Per l’esercito comune europeo l’Ue ha stanziato 22,8 miliardi, ma per la Corte dei conti è infattibile
di BUSINESS INSIDER (Andrea Spadaciari)
- Le manovre Nato in Polonia di giugno scorso. (Photo by Sean Gallup/Getty Images)
Un esercito comune europeo è infattibile. È il giudizio tranchant vergato dalla Corte dei conti europea il 12 settembre scorso che “spegne” ogni velleità di una politica di difesa comune. Un “progettino” sul quale l’Ue ha deciso di investire qualcosa come 22,5 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027 (contro i “soli” 2,8 miliardi messi a bilancio tra il 2014 e il 2020).
Il piano secondo i giudici presenta numerosi pericoli: dall’impossibilità di controllare l’utilizzo delle risorse stanziate con relativo spreco di denaro, alla moltiplicazione delle strutture con inutili sovrapposizioni con la Nato, fino all’impreparazione militare. Non solo, pesano le palesi differenze strategiche degli stati (il “nemico” di uno è meno nemico di un altro) e le ampie differenze tra le capacità difensive dei paesi membri. Soprattutto perché con la Brexit verrà a mancare l’apporto della Gran Bretagna, che da sola sostiene circa un quarto della spesa militare totale dei paesi europei. Dulcis in fundo, per essere realizzato ed essere messo nelle condizioni di funzionare, l’Esercito d’Europa richiederebbe investimenti per centinaia di miliardi di euro. Insomma, butta male, tanto che nella reazione si legge: “la cooperazione e le capacità militari attuali degli Stati membri non corrispondono al nuovo livello di ambizione della politica di difesa dell’UE. (…) Le recenti iniziative a livello di UE e il proposto incremento dei finanziamenti comportano rischi per la performance”.
Nelle linee guida della nuova “Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC)”, l’UE ha varato nuove iniziative, miranti a potenziare la cooperazione tra gli Stati membri. Per il periodo 2021-2027 la Commissione ha proposto forti incrementi di pesa: solo per progetti di ricerca e sviluppo in materia di difesa, si passerà da 590 milioni a 13 miliardi di euro, un aumento di 22 volte rispetto all’attuale ciclo settennale. L’Unione mira alla creazione di capacità militari concrete,che abbiano un chiaro potenziale deterrente nei confronti di possibili minacce e che abbia la disponibilità ad agire tempestivamente in caso di necessità. La nuova forza comunitaria dovrebbe infatti sovraintendere a: “le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti”. Dovrebbe inoltre avere la capacità “di dispiegare rapidamente da 50 mila a 60 mila effettivi entro 60 giorni per i compiti più impegnativi, mantenendoli per almeno un anno”.
Che a parole suona benissimo, ma poi a farsi è tutta un’altra cosa… e così la relazione mette una dietro l’altra tutte le criticità, lasciando ben poca speranza.
Rischio economico
Per la corte le iniziative dell’UE nel campo della difesa rappresentano i primi passi in un campo in cui l’UE ha maturato finora scarsa esperienza. “Ancor oggi vi è il rischio che non siano stati fissati obiettivi adeguati, e che non esistano sistemi tali da far fronte a quest’incremento della spesa dell’UE e al nuovo livello di ambizione previsti dalla strategia globale dell’Unione”. Inoltre, i cospicui e non coordinati tagli apportati ai bilanci della difesa degli Stati membri, uniti a un basso livello di investimenti, hanno inciso sulle loro capacità militari. Attualmente gli Stati membri dell’UE sono ben lontani dal possedere capacità militari corrispondenti al nuovo livello di ambizione dell’UE in questo settore. La Brexit aggraverà questa situazione poiché un quarto delle spese totali degli Stati membri dell’UE nel settore della difesa è sostenuto dal Regno Unito. Ma non è finita qui: benché si preveda un aumento della spesa dell’UE nel settore della difesa per il prossimo futuro, questa rimane modesta (in media circa 3 miliardi di euro all’anno) rispetto alla spesa militare complessiva degli Stati membri (è pari a meno del 2 %).
Si stima che, se l’Europa dovesse difendersi da sola senza assistenza esterna, per sopperire alla carenza in termini di capacità, sarebbero necessarie parecchie centinaia di miliardi di euro. Solo per conformarsi alla linea guida del 2 % del PIL, gli Stati membri dell’UE aderenti alla NATOdovrebbero investire ogni anno altri 90 miliardi di euro,con un incremento del 45 % circa rispetto al loro livello di spesa del 2017. Soltanto in quell’anno, i 28 Stati membri dell’UE hanno destinato oltre 200 miliardi di euro di spese pubbliche alla “difesa”. Presi globalmente, i bilanci nazionali superano di circa 75 volte le spese per la difesa dell’UE nel quadro dell’attuale bilancio.
- Un’esercitazione congiunta sotto l’egida della Ue.Tra gli Stati membri dell’UE esistono evidenti differenze strategiche. Per esempio, alcuni Stati membri tendono a concentrarsi sulla difesa territoriale contro le minacce militari rappresentate dalla Russia, mentre altri sono orientati piuttosto verso le sfide alla sicurezza che hanno originenell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente. Alcuni Stati membri hanno una tradizione di neutralità, mentre altri sono disposti a partecipare a operazioni ad ampio spettro. In tale quadro “alcuni concetti, come quelli di “autonomia strategica” o “esercito europeo”, rimangono ampi e vaghi”.
L’ingombrante patto atlantico
Un problema oggettivo, poi, secondo la Corte è il rischio di sovrapposizione strutturale della nuova forza comune con la Nato. Ad aggrovigliare la situazione anche il fatto che non tutti i paesi Ue ne siano membri: oggi sono 22 gli stati aderenti all’Alleanza Atlantica, mentre altri sei (Austria, Cipro, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia) non ne fanno parte. Altri ancora, sono membri NATO, ma non fanno parte dell’UE (Albania, Canada, Islanda, Montenegro, Norvegia, Turchia e Stati Uniti). “Gli Stati membri dell’UE dispongono di una riserva unica di forze; pertanto, al fine di evitare un uso inefficiente del denaro dei contribuenti, una questione critica e una priorità essenziale per il prossimo futuro consistono nel sapere se l’UE sia in grado di integrare la NATO, evitando così duplicazioni e sovrapposizione di funzioni con quest’ultima”, si legge nel documento.
Caos trattati e interpretazione
Se esercito deve essere, si dovrà pesantemente rimettere mano ai trattati. Ad oggi fa fede il Testo Unico Europeo, il quale limita fortemente l’uso del bilancio UE nel settore della difesa. In particolare non si possono finanziare “le spese derivanti da operazioni che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa”, tanto che fino a oggi ogni singolo stato si è pagato autonomamente le spese per operazioni militari effettuate. Inoltre l’UE non può possedere mezzi militari. Dal 2003 a oggi, la Politica di difesa dell’Unione ha preso la forma di 35 missioni e operazioni civili e militari all’estero:
- le missioni e operazioni militari comportano il distacco di soldati dagli Stati membri dell’UE per porre fine alle violenze e riportare la pace (nel 2017 l’UE ha effettuato sei missioni militari, impiegando circa 3 200 effettivi).
- Le missioni civili coinvolgono personale civile: giudici o ufficiali di polizia che collaborano alla ricostruzione, successiva a conflitti, delle istituzioni di un paese tramite l’offerta di formazione e consulenza alle autorità nazionali. Nel 2017, circa 1 880 addetti hanno preso parte a 10 missioni civili.
Tuttavia, sottolinea la corte, non c’è mai stata fino a oggi un centro di comando unificato, si è sempre intervenuto nell’ottica di coalizione di stati, quindi esiste un rischio rispetto alla governance. Insomma, non siamo preparati.
Il beneficio economico
Ma i giudici non si fermano e abbattono anche uno degli aspetti che i sostenitori della politica di difesa comune hanno sempre sottolineato: il beneficio alle imprese europee degli armamenti apportate dall’aumento delle spese. Oggi il mercato europeo della difesa fattura circa 100 miliardi di euro e occupa direttamente circa 500 mila addetti. Ha una struttura piramidale, al cui vertice si colloca un limitato numero di grandi imprese (gli appaltatori principali), coadiuvate da circa 2 mila piccole e medie aziende che forniscono sottosistemi o componenti. Come si vede, si tratta di un mercato chiuso, bloccato e dipendente dai forti investimenti necessari in ricerca e sviluppo, orientati dagli stati committenti. Una situazione che secondo il documento non sarebbe scalfita dai maggiori investimenti europei.
I precedenti tentativi dell’UE di promuovere l’istituzione di un mercato europeo di materiali per la difesa aperto e competitivo non hanno avuto successo. La limitata cooperazione tra gli Stati membri ha prodotto inefficienze nel settore della difesa dell’UE, mettendo a repentaglio la competitività globale del settore e la possibilità di sviluppare le capacità militari necessarie. Tuttavia, il sensibile aumento dei finanziamenti alle attività di Ricerca e sviluppo orientate alla difesa rischia a sua volta di diventare un esercizio privo di impatto reale sulla competitività del settore europeo della difesa”.
Alla luce di tutto ciò, possiamo dire che prima di vedere un carroarmato con il vessillo europeo ed equipaggio misto, passeranno ancora molti lustri.
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