendi dei parlamentari italiani, con i loro colleghi degli altri parlamenti nazionali europei. Secondo uno studio inglese dell’ Independent parliamentary standards authority (Ipsa), in un confronto (in sterline) che prende in considerazione anche Paesi extraeuropei, i rappresentanti italiani guiderebbero la classifica con 120.546 sterline annue seguiti da:
- Australia 117.805 £
- Stati Uniti 114.660 £
- Canada 100.166 £
- Norvegia 87.964 £
Nella seconda parte della classifica ci sono invece :
- Irlanda 79.556 £
- Germania 78.979 £
- Nuova Zelanda 74.154 £
- Svezia 69.017 £
- Regno Unito 66.396 £
- Francia 56.815 £
- Spagna 28.969 £
Purtroppo però, questo studio, più volte citato in altri articoli, prende in considerazione il lordo degli stipendi, e secondo quanto diramato dalla Camera nel 2016, questo raffronto non può essere «considerato attendibile» perché «è difficile fare un raffronto tra fra importi lordi, che risentono di regimi fiscali e previdenziali non sempre pienamente confrontabili». Successivamente precisa, che nonostante le difficoltà oggettive nel provare a comparare i costi netti dei parlamentari «l’Italia sulle indennità e grazie alle decisioni degli ultimi anni, è al quinto posto della classifica europa. Al primo c’è l’Europarlamento».
Arrivati a questo punto ci chiediamo, oltre a quello propagandistico e fors’anche demagogico, visto il momento in cui l’economia è stagnante e si prospettano possibili ulteriori recessioni, qual’è il vantaggio di voler tagliare il numero dei parlamentari, se non quello di voler tagliare la democrazia?
Da coloro che sono entrati in Parlamento cavalcando l’idea della democrazia diretta, sembra quasi impossibile che continuino a proporne una, che diminuisce la rappresentanza e con essa la possibilità di più portatori d’interesse dei cittadini, nella massima istituzione democratica.
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